mercoledì 3 settembre 2008

La febbre italiana per l’oro nero

Dalla Val Padana alla Basilicata, dalla Puglia alla Sicilia: è scattata la corsa alla scoperta di nuovi giacimenti, come racconta un recente articolo di Corriere economia.

L i chiamano wildcatters . Spuntano come funghi dopo la pioggia quando il prezzo del petrolio sale, e la ricerca di nuovi giacimenti diventa remunerativa anche per i piccoli esploratori, che non possono usufruire di economie di scala, ma hanno la flessibilità del mordi e fuggi. Di solito hanno fatto esperienza nelle grandi compagnie petrolifere e ora cercano la fortuna in proprio. Sono australiani, britannici, canadesi o texani, ma sempre coadiuvati da una quinta colonna locale. Le loro società si chiamano Northern Petroleum o Petroceltic, Mediterranean Gas o Po Valley, a seconda delle zone dell’Italia in cui operano. Nel 2006 nel nostro Paese sono stati perforati 49 pozzi: 34 per raggiungere giacimenti già scoperti e 15 per cercarne di nuovi. Nel 2007 altri 37, di cui 10 in località non ancora sfruttate. Basta scorrere l’elenco dei titolari di concessione nel bollettino ufficiale del ministero dello Sviluppo economico, per scoprire anche qualche wildcatte r locale. Tra le 52 ditte esploratrici, accanto all'Eni di Paolo Scaroni, all'Edison, alle municipalizzate e a multinazionali come Shell, Total, Esso e Bp, figura il geometra Paolo Bonucci, che scava su un terreno di 3 chilometri quadrati a Lizzano in provincia di Bologna, o il signor Maurizio Turchi che, oltre a gestire la sua lavanderia industriale, perfora un'area di 670 metri quadri a Trignano nel Modenese. Cercano, sia pure in piccolo, di imitare Glenn McCarthy, il leggendario texano che tra il 1930 e il 1940 costruì un impero sul petrolio per poi sperperarlo al gioco. Il mitico capostipite dei wildcatter fu interpretato da James Dean nel film «Giant».
Più somiglianti al capostipite della categoria sono i suoi conterranei di Panther Gas, che cercano da anni di sfruttare un giacimento di metano in una delle zone più trivellate d’Italia, fra Noto e Ragusa, dove l’Eni di Paolo Scaroni estrae petrolio. Jim Smitherman, rampollo di una dinastia di petrolieri texani, ha ottenuto nel marzo 2004 una concessione dalla Regione Sicilia per esplorare un’area di 700 chilometri quadrati, contigua ai campi dell’Eni fra Modica e Ragusa. Ma per ora ha estratto solo guai dal territorio siciliano, cui era stato introdotto da Guglielmo Moscato. Dopo una vita ai vertici dell’Eni e dell’Agip, il manager siciliano si è messo in proprio da un paio d’anni con GM&P, una società di studi d’ingegneria che fa consulenze ed è anche il terzo azionista di Panther con il 12%, dopo Smitherman (45%) e la compagnia petrolifera Maurel&Prom (30%). Ma la sua vasta esperienza non è stata sufficiente ad appianare le resistenze incontrate dalle attività di esplorazione in prossimità dei tesori del barocco siciliano, difesi da Andrea Camilleri con un appello che ha raccolto 70mila firme. Il caso del Val di Noto non è un’eccezione. C’è il blocco allo sfruttamento dei giacimenti di metano in Alto Adriatico, che il governo vorrebbe tentare di risolvere. E ci sono altre opposizioni sparse lungo la penisola, spesso dovute alla incapacità di comunicazione fra le aziende e gli enti locali. Pozzi se ne trovano nelle zone più impensate. Basta un po’ d’occhio e si scoprono facilmente: dal terreno esce un tubo d’acciaio alto un metro e mezzo con un paio di grosse valvole, di solito recintato in qualche modo per difenderlo dalle macchine agricole o dai vandalismi. Come nel caso del giacimento di Villafortuna, sotto il Parco del Ticino, raggiunto perforando orizzontalmente per sbucare lontano dalle zone protette. Ma non mancano nemmeno nel pieno degli insediamenti urbani: nel quartiere milanese di Lambrate ci sono quattro pozzi di metano trivellati dall’Agip, che arrivano fino a 1.700 metri di profondità. Due sono considerati ancora validi e attingono a un giacimento di gas che si estende sotto i piedi dei milanesi, fra il quartiere dell’Ortica, lo stabilimento dell’Innocenti e la tangenziale.
A Roma, a due passi dal Vaticano, ci sono due pozzi di petrolio che si spingono fino a 3mila metri. E al lato di Viale Cristoforo Colombo, non lontano dal raccordo anulare, è stato avviato un pozzo esplorativo dall’Italmin. I britannici di Ascent Resources hanno appena cominciato a trivellare alla ricerca di gas accanto all’aeroporto di Fiumicino. In complesso, il territorio italiano è bucherellato da quasi settemila pozzi alla ricerca di metano e di greggio. Al momento attuale ce n’è una sessantina in attività, per un’area complessiva di quasi ventimila chilometri quadrati. Sotto all’Italia ci sono riserve sicure e documentate ancora da estrarre di 640 milioni di barili di greggio e 220 di metano. Altre, tutte da scoprire, tra i 400 e gli 800 milioni di barili di petrolio e da 120 a 200 miliardi di metri cubi di gas, dicono i geologi. Non sono giacimenti da nababbi, ma sufficienti a farci risalire la classifica dei produttori.
Le riserve scoperte finora dormono nel sottosuolo di una specie di mezzaluna che percorre l’area padana, la costa adriatica per poi tagliare la Puglia e l’Appennino Lucano (dove è nascosto l’Eldorado italiano, la Val d’Agri e Tempa Rossa) fino alla Sicilia. Il grosso dei giacimenti sta in Basilicata, dove si estraggono quasi 80mila barili al giorno sugli oltre centomila della produzione italiana complessiva. Ma nel giro di quattro anni l’estrazione lucana è destinata a raddoppiare. In base agli accordi con la Regione, entro il 2012 dai campi di Pisticci e Viggiano si estrarranno 150.000 barili al giorno. Di questi, 20.000 barili proverranno dallo sviluppo delle attività di Agip nei campi già attivi in Val d’Agri e circa 50.000 dal secondo centro oil, quello di Tempa Rossa, operato da Total (50%), Esso e Shell (25% a testa). Ma stanno emergendo nuove zone interessanti: le più appetitose sono al largo della costa ionica della Calabria, la Sicilia occidentale, il braccio di mare tra la Sicilia e Malta. La maggior parte delle perforazioni esplorative si concentra in Emilia Romagna, Basilicata, Abruzzo, Lombardia e Piemonte. In mare, si cerca soprattutto in Adriatico, Ionio e nel Canale di Sicilia. L’anno scorso la produzione domestica di petrolio si è attestata a 42,6 milioni di barili. Il 74% viene dalla Basilicata.
A seguire, i campi offshore (con un peso del 13%), la Sicilia (9%) e il Piemonte (2%). Considerando un prezzo medio annuo di 51 euro a barile per il greggio italiano, il valore complessivo supera i 2,17 miliardi. Quanto al gas naturale, la produzione è stata di 9,6 miliardi di metri cubi per un totale di 2,33 miliardi di euro. Il bilancio 2008 sarà più ghiotto, visto il varo-greggio.