lunedì 15 dicembre 2008

Come l’uomo spreme Gaia, il pianeta vivente

Da L'Opinione

Per petrolio, gas naturale e carbone ne abbiamo, se realtà e previsioni coincidono, per 42, 67 e 164 anni, ma potrebbero anche diventare 33, 53 e 151. Dopodiché ripiombiamo nel rinnovabile... e buona notte. Sono questi i tempi calcolati da uno storico studio del Mit commissionato dal Club di Roma nel 1972. L’unica soluzione possibile è nella forza dell’atomo

James Lovelock (scienziato inglese) ha introdotto, per la prima volta, l’ipotesi di Gaia nel 1972 in collaborazione con Lynn Margulis, biologa nota per la classificazione in 5 regni dei viventi. Il Pianeta Terra viene visto come un superorganismo come già aveva fatto James Hutton, geologo scozzese, nel suo Theory of the Earth with Proof and Illustrations del 1785. Questa teoria è stata riportata, poi, da Lovelock nel 1979 in “Gaia. A New Look at Life on Earth”. Nella sua prima formulazione l’ipotesi Gaia, che altro non è che il nome del pianeta vivente (derivato da quello dell’omonima divinità femminile greca, nota anche col nome di Gea), si basa sull’assunto che gli oceani, i mari, l’atmosfera, la crosta terrestre e tutte le altre componenti geofisiche del pianeta terra si mantengano in condizioni idonee alla presenza della vita proprio grazie al comportamento degli organismi viventi. Ora, nel momento che si vuole fare un ragionamento sulle risorse di questo pianeta mi si consenta qualche accenno introduttivo al Club di Roma. Il Club di Roma fu fondato nell’aprile del 1968 dall’italiano Aurelio Peccei e dallo scienziato scozzese Alexander King, insieme a premi Nobel, leader politici e intellettuali. Il nome del gruppo nasce dal fatto che la prima riunione si svolse a Roma, presso la sede dell’Accademia dei Lincei alla Farnesina. Nel 1972 uno studio del Mit (Massachusetts Institute of Technology) commissionato dal Club di Roma accese l’attenzione sulla scarsità del petrolio e sul limite dello sviluppo.