martedì 15 giugno 2010

Cina: tasse sulle risorse naturali

Sarà la problematica regione autonoma dello Xinjiang, dove il confronto e lo scontro anche violento tra la popolazione autoctona dei musulmani uiguri e i coloni han cinesi non è mai cessato, a sperimentare il prelievo di tasse sulle risorse naturali che poi dovrebbe essere applicato a livello nazionale per contribuire a risparmiare risorse. Il governo comunista cinese ha preso ieri la decisione di istituire una nuova tassa sulle vendite di greggio e gas nello Xinjiang, presentando la cosa come un elemento di quel Piano di sostegno alla regione autonoma che era stato presentato a maggio in un workshop tenutosi a Pechino.

Un comunicato dell'Amministrazione di Stato per gli affari fiscali spiega che «Lo Xinjiang é ricco di risorse minerarie quali il petrolio greggio e il gas. Questa iniziativa pilota aiuterà a lanciare su scala nazionale una riforma delle tasse sulle risorse naturali. La riforma valorizzerà il concetto di risparmio delle risorse avanzato dal governo, la protezione dell'ambiente e lo sfruttamento ragionevole delle risorse naturali. Questo prelievo contribuisce anche alla realizzazione di una società che economizza le risorse e rispettosa dell'ambiente».

Il governo prelevava già prima tasse che potevano arrivare fino a 30 yuan (4,39 dollari) alla tonnellata sulle vendite di petrolio greggio e a 15 yuan per 1.000 m3 su quelle di gas naturale. In Cina il costo del greggio è agganciato a prezzi internazionali, mentre quello del gas è fissato dal governo centrale di Pechino, questo secondo l'Amministrazione di Stato per gli affari fiscali renderebbe più agevole istituire la nuova tassa che prevede un cambiamento in rapporto alle vecchie tasse basate sul prezzo alla produzione e fissa il tasso di prelievo al 5%.

La decisione "sperimentale" del governo arriva proprio mentre Lu Xuedu, il potente vice-presidente del Centro climatico nazionale della Cina ed ex membro del comitato esecutivo dell'Onu per l'approvazione dei progetti del Clean development mechanism (Cdm), stava dicendo ai giornalisti a Pechino che in Cina i volumi delle transazioni di carbonio sono destinato a rimanere bassi «Il mercato interno rimarrà probabilmente piccolo, perché basta farsi una semplice domanda: chi comprerà le emissioni in Cina?». Il problema è che, secondo il Protocollo di Kyoto, la Cina non ha nessun obbligo di ridurre le sue emissioni di CO2 e che quindi, secondo Lu, «I soli potenziali acquirenti sul mercato interno sono le grandi imprese o le celebrità ad alto reddito che cercano di migliorare la loro reputazione».

La Cina finora è stata un fornitore e non un acquirente di carbon credits, ma resta un Paese centrale all'interno del Cdm per l'enorme potenziale degli investimenti dei Paesi industrializzati in progetti di energie rinnovabili, risparmio energetico e recupero ambientale, un meccanismo noto come Certified emission reductions (Cer) che possono essere commercializzati o utilizzati dai Paesi industrializzati per rispettare i loro obiettivi nazionali vincolanti di emissioni di CO2.

Attualmente la Cina è il più grande fornitore di Cer a livello mondiale, ma i "developers" non sono stati ammessi a contrattare i crediti sul mercato interno. Per questo molte città, comprese metropoli gigantesche come Pechino e Shanghai puntano sui "new environmental exchanges", sperando che il mercato volontario delle emissioni riesca a colmare il divario tra le promesse del governo e la realtà dei fatti. Però, i volumi delle voluntary emission reductions (Ver) si sono rivelati trascurabili. In Cina ci sono stati solo circa 3.000 Ver, più o meno per un volume complessivo di 10.000 tonnellate. Una goccia rispetto ai 93 milioni di tonnellate di Ver che, secondo un rapporto pubblicato dal Bloomberg New Energy Finance, sarebbero state scambiate nel 2009, con un preoccupante calo del 27% rispetto al 2008.

«Su un totale di 2.214 progetti Cdm approvati dal Comitato esecutivo entro la metà di maggio, 851 hanno origine in Cina, il che la rende il Paese con il maggior "successo" Cdm - ha spiegato Lu - Ma c'è un arretrato di oltre 1.600 progetti cinesi ancora in attesa di approvazione». Questa posizione dominante della Cina nel meccanismo Cdm è molto criticata e desta ancora maggiori sospetti: in parecchi accusano le imprese cinesi e il governo comunista di produrre grandi quantità di progetti di bassa qualità che, con la scusa di tagliare le emissioni industriali alla fine hanno effetti molto dubbi sul reale taglio di sostanze come gli idrofluorocarburi e il protossido di azoto. Per questo il Comitato esecutivo Cdm è alle prese con un'enorme mole di controlli di qualità soprattutto riguardo agli impianti eolici che avrebbero già prezzi favorevoli rispetto all'energia prodotta e quindi non ammissibili ai finanziamenti Cdm, ora i controlli riguardano anche le centrali idroelettriche». Lu però sottolinea che «Il problema più grande per l'attuale mercato Cdm è la domanda, che rimane incerta quanto i potenziali investitori e sviluppatori di progetti chiedono chiarezza su ciò che accadrà dopo il 2012».

Lu Xuedu guarda con preoccupazione alla scadenza del Protocollo di Kyoto nel 2012 ma soprattutto è convinto che «Se gli Stati Uniti non avranno adottato la loro legislazione sul clima entro la fine di luglio, sarà improbabile che un nuovo accordo vincolante possa essere siglato a Cancun alla fine di quest'anno».
(www.greenreport.it)