venerdì 19 dicembre 2008

Petrolio, l'Opec taglia la produzione

Da Il Tempo

È quanto si legge su Bloomberg, che sottolinea che, con questo taglio, l'Opec ha ridotto la produzione di 4,2 milioni di barili dallo scorso settembre. La decisione odierna rappresenta il taglio record nella storia dell'organizzazione ed è superiore anche alle stime del mercato che si attendevano una sforbiciata di due milioni di barili. Alcuni analisti vedono nel maxi-taglio la volontà di inviare un segnale forte al mercato, in un momento in cui il prezzo del petrolio non riesce a risollevarsi in maniera decisa dopo la discesa senza freni che, dal record di oltre 147 dollari di luglio, l'ha portato sotto i 50 dollari.
Secondo il presidente dell'organizzazione, Chakib Khelil, i tagli verranno attuati in maniera adeguata da tutti i Paesi dell'organizzazione, che non vedranno variare le rispettive quote di produzione. Secondo Khelil, il mercato del petrolio ha scorte superiori «superiori ai 57 giorni», ovvero in caso di cessazione totale della produzione servirebbero quasi due mesi per svuotare i magazzini dei produttori.

Eni in corsa per licenze in Norvegia

L'Eni di Paolo Scaroni è uno dei gruppi candidati per le 34 nuove licenze di produzione di idrocarburi che il governo norvegese intende proporre e che dovranno essere ripartite tra 40 gruppi petroliferi norvegesi e internazionali. Lo ha annunciato ieri il ministero del petrolio e dell'energia di Oslo in una nota ufficiale. Oltre la metà delle licenze è situata nel Mare del Nord, mentre le restanti sono situate più a settentrione, nel Mare di Norvegia e nel Mare di Barents. Per queste ultime licenze, considerato che sono abbastanza vicine alle coste, alle compagnie verranno richieste precauzioni eccezionali per quanto riguarda l'attività di estrazione. Tra le compagnie petrolifere che sono state selezionate per le licenze, oltre all'Eni, ci sono veri e propri colossi internazionali come le francesi Gdf-Suez e Total; le americane ExxonMobil e ConocoPhilips; l'anglo-olandese Shell e la spagnola Repsol. Il ministro dell'energia norvegese Terje Riis-Johansen ha posto il 20 gennaio come scadenza per la concessione delle licenze. (da Milano Finanza)

giovedì 18 dicembre 2008

Utility italiane verso un 2009 nero

L'agenzia di rating Fitch ha portato il rating dell'Enel di Fulvio Conti ad A- con outlook negativo (chiusura a +2,9% a 4,4 euro), di Terna ad A+ con outlook stabile (-2,63% a 2,12 euro), dell'Eni di Paolo Scaroni ad AA- con outlook stabile (+0,83% a 18,22 euro), di Acea ad A+ con outlook negativo (+3,78% a 9,75 euro) e di Edison BBB+ con outlook stabile (+3,6% a 0,92 euro). (riproduzione riservata)

Petrolio: taglio record dell'Opec, ma il prezzo del barile crolla

Dal sole 24 Ore
L'Opec, il cartello dei produttori di petrolio, ha deciso un taglio record sull'offerta di oro nero: 2,2 milioni di barili al giorno in meno. La riduzione arriva pochi mesi dopo il taglio di settembre (520mila barili) e quello di ottobre da 1,5 milioni di barili. Con il taglio odierno, dunque, l'Opec ha ridotto la produzione di 4,2 milioni di barili dallo scorso settembre. La decisione è stata presa con un vertice straordinario a Orano, in Algeria, e in precedenza vari esponenti dell'Opec avevano anticipato l'orientamento a varare un taglio di questa portata. Quella odierna è la stretta più consistente all'offerta almeno dal 2003.

Crolla il barile: effetto confusione. Il prezzo del petrolio, nonostante il taglio miri a interromperne il calo, crolla ulteriormente. Pesa la confusione generata attorno all'entità della riduzione della produzione: si è parlato di 4,2 milioni in un primo momento, ma in realtà, come spiegato sopra, sono 2,2 milioni considerando il taglio già effettuato a ottobre. Il calo si spiega anche con ragioni di ordine tecnico legate agli appuntamenti di fine anno. Il Wti con consegna a gennaio intorno alle 18.00 scambia a 40,77 dollari al barile in calo del 6,49% dopo aver toccato un minimo a 402 dollari sui minimi da 4 anni. Il Brent con consegna a febbraio perde l'1,63% a 45,89 dollari.

mercoledì 17 dicembre 2008

L´oro nero made in Italy, un miliardo di barili

da La Repubblica

Oltre un miliardo di barili di petrolio. È l´oro nero custodito nel ventre della Lucania, la regione italiana che oggi da sola produce l´80% del greggio italiano. Il cuore è la Val d´Agri, dove opera l´Eni, il colosso petrolchimico controllato dallo Stato. Qui, secondo le stime ufficiali, sono custoditi 465 milioni di barili di petrolio, ai quali vanno sommati i 100 milioni di Montegrosso e i 480 milioni del giacimento di Tempa Rossa, concesso a una società partecipata al 50% dalla Total, al 25% da Exxon e da Shell.
Nella Val d´Agri, l´unico giacimento operativo, vengono estratti ogni giorno 85mila barili, ma nel giro di un paio d´anni supereranno quota 100mila. Entro il 2012, poi, dovrebbero arrivare a regime anche i 50mila promessi dalla Total, per un totale di 150mila barili. Si tratta più o meno del 7,7% del fabbisogno giornaliero del petrolio in Italia che si aggira intorno a 1,95 milioni di barili. L´attività dell´Eni in Val d´Agri è cominciata nel 1997. Il greggio estratto viene trasportato dal Centro Oli di Viggiano (Potenza) alle raffinerie di Taranto attraverso l´oleodotto Val d´Agri, lungo 136 chilometri.
La Total, invece, ha appena iniziato a sviluppare la sua attività a Tempa Rossa nella Valle del Sauro, nel territorio del comune di Corleto Perticara in provincia di Potenza. La compagnia francese ha investito nel progetto lucano 250 milioni di euro e prevede di investirvene altri 800. Il Centro Oli verrà costruito proprio nel comune di Corleto Perticara, dove la Total ha acquisito per 99 anni, pagando 1,4 milioni di euro, il diritto di superficie su un´area di 555mila metri quadrati. Saranno altri 30 i comuni interessati all´estrazione del petrolio. I benefici per la Lucania sono costituiti dai diritti, "le royalties", che le compagnie petrolifere devono pagare sul greggio estratto. Queste ammontano al 7% del valore degli idrocarburi estratti dalla terra e al 4% di quelli estratti dal mare: il 15% delle royalties finiscono nelle casse dei comuni, mentre l´85% in quelle della regione Lucania. Dai pozzi di Viggiano sono già arrivati circa 500 milioni di euro.
I risvolti negativi, invece, derivano dall´inquinamento, come quello delle fragranze pericolose per l´uomo: in Italia l´idrogeno solforato per esempio è tollerato con limiti diecimila volte superiori a quelli degli Stati Uniti. E dalla occupazione, che, nonostante i buoni propositi, stenta a decollare.

«Mediterraneo strategico per le energie rinnovabili»

Due eventi politici maggiori degli ultimi mesi ridefiniscono le possibilità di sviluppo delle energie rinnovabili: lo storico accordo europeo della settimana scorsa sul pacchetto clima- energia; la nascita in luglio dell'Unione per il Mediterraneo. Da un lato un quadro di riferimento normativo e dall'altro un nuovo slancio per la cooperazione tra Nord e Sud. In questo ambito, e a pochissimi giorni dall'intesa di Bruxelles, si è svolta ieria Parigi la conferenza finale del «Piano d'azione per lo sviluppo delle energie rinnovabili nei Paesi del Sud e dell'Est mediterraneo ». Nell'auditorium di Gaz de France Suez si sono dati appuntamento esperti del settore e top manager dei grandi gruppi europei energetici e ambientali con l'obiettivo di definire il nuovo asse di cooperazione tra le due sponde del Mediterraneo per lo sviluppo di centrali eoliche e solari. Per l'Italia ha partecipato, tra gli altri, il presidente di Enel,Piero Gnudi,anche in veste di presidente dell'Osservatorio Mediterraneo dell'Energia (Ome). Secondo Gnudi, le prospettive di crescita nell'area sono più che buone per l'industria energetica: «Nella sponda Sud del Mediterraneo si verificano tre condizioni ideali per lo sviluppo delle rinnovabili: il sole, il vento e lo spazio, elementi che da noi è sempre più difficile trovare combinati. Non si tratta soltanto di creare delle interconnessioni, ma di costruire in loco impianti per la produzione di energia rinnovabile». Ed è qui che scatta il legame con l'accordo climatico europeo poiché si ampliano le possibilità sia di ottenere CDM (Clean Development Mechanism) sia Certificati Verdi e partecipare così al processo globale di riduzione delle emissioni di Co2.«Oggi –prosegue Gnudi - il mercato dei diritti di emissione rappresenta già 80 miliardi di euro, ma il giorno in cui anche Cina e Stati Uniti dovessero entrare negli impegni del protocollo di Kyoto, si passerebbe a circa 2mila miliardi».
Enel, sostiene il suo presidente, intende giocare un ruolo da protagonista nelle rinnovabili: all'inizio del mese è stata lanciata Enel Green Power, già una delle società più grandi d'Europa nel settore, mentre gli investimenti nel periodo 2008-2012 ammontano a 6,8 miliardi di euro. Gnudi ritiene vitale, per le aziende del settore,mantenere un'adeguata capacità d'investimento: «Questa crisi ha già fatto tanti danni e non vorrei che facesse anche perdere il senso del futuro. Se smettiamo di investire e l'economia riparte, allora anche i 150 dollari al barile del luglio scorso potranno sembrarci pochi. La crisi è mondiale e dunque la ripresa sarà mondiale anch'essa». Il presidente di Enel vede molte aziende, anche grandi, spaventate, e sempre meno disposte a investire. E come molti altri manager del settore ritiene che il fatidico picco dei 150 dollari sia stato il frutto di lunghi anni in cui, col petrolio a prezzi relativamente bassi, gli investimenti erano rimasti al palo.(tratto da Il Sole 24 Ore)
Vedi anche "L’energia responsabile" secondo Paolo Scaroni, amministratore delegato dell’Eni.

martedì 16 dicembre 2008

Petrolio Basilicata: arrestato Ad Total Italia

L'amministratore delegato di Total Italia, Lionel Levha, e' stato arrestato, questa mattina, su ordine del Gip di Potenza nell'ambito di un'inchiesta condotta dal sostituto procuratore Henry John Woodcock su presunte tangenti legate all'estrazione petrolifera in Basilicata. Nell'inchiesta risulta coinvolto anche un parlamentare del PD, Salvatore Margiotta, leader del partito nella Regione. Per Margiotta il gip ha avanzato - cosi' come previsto dalla procedura - richiesta di arresti domiciliari alla competente commissione della Camera dei deputati.

Eni e gli altri soffriranno ma la redditività resta alta

Cosa succederà in Borsa ai titoli energetici secondo il Sole 24 Ore.


Quando il greggio vola, i titoli petroliferi non possono far altro che salire.Ovvio che la vecchia pratica di Borsa valga allo stesso modo anche in circostanze opposte.
E lo si è visto con nettezza negli ultimi mesi. Con il petrolio che è letteralmente tracollato dagli oltre 140 dollari dell'estate ai poco più di 40 di questi giorni, accompagnando così la caduta dell'Eni di Paolo Scaroni che dai picchi di 26 euro del maggio scorso è arrivata a toccare il fondo dei 14 euro nei giorni scorsi.

Poi ecco il toccasana (per le quotazioni) dell'intervento dei libici che ha permesso un violento rimbalzo e farà da supporto ai valori nell'immediato futuro. Con Eni (vedi anche a pagina 30) hanno sofferto un po' tutti, ma i più esposti a una contrazione dei prezzi del petrolio sono titoli come Saipem e Tenaris che stanno a monte della filiera energetica.
Se il prezzo si stabilizzerà al ribasso verranno meno le commesse per nuovi pozzi e quindi il portafoglio ordini delle due società finirà per sgonfiarsi rispetto ai volumi record degli scorsi anni. E il mercato finirà per adeguarsi al clima.

In realtà è già successo con Saipem: basti pensare che solo a fine maggio di quest'anno il titolo valeva 30 euro.
Oggi pur tra scossoni e rimbalzi veleggia sopra quota 12. Tenaris e Saipem sono anche i titoli più volatili e terreno di caccia degli investitori professionali che con il trading giornaliero cercano di cavalcare i picchi delle oscillazioni.
Più difficile per i neofiti la lettura di titoli come Erg e Saras.
Ciò che influenza i valori sono i margini di raffinazione e il loro andamento non è sempre lineare rispetto al prezzo del barile.Stagione chiusa quindi per i titoli del greggio?
Non è detto. Certo la crisi globale dei listini e un petrolio ipotizzato dal Dipartimento dell'Energia Usa attorno alla soglia dei 50 dollari nel 2009, non depongono a favore dei titoli petroliferi. Ma sbarazzarsene sarebbe un grave errore.
Basti guardare all'Eni.
Non solo l'acquisto sul mercato dei libici farà da sostegno ai prezzi, ma se il greggio non sarà trascinato a fondo dalla recessione, la società petrolifera resta una formidabile macchina da soldi. Certo farà meno utili che negli anni passati, ma avercene di titoli che marciano con un ritorno sul capitale del 20%.

lunedì 15 dicembre 2008

Come l’uomo spreme Gaia, il pianeta vivente

Da L'Opinione

Per petrolio, gas naturale e carbone ne abbiamo, se realtà e previsioni coincidono, per 42, 67 e 164 anni, ma potrebbero anche diventare 33, 53 e 151. Dopodiché ripiombiamo nel rinnovabile... e buona notte. Sono questi i tempi calcolati da uno storico studio del Mit commissionato dal Club di Roma nel 1972. L’unica soluzione possibile è nella forza dell’atomo

James Lovelock (scienziato inglese) ha introdotto, per la prima volta, l’ipotesi di Gaia nel 1972 in collaborazione con Lynn Margulis, biologa nota per la classificazione in 5 regni dei viventi. Il Pianeta Terra viene visto come un superorganismo come già aveva fatto James Hutton, geologo scozzese, nel suo Theory of the Earth with Proof and Illustrations del 1785. Questa teoria è stata riportata, poi, da Lovelock nel 1979 in “Gaia. A New Look at Life on Earth”. Nella sua prima formulazione l’ipotesi Gaia, che altro non è che il nome del pianeta vivente (derivato da quello dell’omonima divinità femminile greca, nota anche col nome di Gea), si basa sull’assunto che gli oceani, i mari, l’atmosfera, la crosta terrestre e tutte le altre componenti geofisiche del pianeta terra si mantengano in condizioni idonee alla presenza della vita proprio grazie al comportamento degli organismi viventi. Ora, nel momento che si vuole fare un ragionamento sulle risorse di questo pianeta mi si consenta qualche accenno introduttivo al Club di Roma. Il Club di Roma fu fondato nell’aprile del 1968 dall’italiano Aurelio Peccei e dallo scienziato scozzese Alexander King, insieme a premi Nobel, leader politici e intellettuali. Il nome del gruppo nasce dal fatto che la prima riunione si svolse a Roma, presso la sede dell’Accademia dei Lincei alla Farnesina. Nel 1972 uno studio del Mit (Massachusetts Institute of Technology) commissionato dal Club di Roma accese l’attenzione sulla scarsità del petrolio e sul limite dello sviluppo.

Premiate e bocciate, i "voti" alle società petrolifere

Da Affari & Finanza

Il settore energetico è chiamato ad affrontare crescenti sfide in termini di sviluppo sostenibile per la rilevanza sia dei suoi impatti ambientali, che contribuiscono in modo decisivo ai cambiamenti climatici, sia dei suoi impatti sociali, dal momento che molte società del settore operano in alcune delle aree più geopoliticamente a rischio del globo. Le capacità delle società petrolifere di gestire i rischi sociali e ambientali associati alle proprio attività di business sono state analizzate nel rapporto 2008 sul settore energetico europeo pubblicato dall’agenzia di rating ambientale e sociale Vigeo.Secondo le stime dell’International Energy Agency, la domanda globale di energia crescerà ad un tasso annuo dell’1,6% fino al 2030 e i combustibili fossili continueranno ad essere la principale fonte d’energia; in particolare, la domanda di petrolio e quella di gas naturale cresceranno rispettivamente dell’1,3% e del 2% su base annua. Se a queste previsioni si aggiunge il processo di nazionalizzazione delle risorse energetiche attuato in alcuni Paesi e la crescente competizione delle compagnie petrolifere nazionali che detengono complessivamente il 77% delle riserve mondiali, si capisce come l’accesso a nuove riserve sia uno dei driver che indirizzano le strategie delle multinazionali del settore. Queste in particolare si traducono, per quanto riguarda l’upstream, nell’estrazione di oli non convenzionali, il cui processo genera una quantità di emissioni di gas ad effetto serra almeno tre volte superiore a quella generata dall’estrazione di greggio convenzionale; nello sviluppo di progetti d’esplorazione particolarmente complessi come il progetto Kashagan in Kazakhstan o il progetto Sakhalin in Russia; e nell’intensificarsi dei processi di esplorazione e produzione anche nei paesi geopoliticamente instabili. Lo studio realizzato da Vigeo prende in considerazione 16 società petrolifere appartenenti all’indice Dow Jones STOXX 600 Europe e ne analizza il profilo di responsabilità sociale in 6 aree d’indagine: diritti umani, risorse umane, ambiente, business behaviour, corporate governance e relazioni con le comunità locali.Nell’ambito delle risorse umane, l’area della salute e sicurezza è quella nella quale le società ottengono il punteggio medio più elevato (su tutte, l'Eni guidata da Paolo Scaroni e Total), mostrando di aver adottato politiche e programmi adeguati per gestire questi aspetti. Il maggior rischio riguarda i contrattisti che non sempre sono coperti dai sistemi di gestione implementati dalle compagnie petrolifere. Per quanto concerne le relazioni sindacali, i risultati conseguiti sono eterogenei. Se da un lato ci sono società che non forniscono informazioni sugli strumenti adottati per promuovere le relazioni sindacali, dall’altro ci sono compagnie, come Eni e StatoilHydro, che hanno definito con i sindacati un accordo sulle relazioni industriali a livello internazionale. L’area ambiente, nella quale Shell e BP ottengono il punteggio più elevato, è una delle aree maggiormente critiche. La ricerca di Vigeo ha evidenziato che le performance ambientali sono complessivamente peggiorate nell’ultimo triennio sia nell’upstream che nel downstream. Per quanto riguarda la gestione dei gas ad effetto serra, solo Total, StatoilHydro e BP hanno già avviato progetti di confinamento geologico di CO2 mentre, in tema di riduzione del gas flaring, sono ancora minoritari i progetti di valorizzazione e riutilizzo del gas naturale associato al petrolio. Sebbene la produzione di biodiesel sia rapidamente cresciuta nel corso degli ultimi anni, l’investimento nella ricerca e nello sviluppo di altri combustibili alternativi e di energie rinnovabili rimane, con l’eccezione di BP, ancora marginale. Nei rapporti con le comunità locali i principali operatori hanno implementato programmi volti alla promozione dello sviluppo economico e sociale delle aree in cui operano. Solo una minoranza, tra cui Eni, Shell e BG Group, conduce invece valutazioni di impatto sociale dei progetti d’esplorazione e produzione. Tuttavia la persistenza di situazioni critiche come quella del Delta del Niger — dove le comunità locali hanno intrapreso azioni legali contro le major operanti nella regione, tra cui Shell, Total ed Eni — mostra non solo i rischi a cui sono esposte le società petrolifere in questo ambito ma anche l’importanza di definire misure di riduzione dell’impatto con il coinvolgimento diretto delle comunità locali interessate.

venerdì 12 dicembre 2008

Materie prime, chiude il sito Club Commodity

L’assemblea dei soci di Club Commodity ha messo la parola fine alla comunità di appassionati di materie prime. Quell’indirizzo sul web non sarà più il punto di riferimento di quanti volevano informarsi su petrolio, oro e grano turco. Decisione drastica ma motivata da ragioni di carattere economico, come ha spiegato lo stesso Presidente, Guido Sylvan in una lettera inviata a tutti gli iscritti al sito, “non c’erano più le risorse per andare avanti”. L’assenza di questa realtà si farà sentire visto che in questi dieci anni Club Commodity aveva realizzato importanti progetti e offerto una serie di servizi, fra i tanti ricordiamo la distribuzione della news letter Jurogiin e un evento annuale sul tema delle materie prime il “Commodity Day”. (da Milano Finanza)

20-20-20

Gli obiettivi che tra mille difficoltà si propone l’Europa per combattere l’inquinamento sono sostanzialmente tre: ridurre le emissioni di gas serra del 20 per cento entro il 2020; arrivare ad una quota del 20 per cento di energie rinnovabili (alternative al petrolio e al nucleare) entro la stessa data; infine, migliorare l’efficienza degli impianti energetici del 20 per cento. Dalla combinazione di queste tre cifre deriva la definizione del cosiddetto obiettivo 20-20-20. (da Il Messaggero).
E le aziende devono considerare l'ambiente una "mission" e non pensare solo ai profitti. Ad esempio ecco cosa l’Eni su iniziativa dell’amministratore delegato Paolo Scaroni, dichiara di fare ogni anno a favore dell’ambiente.

giovedì 11 dicembre 2008

«Ambiente, Italia sempre peggio». Ma è un’ecoballa

Nella graduatoria delle misure anti-Co2 il crollo al 44° posto è solo apparente, dice Il Giorno


RISPETTO alla classifica di due anni fa l’Italia perde ben dieci posizioni, e rispetto allo scorso anno mantiene il poco lusinghiero 41° posto sui 57 maggiori emettitori di Co2. La classifica di Germanwatch e Can Europe, presentata a Poznan e stilata per quanto riguarda l’Italia con il contributo di Legambiente, è un termometro sensibile per indicare la qualità degli interventi per la riduzione dei gas serra dei paesi che globalmente emettono il 90% della Co2. E l’Italia non ne esce bene. In testa alla classifica ci sono, nell’ordine, Svezia, Germania, Francia, India, Brasile, Regno Unito, Danimarca e Norvegia. MA A DIFFERENZA dello scorso anno nessun paese a giudizio di Germanwatch ha fatto abbastanza per piazzarsi ai primi tre posti, che sono stati lasciati in bianco. E’ solo per questo artificio che l’Italia apparentemente slitta in 44° posizione. In realtà nella classifica è e resta al 41°, ma ieri telegiornali e agenzie di stampa hanno dato la notizia della perdita di posizione, senza spiegare il dato. Resta il fatto che tener posizione non è certo un vanto se si considera che solo due anni fa era al 31°e che, rispetto al 1990 (dati agenzia internazionale per l’energia), ha aumentato le proprie emissioni del 12,6%. DAVANTI a noi ci sono paesi in via di sviluppo (e spesso pure produttori di petrolio) come il Messico (11°), il Marocco (17°), l’Algeria (23°) e persino l’Iran (36°). La Cina è 46° e gli ultimi tre posti sono occupati da Usa, Canada e Arabia Saudita, maglia nera. «E’ una performance disastrosa. A salvare l’Italia dagli ultimissimi posti della classifica – sottolinea Alberto Fiorillo portavoce di Legambiente – sono state le poche ma importanti misure adottate in questi anni, come il conto energia per la promozione del fotovoltaico o gli incentivi del 55% per l’efficienza energetica. Misure che paradossalmente sono finite nel mirino dell’attuale governo».

«I libici nell'Eni? Un affare». Arriva l'ok di Berlusconi

Dal Corriere della Sera

«Credo che ci sia tutta la convenienza che la Libia sia parte in questa nostra impresa». Anche perché «l'interesse è reciproco», dal momento che il Paese nordafricano produce petrolio e gas. Sull'ipotizzata partecipazione del fondo sovrano di Tripoli al capitale dell'Eni, diretto da Paolo Scaroni, scende in campo lo stesso capo del governo Silvio Berlusconi. La «simpatia» per l'ingresso di capitali internazionali nelle aziende italiane, tuttavia, non deve però farci dimenticare gli obblighi di vigilanza. Perché, ha aggiunto il presidente del Consiglio, «non gradiremmo che interventi nelle nostre società avvenissero attraverso silenziose operazioni nei mercati borsistici». Il sostanziale via libera del premier all'arrivo dei soci libici, intanto, è servito a consolidare la quotazione dell'Eni a Piazza Affari dopo il balzo di lunedì e il leggero rialzo di martedì. Ieri il titolo del gruppo petrolifero è cresciuto dell'1,46%, superando, nella quotazione di riferimento, la soglia psicologica dei 18 euro.

mercoledì 10 dicembre 2008

I ribassi del greggio mettono un freno agli investimenti

Dal Sole 24 Ore

Guai a gioire del petrolio che precipita sotto i 50 dollari al barile.Guai a non vedere l'altra faccia della medaglia. Che poi è quella che la storia delle altalene petrolifere ci insegna: quando i prezzi si consolidano in alto fioriscono gli investimenti sui nuovi giacimenti "difficili", il cui sfruttamento è remunerativo solo con prezzi di riferimento superiori a una certa soglia. Poi le quotazioni piegano e con esse si "asciugano" anche i piani di investimento. Immancabile, è successo più volte, l'effetto boomerang: la molla disponibilità-domanda si carica e il successivo ciclo rialzista si amplifica.
Ed ecco la doppia cattiva notizia. Sta nuovamente accadendo proprio questo. E il "boomerang" potrebbe essere più violento che mai. Per tutti e in particolare per noi italiani, che dall'import di idrocarburi siamo i più dipendenti. Tant'è che l'allarme trova enfasi nell'editoriale dell'ultimo numero di "Notizie Statistiche petrolifere", il bollettino degli associati all'Unione petrolifera.
«Le compagnie stanno vistosamente subendo il credit crunch e il crollo del prezzo del greggio che, attestandosi intorno ai 50 dollari, si discosta molto da quello preso a riferimento per valutare la convenienza economica degli investimenti programmati o avviati. La conseguenza naturale è la revisione dei piani di spesa e il ritardo o addirittura l'annullamento dei progetti più costosi », se non addirittura «la paralisi degli investimenti lungo tutta la filiera petrolifera, ma in particolar modo nelle più aleatorie attività upstream» si legge nell'analisi affidata dall'Up agli esperti del Rie.
Non è un bel segnale per chi pronosticava, solo qualche mese fa, una pronta accelerazione delle attività di estrazione direttamente nel nostro territorio, nei "campi" della Basilicata o addirittura con lo sblocco dei progetti in Alto Adriatico, come promettevano gli ultimi provvedimenti governativi. Tutto ciò per sfruttare un vero patrimonio italiano, che le ultime stime di Assomineraria quantificano in non meno di 230 miliardi di euro, tra gas metano (130 miliardi di metri cubi di riserve accertate e altri 200 miliardi potenziali) e petrolio (840 milioni di barili accertati e fino a un miliardo di barili potenziali). Il che farebbe dello Stivale il quarto paese europeo nella graduatoria delle riserve, dopo il Nord Europa

Frattini: bene i libici all'8% in Eni. Il 10% è eccessivo

Il governo, secondo il Corriere della sera, pensa che la quota della Libia inell'Eni guidata dall'Ad Paolo Scaroni possa essere «congrua» attorno all'8%, se arrivasse al 10% «cominceremmo ad avere qualche preoccupazione». Lo ha detto il ministro degli Esteri Franco Frattini. Sul tema è intervenuto anche il segretario Cgil Guglielmo Epifani, per il quale manca «un buon disegno» e «si tratta di cose fatte un po' a casaccio».

lunedì 8 dicembre 2008

Nucleare in Italia?

Da Il Messaggero.
Nucleare al primo giro di boa. Lo snodo è l’approvazione definitiva della legge sul rilancio dell’atomo: dopo il sì della Camera, dovrà dare la sua approvazione il Senato, probabilmente prima di Natale. Ma siccome le «Disposizioni sullo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese nonché in materia di energia» potrebbero registrare qualche modifica con successivo ritorno alla Camera, non è da escludere uno slittamento ai primi di gennaio che non influirà più di tanto sulla tempistica. Il traguardo si avvicina e si comincia a ragionare sul concreto: assetti industriali, siti, autorità di controllo...

ENI: L'AD SCARONI INCONTRA VICEPREMIER RUSSO SECHIN

Il vicepremier russo Igor Sechin ha visitato la sede Eni di San Donato Milanese, dove ha incontrato, insieme al ministro dell'Energia Sergei Shmatko, l'Amministratore Delegato, Paolo Scaroni e i vertici della compagnia. Lo rende noto il gruppo petrolifero in una nota aggiungendo che Sechin ha anche visitato il centro di dispacciamento gas di Snam Rete Gas e assistito alla presentazione delle principali attivita' di Saipem. La visita, che si e' svolta "in un clima cordiale, si inserisce nel quadro degli accordi strategici tra Eni e Gazprom". Durante l'incontro "sono stati trattati i temi di cooperazione tra le due compagnie e le opportunita' di sviluppo di Eni in Russia, cosi' come l'eventuale collaborazione tra Saipem e Transneft e tra Enipower e Interrao, nell'ottica di un rafforzamento della cooperazione tra Italia e Russia nel settore energetico". "Le parti - conclude il comunicato - hanno inoltre concordato che tutti i progetti tra Eni e Gazprom, tra cui il South Stream, GazpromNeft e gli asset gas in Siberia Occidentale, saranno implementati il prima possibile". (notizia AGI)

domenica 7 dicembre 2008

Si trova ancora petrolio!

da Borsa & Finanza: China National Petroleum, capogruppo di Petrochina, ha annunciato che quest’anno la società è stata protagonista della scoperta dei sei maggiori giacimenti di petrolio e gas natuarale individuati nel mondo. Secondo quando dichiarato da Jiang Jiemin, presidente del gruppo, nel complesso i nuovi giacimenti di gas naturale garantiranno, per il quarto anno consecutivo, riserve superiori ai 400 miliardi di metri cubici.

La rivincita del cleantech

«Uscire dall'ottica di breve termine e guardare oltre il 2010», è l'invito di Steven Milunovich, esperto di Merrill Lynch nel settore delle energie rinnovabili. «Quando i problemi di finanziamento conseguenti al credit crunch saranno risolti, la strada verso la sesta rivoluzione tecnologica, quella basata su tecnologie pulite e biotecnologie, potrà ripartire a pieno ritmo», spiega Milunovich. L'esperto ritiene non solo inevitabile, ma altamente auspicabile un progressivo passaggio verso la cleantech, definita come l'insieme delle tecnologie innovative designate a ottimizzare l'utilizzo delle risorse naturali e ridurre l'impatto ambientale. Gli obiettivi sono limitare il surriscaldamento globale e scongiurare potenziali sconvolgimenti climatici, ma anche assicurarsi fonti indipendenti e contrastare i crescenti costi dell'energia. Motivazioni su cui tutti sono d'accordo, ma che al momento non sembrano convincere gli investitori, come dimostra il WinderHill New Energy index, l'indice mondiale che misura la performance borsistica dei titoli verdi, sceso quest'anno del 65%. In netta ritirata anche i nuovi collocamenti che, secondo Dealogic, a livello globale ammontano a soli quattro miliardi di dollari, contro 14 miliardi del 2007. Una volta superata la crisi, che ha drasticamente ridotto la liquidità del sistema, «il ruolo del venture capital è essenziale, sebbene i lunghi tempi di realizzazione e gli elevati capitali che sono necessari per realizzare i progetti di cleantechnology possano rappresentare in alcuni casi un ostacolo non facile da superare». Ma un portafoglio di investimento specializzato nelle energie rinnovabili, che deve avere necessariamente una prospettiva di lungo termine, su quale settore dovrebbe puntare?
L'esperto di Merrill Lynch non ha dubbi: «Sul solare, perchè, nonostante i limiti geografici e gli alti costi che implica, è quello che offre il miglior rapporto prezzo-performance».
(tratto da Milano Finanza)
E anche i grandi gruppi italiani iniziano a muoversi. Questo è quello che l’Eni, ad esempio, su iniziativa dell’amministratore delegato Paolo Scaroni, dichiara di fare ogni anno a favore dell’ambiente : http://sostenibilita.eni.it.2007.bilanciinterattivi.com/impegno/impegno/sviluppo/

giovedì 4 dicembre 2008

Benzina e bollette, il petrolio dà una mano

Da Avvenire

Giulio Tremonti difende alla Camera il decreto anti-crisi. Se la Germania, che ha conti assai migliori dei nostri, «non spinge sul deficit, non possiamo fare noi i fenomeni » che abbiamo un «debito pubblico record », anche se il ministro dell’Economia invita pure a guardare al debito privato che ci vede invece meglio di tanti altri. E comunque dare 4 euro in più al giorno alle fasce deboli, come avverrà questo mese per la carta acquisti, «è considerata un’elemosina forse nei salotti...», aggiunge Tremonti con una stoccata pungente alla sinistra. Il grosso dei benefici agli italiani dovrebbe venire però dal canale ricordato da Claudio Scajola, anch’egli ascoltato in commissione alla Camera: dalla discesa dei prezzi del petrolio (ieri finito sotto i 47 dollari al barile, a 46,84) e, quindi, di benzina, gas e luce, verrà un risparmio annuo valutabile in media fra i 2.800 e i 3mila euro, ricorda il titolare dello Sviluppo economico. Ma le tariffe scenderanno «non per merito del governo », precisa l’ex ministro Linda Lanzillotta, per un Pd che poi si scaglia pesantemente all’attacco di un altro ministro, Maurizio Sacconi ( Welfare), definito «assolutamente irresponsabile » per il presunto accenno fatto nel programma tv 'Economix' a un rischio bancarotta dell’Italia, tipo Argentina 2001: dopo aver negato dissidi con Tremonti, Sacconi ha tuttavia precisato successivamente di «non aver mai detto che vi può essere tale rischio, ma solo che il debito è un vincolo ineludibile». Nel bailamme polemico c’è però un altro risvolto vantaggioso per gli italiani: Tremonti fa sapere di essere d’accordo a far cancellare dal Parlamento la tanto contestata applicazione già da gennaio scorso dei limiti posti allo sgravio fiscale del 55% sugli interventi di risparmio energetico (infissi, pannelli solari, ecc.), che avevano messo in forse l’agevolazione per quanti avessero già fatto i relativi lavori durante quest’anno. La norma sarà rivista per il 2008 dunque («La retroattività non ci può essere»), ma per i bonus fiscali in genere il ministro lancia un avvertimento: «Basta con i crediti d’imposta usati come un bancomat », è «incivile» concederli senza «coperture certe» e «questo non acun cadrà più con il nostro governo». U- na buona notizia solo a metà, che chiude uno dei tanti casi aperti dal varo delle misure di sostegno a famiglie e imprese. Si tratta di «un cantiere aperto », osserva Tremonti che ha un botta e risposta polemico col ministroombra Pierluigi Bersani: «Non c’è stata inerzia, è stata lunga la discussione nelle sedi europee ». Poi una rapida carrellata sulle decisioni prese, muovendo dalla premessa che «il nostro vincolo non è il Patto Ue sul deficit, ma il mercato finanziario» sul quale vanno collocati i nostri titoli pubblici.

Tra lunedì e martedì Eni ed Enel hanno perso in borsa quasi il 10% del loro valore di mercato

Da Il Riformista

Tra lunedì e martedì Eni ed Enel hanno perso in borsa quasi il 10% del loro valore di mercato. Perdite ben superiori alle complessive perdite di borsa. La causa di questo vero e proprio crollo è stata individuata principalmente, come già ha scritto questo giornale, nei contenuti delle decisioni governative scaturite dal Consiglio dei Ministri di venerdì. Interpretate come decisione di un blocco generalizzato delle tariffe, comprese quelle di competenza dell'Enel di Fulvio Conti e dell'Eni di Paolo Scaroni. Successivamente si è tentato di mettere una pezza al danno fatto precisando che non erano oggetto del Consiglio dei Ministri le tariffe dell'elettricità e del gas. Anche perché nel frattempo qualcuno si era ricordato che la regolazione dei prezzi di elettricità e di gas non è competenza del governo, bensì dell'Autorità di settore.Non soddisfatto della confusione già generata da un provvedimento pensato male, comunicato male e gestito ancor peggio, il ministro Calderoli ha pensato bene di aggiungere che il governo aveva rinunciato allo stop alle tariffe di elettricità e gas solo perché esse erano in naturale discesa a causa della diminuzione del costo del petrolio. Contraddicendo in questo modo quanto affermato poco prima a proposito della non volontà del governo di dover intervenire sulle tariffe di elettricità e gas.Il governo ha in questo modo inflitto prima di tutto un danno allo Stato italiano, che è di gran lunga l'azionista principale di queste due aziende. Ma ha contemporaneamente inflitto un danno altrettanto grave ai milioni di risparmiatori che conservano questi titoli nei loro cassetti.A tutto ciò dobbiamo aggiungere la ciliegina su questa torta mal riuscita. Non più tardi di qualche settimana fa il premier Berlusconi, nei suoi ripetuti tentativi di infondere fiducia tra i perplessi cittadini italiani, aveva rivolto un invito esplicito a comprare azioni di Eni e di Enel. Chi ha seguito il suo consiglio ha dunque subito un danno patrimoniale provocato dal governo stesso che l'aveva consigliato. Un ulteriore caso di quel venir meno delle funzioni di garanzia e di neutralità che le istituzioni pubbliche dovrebbero avere. E un ulteriore caso di inutile e controproducente interventismo del presidente del Consiglio.

mercoledì 3 dicembre 2008

Tariffe, niente blocco per Enel e Eni

Un'intera giornata in balia del mercato con l'Enel di Fulvio Conti, l'Eni di Paolo Scaroni , e la Terna subissate dagli ordini di vendita. Poi ieri, Giulio Tremonti ha lanciato una ciambella di salvataggio alle partecipate del Tesoro chiarendo con un comunicato ufficiale che il blocco delle tariffe inserito nel decreto salva-crisi di venerdì non vale per luce e gas. Secondo via XX settembre quelle circolate sul mercato sarebbero state «interpretazioni devianti, strumentali ed interessate». Ma probabilmente a spaventare Giulio Tremonti sono stati anche i report delle banche d'affari che hanno paventato per Enel la riduzione del 10% degli utili per azioni, la diminuzione del Mol fino a 700 milioni e, addirittura, la possibilità di dover ricorrere ad un aumento di capitale (il Tesoro controlla pur sempre il 30% della società). Ieri lo stesso Fulvio Conti si è affrettato a definire come «eccessive» le stime degli analisti, ridando fiato al titolo. Ma se sul blocco delle tariffe chiarezza è fatta (rimane solo l'obbligo dell'Authority di verificare che i prezzi riflettano la riduzione del barile), resta da sciogliere il nodo della formazione del prezzo sulla borsa elettrica e quello delle tariffe di dispacciamento. La tensione già alta dentro Confindustria tra i produttori di Assoelettrica e i grandi consumatori (si veda MF-Milano Finanza di ieri), è salita alle stelle. Ieri l'associazione della quale fanno parte Enel, Edison, Acea, A2A e altri 200 produttori, secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza, ha inviato una lettera a Emma Marcegaglia chiedendo un incontro urgente per avere conto del comportamento del vice presidente con delega all'energia (Antonio Costato) al tavolo del ministero dello Sviluppo nel quale si stava discutendo della riforma della Borsa elettrica. Era stato Costato a presentare le slide poi utilizzate da Calderoli per illustrare le nuove norme di funzionamento della Borsa. Assoelettrica, che ha deciso di lasciare il tavolo, ha anche sospeso il rinnovo dei contratti di fornitura bilaterali, quelli cari ai grandi consumatori e che passano fuori Borsa. Senza più il Pun, il prezzo unico nazionale che si forma sul mercato, hanno spiegato, quei contratti non possono essere conclusi. Così come senza il Pun è destinato a saltare il mercato dei derivati finanziari elettrici altrettanto caro ai soci di Viale dell'Astronomia. (Da Milano Finanza)

Petrolio ancora giù sotto i 46 dollari. L'Opec vuole Mosca

Chiusura in netta flessione per il petrolio Wti a New York a 46,96 dollari, in calo di 2,32 dollari. Il ministro algerino dell'Energia e presidente dell'Opec, Chakib Khelil, ha invitato Russia, Norvegia e Messico a entrare a far parte dell'Opec.

martedì 2 dicembre 2008

La crisi globale spinge il petrolio sotto i 50 dollari

articolo tratto da La Stampa

Il barile va a picco, trascinato - con le borse - dalla paura della recessione. A New York il Wti ieri ha ceduto l’8 per cento sulla scia dell’indice Ism manifatturiero, calato al minimo in 26 anni, e poi è crollato ulteriormente quando il National Bureau of Economic Research ha reso noto che l’economia americana è entrata in recessione nel dicembre 2007: la chiusura ha segnato un calo del 9,4 per cento, a 49,28 dollari al barile, in ribasso di 5,15 dollari rispetto alla chiusura di venerdì. Non è andato meglio il brent, l’oro nero che si estrae dal mare del Nord: ha ceduto più del 10 per cento, fermandosi a 47,97 dollari al barile, in calo di 5,52 dollari.
Le quotazioni, negli Stati Uniti, sono state appesantite soprattutto della grande frenata del settore manifatturiero e delle spese per consumi, che hanno rapidamente fatto calare la domanda di energia, motivo per cui il barile ha bruciato quasi il 66% del proprio valore dai massimi di luglio, quando aveva toccato il tetto record di 147,27 dollari. Anche la politica dei paesi produttori, naturalmente, fa la sua parte. L’Opec sabato scorso al Cairo ha escluso ulteriori tagli della produzione prima della riunione ufficiale in programma per il 17 dicembre in Algeria, ad Orano, e questo ha influito sull’andamento del barile di ieri. Non è l’ultima parola del cartello, però. Dal vertice algerino gli analisti si aspettano una riduzione, che potrebbe anche essere massiccia, visto che, secondo il segretario generale dell’Opec Abdullah el-Badri, «un taglio tra gli uno e gli 1,5 milioni di barili non sarebbe decisivo nel fermare il calo dei prezzi».
Sull'ipotesi di un taglio consistente preme anche l’Iran, per il quale «il mercato globale è sovrafornito con due milioni di barili al giorno». Secondo il ministro del Petrolio Gholam Hossein Nozari, «bisogna trovare un equilibrio tra domanda e offerta». «Speriamo - ha aggiunto - che i prezzi non scendano più di 50 dollari al barile, ma se dovessero calare, ciò non ci sorprenderebbe perché la crisi finanziaria globale è molto più profonda di quanto si creda».

«Non processate il capitalismo»

Attenti al riflusso anti-capitalista. E' questo il messaggio, rilanciato dal Corriere della Sera di oggi, che Andri Shleifer, economista di origine russa docente a Harvard, e Guido Tabellini, rettore della Bocconi, hanno lanciato ieri al convegno su «Il capitalismo è nudo?» organizzato dalla Fondazione Eni Enrico Mattei, presieduta da Paolo Scaroni.

lunedì 1 dicembre 2008

Gas serra, emissioni in aumento

E' sempre piùimportante pensare a come razionalizzare i consumi , vedi intervista a Paolo Scaroni ad dell'Eni, anche a seguito della notizia pubblicata dal Corriere della Sera:

"Inventario dell'Onu in 40 Paesi industrializzati L'Italia è tra i «cattivi»: più 9,9% in sette anni."
Le cifre Nel periodo 2000-2006 il carico di anidride carbonica è balzato da 17,6 a 18 miliardi di tonnellate, il 2,3% in più I «buoni» Germania (-18,2%), Gran Bretagna (-15,1%) e Francia (-3,5%) sono nella zona bianca della classifica stilata dall'Onu.....Il documento dell'Onu mette poi a confronto le variazioni percentuali delle emissioni dei singoli Paesi industrializzati nel periodo 1990-2006, partendo da coloro che più le aumentano e finendo con quelli che più le riducono. Insomma, carbonizzatori in testa e decarbonizzatori in coda. E così scopriamo che, ai primissimi posti, c'è uno strano miscuglio di Paesi benestanti e relativamente più poveri, accomunati dal fatto che si sviluppano contravvenendo clamorosamente agli obblighi di riduzione di Kyoto: Turchia (+95,1%), Spagna (+50,6%), Portogallo (+40%), Australia (+28,8). La nostra Italia (+9,9%) si trova al quattordicesimo posto, nella zona nera, preceduta da Stati uniti (+14,4%) e Finlandia (+13,2%) e seguita da Norvegia (+7,7%) e Giappone (+5,3%).

E contro il caro-gasolio torna la borsa d´acqua calda

da La Repubblica

La crisi economica globale sommata alla minaccia del cambiamento climatico sta producendo un sorprendente boom per un oggetto a basso costo e a bassissima tecnologia che sembrava destinato a scomparire: la vecchia boule, la borsa di plastica dell´acqua calda, solitamente di colore arancione o rossiccio, da tenere stretta al corpo per riscaldarsi, avvolta in un asciugamano o in una coperta per non bruciarsi quando scotta. Un rimedio vecchio stile, utilizzato in passato sia per combattere il freddo in case poco riscaldate, sia per provare un po´ di sollievo dopo un´indigestione o un malessere di qualsiasi tipo. Ma adesso la borsa dell´acqua calda vive un inaspettato revival. A Tokyo e un po´ in tutto il Giappone, informa il Times, va a ruba: è l´unico articolo che ha aumentato a dismisura le vendite, nonostante la recessione che ha colpito anche il paese del Sol Levante. Il motivo, secondo gli esperti, è che permette di risparmiare sulle spese del riscaldamento e in tal modo riduce anche i danni per l´ambiente: una boule di acqua calda, usata al posto dell´energia necessaria per scaldare una casa di notte, equivale a una riduzione di 30 chilogrammi di emissioni di ossido di carbonio l´anno. In più, come osserva il quotidiano londinese, è un antidoto ideale contro la depressione.A Hokkaido, la regione più fredda del Giappone, le vendite della borsa dell´acqua calda sono aumentate del 260 per cento rispetto a un anno fa. A Tokyo se ne vendono in tutte le versioni, dalla più cara a 120 euro alla più economica a sei. Una ditta giapponese ne ha lanciata perfino una da indossare come un paio di scarpe, sopra i calzini, per riscaldare i piedi. Pare che il fenomeno non riguardi solo il Giappone: sarebbe il segno di un ritorno ai metodi del passato, semplici ed economici, per sopravvivere al tempo della crisi.