venerdì 30 gennaio 2009

Shell, profitti da record nel 2008

Utili di 3,5 milioni di dollari all'ora e 85 milioni di dollari al giorno: questo il record conquistato nel 2008 da Royal Dutch Shell, che ha annunciato ieri i profitti annuali più alti di tutti i tempi per una società europea, pari a 31,4 miliardi di dollari, un aumento del 14% rispetto ai 27,6 miliardi del 2007. Negli ultimi tre mesi dell'anno, però, la frenata del prezzo del petrolio ha portato a un drastico calo degli utili del gruppo, scesi del 28% a 4,8 miliardi di dollari dai 6,7 miliardi dello stesso periodo del 2007 e più che dimezzati rispetto ai 10,9 miliardi del trimestre precedente.Il calo degli utili è strettamente collegato all'andamento del mercato: negli ultimi tre mesi dell'anno il prezzo del petrolio è stato in media di 57,60 dollari al barile, rispetto ai 111 dollari del trimestre precedente, durante il quale aveva toccato i 147 dollari al barile. Il calo del prezzo del petrolio è stato in parte compensato per Shell da un aumento del prezzo del gas in Europa, che però quest'anno si prevede torni a scendere. Il petrolio ieri veniva scambiato a 41 dollari al barile.Più che sull'atteso calo degli utili l'attenzione degli analisti era puntata soprattutto sull'annuncio del gruppo relativo al dividendo, considerato una "spia" del reale stato di salute del gruppo. Shell non ha deluso gli azionisti, dichiarando un dividendo di 40 centesimi per l'ultimo trimestre 2008, un aumento dell'11%,e annunciando un dividendo di 42 centesimi, in aumento del 5%, per il primo trimestre 2009. La decisione ha rassicurato i molti investitori ed è stata definita dagli analisti un segnale positivo di fiducia nelle prospettive del gruppo. «La forza del bilancio ci rende fiduciosi che il dividendo sia sostenibile anche in un contesto di bassi prezzi del petrolio», hanno detto ieri gli analisti di Merrill Lynch ribadendo la raccomandazione "buy" sul titolo.La performance di Shell è stata definita «soddisfacente» da Jeroen van der Veer, il chief executive della società che lascerà l'incarico a fine giugno: «La nostra strategia resta quella di pagare dividendi concorrenziali e in aumento e di fare grandi investimenti nel gruppo per ottenere profitti in futuro». (dal Sole 24 Ore)

Eni, nuovo giacimento gas nel Mare del Nord

L'Eni di Paolo Scaroni ha scoperto un giacimento a gas e condensati nel settore centrale del Mare del Nord britannico. Il pozzo esplorativo Culzean è stato completato con successo, confermando la presenza di un accumulo di idrocarburi. (da Italia Oggi)

giovedì 29 gennaio 2009

Total lancia l'Opa ostile su Uts energy

Da Il Sole 24 Ore

Il settore petrolifero si troverà pur alle prese con una fase congiunturale a dir poco critica, come dimostrano le perdite record registrate ieri dalla statunitense ConocoPhillips. Eppure c'è chi, come la francese Total, cerca di cavalcare l'onda dei ribassi borsistici e prova la carta del consolidamento. Il terzo maggior gruppo petrolifero europeo ha infatti lanciato un'Opa da 617 milioni di dollari canadesi (pari a 385 milioni di euro) su Uts Energy, società petrolifera canadese che detiene alcuni importanti giacimenti nel Paese nord americano.L'offerta, interamente cash, integra un premio del 57% rispetto ai prezzi attuali del titolo canadese. Troppo poco, secondo gli analisti, per un gruppo, come Total, che è ricco di una capitalizzazione di 120 miliardi di euro.Abbastanza, invece, se si considera come il settore risenta di una drammatica frenata dei prezzi del barile, crollati nel giro di poco più di un semestre di oltre cento dollari. E che l'estrazione del greggio nelle sabbie bituminose canadesi sia tradizionalmente più complessa, e per questo anche più costosa. Il principale asset di Uts Energy è costituito oggi dalla proprietà del 20% di Fort Hills, nell'area di Athabasca, nell'Alberta nordorientale. Un sito su cui Total il cui titolo ieri a Parigi è salito del 2,4% - vuole investire almeno 10 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni, sebbene il ritorno immediato, secondo alcune stime, non sia garantito.Da parte di Uts Energy nonè arrivato alcuno stop preventivo: il cda della società ha avvertito tramite una nota che «esaminerà l'offerta e valuterà la proposta nell'interesse dei propri azionisti».L'annuncio di Total è arrivato proprio mentre la statunitense ConocoPhillips diffondeva il bilancio trimestrale, il primo del dopo-crollo dei prezzi del greggio. Un rendiconto drammatico, quello della terza società petrolifera americana, che nel quarto trimestre 2008 ha registrato una perdita netta di 31,8 miliardi di dollari: la peggiore della sua storia, la prima dopo sei anni di bilanci positivi. Colpa di svalutazioni di asset per 34 miliardi di dollari da ricondurre proprio alla caduta dei listini del greggio. Nello stesso periodo del 2007, infatti, il gruppo americano aveva registrato utili pari a 4,4 miliardi.Il timore è che il rosso record della major sia solo il primo di una lunga serie che segnerà le trimestrali dei giganti mondiali: sempre ieri, Hess, il quinto maggior produttore americano di petrolio, ha riportato una perdita netta(anche in questo caso per la prima volta in sei anni) di 74 milioni di dollari nel quarto trimestre 2008 contro un utile netto di 510 milioni di dollari dell'anno precedente.

Energia, Putin rilancia sui gasdotti

Da Il Sole 24 Ore

La Russia (insieme al gigante cinese) è pronta a giocare un ruolo da protagonista di fronte alla crisi che «ha spazzato via tutte le investment bank americane», una turbolenza che «assomiglia a una tempesta perfetta», che ha colto molti di sorpresa, mentre «tutti correvano a prendere la loro fetta di torta, fosse un dollaroo un miliardo, e non hanno voluto accorgersi delle marea che stava salendo».Il primo ministro russo Vladimir Putin, (vestito scuro e cravatta rosso-bordeaux), nel suo intervento alla cerimonia di inaugurazione del World economic forum a Davos, non ha rinunciato a togliersi qualche sassolino dalla scarpa nei confronti del sistema finanziario degli Stati Uniti a cui ha rilanciato la necessità di «ricostruire un'architettura globale della finanza», con l'apporto dei rappresentanti del G-20 (non solo del G-8). Ma le critiche (rivolte più agli eccessi dei protagonisti passati di Wall Street che alla amministrazione Obama appena insediata) hanno lasciato subito posto alla fase costruttiva: Mosca assicurerà la sicurezza energetica per aiutare a superare la crisi. Come? in due modi soprattutto: spingendo i prezzi del gas e del petrolio a valori bilanciati e assicurando la sicurezza dei rifornimenti energetici.«È necessario tornare a prezzi energetici ragionevoli basati su un equilibrio tra domanda e offerta ed è necessario togliere al meccanismo dei prezzi l'elemento speculativo generato da molti strumenti derivati ». Insomma, basta con i giochini contabili di società finanziarie e che fanno perdere «i valori reali dell'economia» e si torni ai fondamentali «macroecomici ». Non solo. «Vanno sviluppate e diversificate le vie di trasporto dell'energia» per garantirne il suo transito verso l'Occidente. In particolare «i gasdotti Nord Stream, che attraverserà il Mar Baltico, e South Stream, sotto il Mar Nero, sono necessari per la sicurezza energetica europea, così come sta dando prova di efficienza Bluestream che unisce la Russia con la Turchia via mare». Putin non ha citato nessun Paese ma era chiara l'allusione alla Georgiae all'Ucraina,che verrebbero saltate dai nuovi gasdotti.


L’energia responsabile secondo Paolo Scaroni, amministratore delegato dell’Eni

mercoledì 28 gennaio 2009

A Panigaglia il terminal non raddoppia

Dal Sole 24 Ore

Fronte compatto degli enti locali liguri contro il progetto di potenziamento del rigassificatore Eni di Panigaglia. Il parere negativo, formalizzato ieri nel corso della conferenza dei servizi presso il ministero dello Sviluppo economico, accomuna la Regione Liguria, il Comune di Portovenere, nel cui territorio sorge l'impianto, la Provincia della Spezia e l'Autorità portuale della città del levante ligure. «Il progetto presentato da Snam Rete Gas- spiega l'assessore ligure all'Ambiente, Franco Zunino - è incompatibile con i diversi strumenti di pianificazione, urbanistica e territoriale, e con il piano paesistico regionale. Senza trascurare che si avvicina ormai il 2013, scadenza prevista per il superamento dell'impianto».Il no della Regione Liguria appare come un ostacolo difficilmente aggirabile per il proseguimento del percorso del progetto di potenziamento, che prevede di aumentare la capacità di carico dell'impianto da 3,5 a 8 miliardi di metri cubi annui. «Attendiamo ora la Via nazionale - sottolinea Zunino - ma, nel caso fosse favorevole al potenziamento, sarà priva di quell'intesa con la Regione che la normativa richiede espressamente per dare il via libera al progetto». Al parere negativo della Regione assegna un ruolo decisivo il sindaco di Portovenere, Massimo Nardini, che ha portato in conferenza dei servizi la delibera che sancisce l'incompatibilità del piano con il territorio approvata dal consiglio comunale.La Regione chiede, inoltre, al Governo di aprire un tavolo per un esame complessivo degli assetti energetici che insistono in Liguria. «Vorrei ricordare – sottolinea Zunino – che il nostro territorio è già impegnato pesantemente sul versante dei servizi offerti al paese nel settore dell'energia in virtù di un porto petroli e di tre centrali termoelettriche. Il governatore, Claudio Burlando, chiama in causa la presenza dell'Eni in Liguria addebitandogli «una strategia che non ha mai mirato a costruire un rapporto positivo con gli interlocutori locali. Noi siamo disponibili al dialogo, ma deve cambiare l'approccio nei nostri confronti

Altri due gasdotti nella rete Ue

Dal Sole 24 Ore

Per ora Nabucco e Itgi sono entrambi ai nastri di partenza. I loro nomi compaiono nella lista indicativa dei 34 progetti di interconnessioni energetiche destinati a beneficiare, salvo sorprese, di 1,5 miliardi dei 5 miliardi di euro di fondi europei da redistribuire tra i 27 dell'Unione. Di quanto esattamente lo si saprà però soltanto oggi, quando la Commissione Barroso prenderà la decisione finale sui progetti e i soldi da allocare. Indiscrezioni, tutte da verificare, dicono che Nabucco potrebbe incassare 250 milioni, l'Itgi 100.Le pressioni su Bruxelles in queste ore sono fortissime: nessun Governo è infatti disposto a ritrovarsi defraudato dei fondi del bilancio Ue che altrimenti, in quanto inutilizzati, rientrerebbero nelle casse nazionali. Risultato: c'è il rischio che alla fine, vista la moltitudine di iniziative da finanziare, la spartizione si sbricioli in interventi poco incisivi.L'ultima guerra del gas tra Russia e Ucraina, appena conclusa, ha sottolineato una volta di più la pericolosa vulnerabilità dell'Europa, la necessità improrogabile di diversificare fornitori e rotte di approvvigionamento. E così non solo sono comparsi i 5 miliardi di fondi Ue ma un progetto dormiente dal 2004 come il Nabucco, ieri alla conferenza internazionale organizzata a Budapest per rilanciarlo, ha conosciuto un brusco risveglio.Il commissario Ue all'Energia, Andris Piebalgs, ha preannunciato: «Domani penso di avere buone possibilità di fare una proposta molto vicina ai 200-300 milioni di euro», cioè alla somma chiesta a breve dal premier ungherese Ferenc Gyurcsany per dare inizio ai lavori. Philippe Maystadt, il presidente della Bei (Banca europea per gli investimenti) ha detto di essere pronto a finanziare «il 25% di Nabucco quando tutti i criteri economici, tecnologici e politici saranno soddisfatti ». Analoga disponibilità è arrivata dalla Bers, la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo.Nabucco e Itgi sono due iniziative che puntano a convogliare in Europa il gas azero di Shah Deniz (12 miliardi di metri cubi) che entrerà in produzione nel 2012.Per farlo – con un gasdotto lungo 3.300 chilometri del costo di circa 8 miliardi – Nabucco attraverserà Turchia, Bulgaria, Romania e Ungheria per approdare in Austria, il centro di smistamento. L'Itgi, che vede Edison protagonista, sarà lungo invece soltanto 800 chilometri, trasporterà il gas in Italia sfruttando le infrastrutture già esistenti tra Turchia e Grecia e limitandosi a costruire solo la tratta per attraversare il canale di Otranto. Con un investimento contenuto: 500 milioni.«Entrambi i progetti sono di interesse europeo, quindi sullo stesso piano. Quello pronto prima, partirà prima» aveva dichiarato salomonicamente tempo fa Piebalgs. Tutto lascerebbe credere che l'Itgi sia in vantaggio per i costi ridotti e le infrastrutture a buon punto rispetto a quelle inesistenti del Nabucco. Che per di più "soffre" la concorrenza del South Stream, la joint-venture tra Russia e l'Eni di Paolo Scaroni, e del Nord Stream

martedì 27 gennaio 2009

Chavez: Opec pronta a diminuire produzione petrolio

L'Opec e' pronta a diminuire ancora la produzione del greggio per difendere il prezzo del petrolio dagli effetti della crisi finanziaria mondiale. Lo ha garantito il presidente venezuelano, Hugo Chavez. "Ho detto poche settimane fa, se dobbiamo tagliare 4 milioni (di barili, ndr.), li taglieremo, non lasceremo che i prezzi scendano a sei dollari al barile, come dieci anni fa", ha detto Chavez durante un programma radiofonico nazionale, stando a una nota trasmessa dal suo ufficio. Il mese scorso, i Paesi Opec, che insieme producono un terzo del petrolio mondiale, avevano gia' deciso di diminuire il numero dei barili messi in commercio di 2,2 milioni al giorno. Il prossimo summit dovrebbe tenersi il 15 marzo a Vienna, ma i leader potrebbero incontrarsi prima se il Brent scendesse sotto i 40 dollari a barile. (Agi)

Eni ed Edison, rilancio made in Italy

Dal Corriere della Sera

L'Eni di Paolo Scaroni e la Edison mettono le mani su nuovi giacimenti di gas e rafforzano la propria presenza sulla scena mondiale.Il giorno in cui le quotazioni del barile di petrolio risalgono la china, avvicinandosi ai 50 dollari, sull'onda dei buoni dati del superindice Usa sull'attività economica (salito a dicembre dello 0,3%), e delle vendite immobiliari americane (aumentate nello stesso mese del 6,5%, mentre era attesa una contrazione), le due società italiane annunciano l'avvio di nuove esplorazioni e la scoperta di giacimenti.Per il Cane a sei zampe si tratta di due nuovi progetti nella parte statunitense del Golfo del Messico: il giacimento Longhorn (la cui produzione, che partirà dal prossimo luglio, ha un picco stimato tra 850 e 1.415 milioni di metri cubi di gas al giorno) e lo sviluppo del giacimento Appaloosa (investimenti per 228 milioni di dollari). Entrambi sono situati nell'area del Mississippi Canyon, comprendente anche la piattaforma Coral (che sarà ampliata per ricevere il greggio di Appaloosa dal gennaio 2010, con un picco di produzione giornaliera di 7.500 barili di petrolio).Edison, in joint venture con Sonatrach, Repsol e Rwe Dea, ha scoperto due nuovi giacimenti di gas nel deserto algerino, che nei test di produzione hanno raggiunto una portata di circa 1 milione di metri cubi di gas al giorno.

lunedì 26 gennaio 2009

Petrolio, Gheddafi: prezzi bassi, pronti a nazionalizzare

Il leader della Libia, Muammar Gheddafi, è tornato a ipotizzare la nazionalizzazione delle compagnie petrolifere straniere se il prezzo del petrolio non risalirà a cento dollari al barile. «Speriamo che questo non accada e speriamo che i prezzi del petrolio risalganoa un livello ragionevole», ha detto il colonnello nel corso di un ricevimento offerto in onore del re di Spagna, Juan Carlos. Diversi quotidiani del Paese da giorni invocano la nazionalizzazione del settore energetico ritenendola un «legittimo diritto», che consentirebbe alla Libia «di controllare l'industria petrolifera - ha spiegato Gheddafi - senza la partecipazione straniera». Non saranno tuttavia assunte decisioni affrettate: «Deve esserci un compromesso con il partner straniero », ha precisato ancora Gheddafi. La Libia produce 1,7 milioni di barili al giorno ed è il terzo maggior produttore africano dopo Nigeria e Angola.

Scaroni (Eni): nel 2009 1.200 euro in più per famiglia per risparmi energia

L’amministratore delegato di Eni, Paolo Scaroni, ha annunciato che «il prezzo dell’energia scenderà in modo significativo nel 2009». Lo ha spiegato nel corso del suo intervento al convegno sulle prospettive per l’economia 2009 a Roncade (Treviso). «La buona notizia - ha sottolineato Scaroni - è che il prezzo dell’energia scenderà in modo significativo, trainato dal barile di petrolio, che dopo il picco straordinario di 147 dollari ora si attesta intorno ai 40-45». Il significativo calo del petrolio andrebbe a beneficio delle famiglie, ha proseguito Scaroni, che potrebbero spendere «circa 600 euro in meno a parità di chilometri percorsi». «Il combinato disposto della discesa del petrolio, benzina e gas - ha sottolineato il numero uno di Eni - vuol dire che in un anno, che si preannuncia complesso dal punto di vista economico, ogni famiglia italiana avrà in tasca circa 1.200 euro in più e i costi per l’industria diminuiranno notevolmente».

venerdì 23 gennaio 2009

Il gas c’è ma non si tocca

Tratto da Panorama

Paradossi italiani Dipendiamo per l’85 per cento dalle importazioni di metano e petrolio. Mentre non sfruttiamo le nostre risorse. Anzi, la produzione nazionale sta diminuendo. Colpa di un groviglio di competenze che paralizza tutto.
L’Adriatico non è il Mare del Nord e la Basilicata non è il Texas, ma anche l’Italia nel suo piccolo custodisce un tesoro di gas e petrolio. A differenza del resto del mondo, dove la presenza di idrocarburi nel sottosuolo è considerata un dono della provvidenza, qui però quel bendidio spesso genera più polemiche che ricchezza.
Con un deficit energetico nazionale annuo di 50 miliardi di euro (3,7 per cento del pil nel 2008) e un sistema dipendente dalle importazioni in misura più che doppia rispetto agli altri paesi industrializzati europei (85 per cento contro il 40), la questione dell’insufficiente sfruttamento delle risorse tocca vette di insensatezza. E diventa addirittura irritante in momenti come questo, con i rifornimenti di gas provenienti via tubo dalla Siberia attraverso l’Ucraina a rischio di interruzione a causa del contenzioso ormai endemico sul pagamento delle forniture tra la Federazione Russa e Kiev.
In tema di sfruttamento delle risorse energetiche l’Italia va addirittura all’indietro come i gamberi e solo negli ultimi mesi sta tentando di riprendere un cammino lineare. Il ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola, e quello dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo, hanno firmato 23 tra concessioni e permessi di ricerca in mare più 14 autorizzazioni per stoccaggi di gas in prevalenza a favore della Stogit dell’Eni in Valle Padana. Ma il ritardo accumulato resta grave: l’estrazione annua di petrolio è ferma tra 5 e 6 milioni di tonnellate e l’accordo per sfruttare in pieno i giacimenti della Basilicata non è ancora del tutto operativo a 11 anni dalla firma.
In meno di un quindicennio la produzione di gas è scesa da 20 a 10 miliardi di metri cubi e 7 anni fa sono state bloccate per legge le estrazioni dai giacimenti nell’Alto Adriatico (34 miliardi di metri cubi sicuri) per paura che provocassero il fenomeno della subsidenza facendo abbassare, in pratica, Venezia e la laguna.
La scarsa utilizzazione di metano e petrolio non dipende dal graduale esaurimento dei giacimenti, dall’insufficienza di convenienze economiche nell’estrazione o da investimenti inadeguati da parte dei concessionari. La penuria e i soldi non c’entrano, anzi, le ricchezze residue restano ingenti e molto desiderate dalle società energetiche, mentre le ultime ricerche hanno consentito l’individuazione di altre aree produttive lungo una linea vasta del Paese, una specie di falce di luna che dalla Sicilia si estende verso Calabria e Basilicata fin sulla costa adriatica per inarcarsi infine in Valle Padana (cartina a fianco).
Secondo stime dell’Ufficio minerario, le riserve accertate di petrolio ammontano a 840 milioni di barili, a cui si aggiunge un potenziale addizionale tra i 400 e i 1.000 milioni per un valore in euro tra i 90 e i 130 miliardi. Per quanto riguarda il gas, le riserve equivalgono a 130 miliardi di metri cubi con un potenziale aggiuntivo fra 120 e 200 per un valore tra 75 e 100 miliardi di euro. Somme su cui lo Stato o le regioni potrebbero incassare almeno il 7 per cento di royalty e il 40 per cento di tasse. Senza contare l’effetto sull’occupazione diretta e l’indotto.

Eni fa il tutto esaurito: bond da 1,5 miliardi

Tratto dal Sole 24 Ore

L'Eni guidata da Paolo Scaroni ha emesso ieri un prestito obbligazionario da 1,5 miliardi di euro e ha ricevuto, da 400 investitori istituzionali europei, ordini d'acquisto per 6,5 miliardi. Cinque volte tanto. Eravamo abituati alle file di correntisti agli sportelli bancari per paura di crack improvvisi, ma il nuovo anno sta proponendo file ben diverse: quelle degli investitori che vogliono acquistare corporate bond. Cioè obbligazioni aziendali. Perché l'Eni non è un caso isolato: in Europa – secondo i dati di Hsbc – in questi primi 22 giorni del 2009 sono stati emessi 25 corporate bond per 27 miliardi di euro, contro i 5 per 6,5 miliardi collocati nello stesso periodo del 2008. E tutti hanno attirato tanti acquirenti. Il primo spiraglio di luce.La storia dell'emissione dell'Eni è emblematica. L'operazione nasce indirettamente dal fatto che il Cane a sei zampe l'anno scorso ha effettuato tre acquisizioni: Distrigaz, First Calgary Petroleum e Burren Energy. Queste operazioni hanno ovviamente fatto lievitare il debito netto, dai 16,3 miliardi di fine 2007 ai circa 18 miliardi di fine 2008 (la cifra è indicativa). Nel 2009 Eni non ha particolari scadenze, dato che non ha bond da rimborsare e –riferisce il direttore finanziario Alessandro Bernini – «ha un normale rinnovo di linee di credito». Ma ugualmente – spiega Bernini – il gruppo ha deciso di emettere un prestito obbligazionario con scadenza nel 2016. Motivo: vuole allungare la durata media dell'intero indebitamento. Insomma: Eni ha lanciato il bond non perché ha bisogno di liquidità, ma banalmente – come accadeva in tempi normali – per allungare da 5 anni a 5 anni e 6 mesi la durata media del suo debito. Già questo, insomma, è una segnale di normalità.Ma altri due indicatori contrastano con la grave crisi globale: la domanda che ha accolto questo bond e il rendimento. Le quattro banche incaricate dall'Eni (Bbva, Hsbc, Sg Cib e UniCredit) avevano inizialmente annunciato un "premio" del 2% sopra il tasso swap. Ma, man mano che arrivavano gli ordini d'acquisto, hanno capito che l'Eni poteva spendere meno e raccogliere comunque 1,5 miliardi. Morale: alla fine il bond è stato emesso con una cedola del 5% e con un "premio" sullo swap di 185 punti base. Tantissimo rispetto al 2007 per una società con rating elevati, pari a "Aa2" e "AA-". Ma molto meno del previsto. E, nonostante lo "sconto", gli investitori istituzionali non si sono tirati indietro. Altro segnale di normalità.Ma non è solo l'Eni a comportarsi in modo "normale". Tutti gli operatori del mercato obbligazionario concordano infatti che, da inizio anno, gli investitori istituzionali stanno mostrando una rinnovata voglia di fare il loro lavoro: cioè di investire. Lo dimostra la forte domanda che accoglie ogni nuova emissione. Lo dimostra il fatto che i rendimenti stanno generalmente scendendo: le obbligazioni delle società con rating elevato – secondo l'indice iBoxx – hanno ridotto il "premio" sull'Euribor da 344 punti base di fine novembre a 311 di ieri e le aziende con rating bassi da 1.466 di dicembre a 1.213. Ancora sono spread elevatissimi, certo. Da crisi. Ma meno rispetto a un mese fa. E questo è un timido segnale di fiducia. Morale: le società (solo quelle con rating elevato, fino ad ora) stanno prendendo coraggio e stanno scendendo sul mercato. E gli investitori stanno tornando a comprare.

giovedì 22 gennaio 2009

Greggio in risalita, più cari frumento e caffè

Corrono i coloniali, mentre prende fiato gran parte dei non ferrosi. In una giornata segnata dal rialzo del petrolio, che ha chiuso in progresso del 6,4% a 43,46 dollari al barile al Nymex, i metalli preziosi invece registrano un andamento ambivalente: al fixing londinese l'oro ha perso lo 0,46%. In leggera salita invece l'argento, che crece dello 0,17%. Flettono invece platino (-2,1%) e palladio (-1,6%). Per i non ferrosi da segnalare i cedimenti al settlement del rame (-2%), del piombo (-2,1%), dello zinco (-2,2%) e dell'alluminio (-1,9%). Risalgono invece stagno (+4,8%) e nickel (+2%). Ottima la giornata dei coloniali, con il forte rincaro del caffè, che guadagna sia a Londra (+3,6%) che a New York (+2,3%). Impennata del cacao (si veda sopra), mentre avanzano sia zucchero che cotone, anche se in maniera più contenuta. Tra i cereali, ottima la seduta del frumento (+4%), del mais (+1,7%) e della soia (+2,9%). Continua invece la frenata del riso. (Dal sole 24 Ore)

L'Eni rilancia le ambizioni in Libia

Massicci investimenti comuni per esplorazione, estrazione e opere logistiche, dice Il sole 24 Ore

di Federico Rendina M iracoli della diplomazia. Che ascolta senza troppo agitarsi le tipiche sirene che accompagnano i momenti più caldi che precedono i grandi patti. Si agitano un po', per la verità, gli analisti di Quotidiano Energia, sito specializzato nel settore energetico. Fanno notare che un editoriale apparso lunedì sul quotidiano Al Jamahiria, considerato portavoce di Muhammar Gheddafi, invita i Congressi popolari di base a «recuperare rapidamente il nostro petrolio dalle compagnie straniere ». E lo stesso – informa anche la Reuters da Tripoli – lo scrive a chiare lettere il quotidiano Al Chams, fondato direttamente da Gheddafi.Gioco delle parti, insistono i diplomatici. Chissà se hanno ragione. Di certo all'Eni non si agitano. Convinti che il grande patto ItaliaLibia che si va a siglare per chiudere definitivamente la partita coloniale possa dare proprio all'Eni la rampa di lancio per un rafforzamento della sua già poderosa collaborazione. L'eventuale "riappropriazione" delle risorse petrolifere? All'Eni si dicono perfino «estranei » alla minaccia.Il Cane a sei zampe è lì esattamente da 50 anni. Enrico Mattei, prima della tragica scomparsa nel '62,fece un gran lavoro politico per improntare l'attività industriale in Libia ( e non solo lì) al principio della collaborazione e del vantaggio reciproco. Tecnologie e cooperazione, e bando a qualunque segnale di sfruttamento neocoloniale. Paolo Scaroni si muove quasi ossessivamente su questa linea: «Mettiamoci in testa che petrolioe gas sono di loro proprietà», ripete emblematicamente guardando alla Libia, al Venezuela, all'Algeria e dovunque.La nazionalizzazione periodicamente ventilata dai seguaci di Gheddafi potrebbe eventualmente riguardare altri e non l'Eni?Forseè un azzardo. Ma chissà: potrebbe funzionare. Deve funzionare. E non solo per dare un senso di convenienza reciproca al piano libico, che la politica e l'industria italiana ha già detto di gradire, per acquisire progressivamente una quota Eni attorno al 10 per cento.La Libia rappresenta già oggi per l'Eni il bacino più consistente per le sue attività di esplorazione ed estrazione di olio e gas nel mondo, con oltre 500mila "boe" (barili di petrolio equivalenti) l'anno, di cui quasi 300mila di sua diretta competenza, il 20% della produzione totale Eni nel mondo. E sull'onda di un nuovo piano pluriennale d'investimenti da 15 miliardi di euro, un anno fa Scaroni ha messo a segno un accordo strategico con la società di Stato libica Noc per nuovi piani comuni di sviluppo delle attività, proiettando al 2042 la durata dei titoli Eni per l'estrazione di petrolio, e al 2047 quelli per l'estrazione di gas metano.Decisiva,laggiù,l'attività nel petrolio,cheè di qualità "top" (basso tenore di zolfo e quindi lavorabile con un ciclo di raffinazione più agevole ed economico). Ma ancor più quella nell'esplorazione e sfruttamento dei giacimenti di metano. Il tutto con un'attività produttiva che si estende nell'offshore mediterraneo di fronte a Tripoli e nel deserto libico, per una superficie complessiva di quasi 38mila chilometri quadrati.Giacimenti preziosi e redditizi. Grazie alla loro consistenza. Grazie alle tecnologie esibite dall'Eni, riconosciuto leader nelle esplorazioni "difficili" e nelle nuove tecniche di iniezione compensativa di acqua e di CO2 (una tecnologia che trova forti motivazioni di sviluppo nei progetti di cattura dell'anidride carbonica per combattere l'effetto serra). E grazie, soprattutto, alle strutture logistiche che consentono un agevole trasporto del metano libico nel quadrante Sud della Vecchia Europa.

mercoledì 21 gennaio 2009

Il petrolio bene rifugio, banche salvate ancora

Dal Manifesto



Quella in corso sembra essere una vera e propria seconda ondata di salvataggi per il sistema bancario. Il moderato ottimismo che si respirava in dicembre e durante la prima settimana di gennaio, si basava sulla convinzione che la crisi finanziaria fosse sostanzialmente arginata, e che le cattive notizie sarebbero arrivate solo dall'economia reale. In realtà, le banche sembravano in salute soltanto grazie alle vagonate di denaro pubblico ricevute e, ciò nonostante, nei bilanci trimestrali non hanno potuto nascondere il loro stato pietoso. Non si capisce come avrebbe potuto andare diversamente, visto che negli ultimi mesi i tassi di insolvenza - su qualunque tipo di prestito, ma soprattutto nel settore immobiliare - hanno continuato ad aumentare. Anche stavolta è il Regno unito a mostrarsi il più attivo, dopo le misure prese lunedì scorso (sostanziale assicurazione di tutte le perdite in cui incorreranno le banche), per le quali Royal Bank of Scotland fungerà da vera e propria «cavia». La ratio che sta dietro alle iniezioni di denaro pubblico, tuttavia, stavolta non è più che tale società è «troppo grande per fallire» o la necessità di ridurre il «rischio sistemico», ma far sì che il complesso delle banche sia in grado di generare nuovo credito, senza il quale non sarebbe possibile far ripartire l'economia. I «bailouts» quindi, stanno assumendo la forma di do ut des col sistema bancario: lo Stato mette i soldi, ma vuole esser sicuro che questi siano prestati e non accantonati. A soggetti meritevoli e su base commerciale, ovviamente, così almeno si salvano le apparenze di un capitalismo «libero». Anche oltreoceano, il Tesoro degli Stati uniti ha inviato una lettera a 20 banche che hanno ricevuto i fondi Tarp, chiedendo un resoconto dettagliato sulla condotta degli istituti nel mercato creditizio, con particolare riguardo al credito al consumo. Anche in Belgio è pronta una seconda ondata di salvataggi.Intanto, il prezzo del petrolio continua a mostrare una altissima volatilità. Ieri, ultimo giorno di contrattazione per il contratto future di consegna a febbraio, il prezzo è oscillato da un minimo di 33 dollari al barile a oltre 39. La particolare situazione del mercato permette possibilità di «arbitraggio», ovvero di altissimi guadagni, a fronte di un rischio nullo. La «particolare situazione», chiamata in gergo «contango», consiste nel fatto che i contratti a consegna più lontana nel tempo - agosto, per dirne una - valgono oltre dieci dollari in più del prezzo odierno. Come sfruttare tutto ciò? Basta prendere esempio da Morgan Stanley, che ha recentemente noleggiato una superpetroliera da due milioni di barili, l'ha riempita e messa all'ancora nel golfo del Messico, in attesa del momento propizio per vendere. A Morgan basta quindi vendere a termine due milioni di barili con consegna ad agosto (50 dollari l'uno), lo stesso petrolio che ha probabilmente acquistato a 35, e sottrarre i costi di noleggio. Così facile e sicuro che sono in molti a fare lo stesso «giochetto». A quanto pare, nel Golfo c'è attualmente l'equivalente di un giorno mondiale di consumo, in attesa solo di esser venduto a rischio zero.

Allarme di Scaroni: tetti antitrust allontanano l'Eni dall'Italia

Guai a prolungare oltre il 2010 i tetti Antitrust imposti all'Eni per la produzione e vendita di gas in Italia. La misura, oggetto di dibattito nel Ddl-sviluppo, «ci allontanerebbe dal Paese rendendo meno conveniente investire» e comunque sarebbe «incompatibile» con il ruolo dell'Enidi garante della sicurezza energetica italiana. Lo ha affermato l'ad di Eni, Paolo Scaroni, in occasione di un'audizione al Senato.«La crisi che spero ci siamo lasciati alle spalle - ha detto Scaroni in audizione riferendosi all'ennesimo contenzioso tra Russia e Ucraina che tanti problemi ha creato all'intera Europa – dovrebbe costituire l'occasione per avviare una riflessione seria e costruttiva per sfruttare le risorse di cui disponiamo in Italia e per ripensare al mix energetico e alla costruzione di nuove infrastrutture e formulare una politica regolatoria che incentivi le imprese a investire nel nostro paese piuttosto che a porre limiti di tutti i tipi che hanno il risultato finale di scoraggiare queste iniziative».Ad auspicare la proroga dei tetti Antitrust previsti per l'Eni (poco più del 60% delle quote massime di importazione di gas e non oltre il 50% delle vendite sul mercato italiano) erano stati i presidenti dell'Antitrust e dell'Authority per l'Energia, Antonio Catricalà e Alessandro Ortis. Ma forti spinte per la proroga sono venute anche dalle associazioni imprenditoriali che rappresentano i consumatori "energivori".Nell'audizione di ieri Scaroni si è soffermato anche sull'addizionale Ires introdotta dal trattato Italia-Libia per le società energetiche (si veda Il Sole 24 Ore del 15 gennaio). «Non credo che cambierà in modo drammatico il nostro carico fiscale », ha detto Scaroni aggiungendo che difficilmente la tassa avrà un impatto sui prezzi finali, visto che «se i prezzi aumentano perdiamo quote di mercato». Poche conseguenze, quindi, sui conti del cane a sei zampe. E nessuna sulle bollette dei cittadini, assicura il numero uno dell'Eni.A proposito dei libici, Scaroni ha affermato che il loro ingresso nel capitale dell'Eni non solleva alcun timore riguardo alla gestione della società, anche perché «acquistare azioni di per sé non vuol dire partecipare alla governance ». Scaroni si è infine detto «fiducioso» sulla possibilità che l'Eni si veda assegnato lo sfruttamento del giacimento petrolifero irakeno di Nassirya.

martedì 20 gennaio 2009

Gas, accordo fatto tra Mosca e Kiev

Da MF

Gazprom riprenderà i rifornimenti di gas all'Europa. L'ordine è venuto ieri dal primo ministro russo, Vladimir Putin, dopo che lo stesso premier insieme alla collega ucraina, Yulia Tymoshenko, ha assistito alla firma dell'accordo decennale sul gas siglato da Alexei Miller in rappresentanza di Gazprom e Oleg Doubina per Naftogaz. La quadratura del cerchio è stata trovata con la concessione da parte dei russi di uno sconto del 20% sul prezzo di mercato del metano per il 2009 e, da parte di Kiev, del mantenimento del prezzo di transito invariato a 1,7 dollari per tutto l'anno in corso. Questo atto dovrebbe porre fine anche all'intervento dell'Europa nella crisi: «Non è necessario alcun sistema di monitoraggio, in quanto l'Ucraina riceverà il gas necessario», ha spiegato Putin, che ha anche ringraziato Tymoshenko per «essersi presa la responsabilità di decisioni importantissime, che hanno favorito l'uscita da un vicolo cieco». Tra le altre novità anche il fatto che nei rapporti negoziali tra i due Paesi non è più prevista la presenza della società mista russo-ucraina RosUkrErgo. Infine, sebbene i due premier non abbiano descritto nei particolari i termini dell'accordo, è possibile che tra gli elementi che hanno condotto alla firma ci sia anche la concessione di un prestito a Kiev da parte di Mosca. La Russia, ha detto Putin, «è pronta a sostenere l'Ucraina nella crisi finanziaria». A questo punto non dovrebbe più essere necessaria nemmeno la creazione del consorzio internazionale della cui formazione lo stesso Putin aveva incaricato l'italiana Eni.

Eni entra in gara per giacimento a Nassiriya

da MF

L'Eni di Paolo Scaroni in corsa per il petrolio iracheno. Ieri un funzionario del ministero del Petrolio di Bagdad ha reso noto che il Cane a sei zampe partecipa alla gara per lo sviluppo di un giacimento nella zona di Nassiriya, nel sud del Paese. In lizza ci sono anche altri big internazionali del settore: la compagnia petrolifera giapponese Nippon Oil e la spagnola Repsol, Il funzionario ha poi spiegato che le tre compagnie hanno avanzato un'offerta per un contratto d'appalto Epc, Engineering, procurement, construction, al ministero del Petrolio di Baghdad, che dovrà ora valutare e scegliere la proposta più conveniente.

lunedì 19 gennaio 2009

Petrolio, investimenti fermi

I margini si riducono e le compagnie tagliano le spese di R&S, spiega Il Sole 24 Ore

Nuove esplorazioni abbandonate in corsa. Investimenti decurtati al lumicino. Licenziamenti di massa. Tagli ai contratti dei fornitori. È uno scenario drammatico quello che sta provocando il raffreddamento del barile a 36,5 dollari, con la riduzione dei budget di spesa da parte dei Paesi esportatori e dei grandi colossi petroliferi.L'ultima conferma arriva da due delle principali major, ovvero la francese Total e la statunitense ConocoPhillips. La terza maggiore società petrolifera europea vuole posticipare l'avvio di alcuni progetti esplorativi a causa del drastico calo dei profitti, come dimostreranno i risultati dell'ultimo trimestre 2008, che saranno diffusi nei prossimi giorni. Una retromarcia arrivata a sorpresa, visto che fino ad oggi il colosso guidato da Christophe de Margerie era stato tra i pochi a confermare un budget 2009 superiore a quello del 2008. Eppure il tracollo del greggio è stato più forte delle promesse. Ora in discussione ci sono anche i progetti nei blocchi al largo dell'Angola e del Canada, molto redditizi proprio perché costosi.Ancora più esplicita la decisione di ConocoPhillips. Nel 2009 il terzo colosso petrolifero statunitense decurterà le spese per nuovi giacimenti a 12,5 miliardi di dollari, il 18,3% in meno rispetto al 2008. A diminuire sarà anche la forza lavoro, che verrà ridotta del 4%, pari a 1.350 unità.Sono questi gli ultimi segnali di allarme di un'industria che negli ultimi anni ha avviato esplorazioni su larga scala nella convinzione che i prezzi del greggio potessero solo lievitare. Oggi, con un barile Wti in calo del 75% rispetto allo scorso luglio, quando valeva 147 dollari, le major si trovano alle prese con un problema: troppe spese di fronte a ricavi sempre più risicati. Dal Canada fino alla Russia,l'imperativoè rivedere i piani di crescita. Il tutto nella speranza che le quotazioni riprendano ossigeno.La giravolta del Venezuela Il Venezuela, uno dei maggiori esportatori al mondo, ha dovuto perfino mettere da parte gli ideologismi nazionalistici per convertirsi a un più urgente pragmatismo.Hugo Chavez starebbe infatti corteggiando alcune compagnie petrolifere occidentali - tra cui Chevron, Royal Dutch/Shell e la stessa Total - per convincerle a sviluppare le riserve del Paese. L'obiettivo del presidente sudamericano è puntellare l'attività della società nazionale Petròleos de Venezuela, continuare l'estrazione e salvare così anche i programmi di sviluppo del welfare statale. Più che un'apertura, un'autentica svolta, visto che la decisione segue a ruota la nazionalizzazione, avvenuta nel 2007, di tutti i siti petroliferi nazionali. Ma il possibile ingresso di società private occidentali in una delle più grandi riserve di greggio al mondo (Orinoco Belt, l'area sud venezuelana che contiene 235 miliardi di barili di petrolio), rivela quanto sia urgente il problema dei prezzi per chi fino ad oggi ha potuto contare su quotazioni alle stelle.Le strategie in campo Nell'attesa di un nuovo probabile taglio dell'output a marzo, che nelle speranze dell'Opec dovrebbe risollevare i listini, anche le altre major corrono ai ripari. Nei giorni scorsi la norvegese StatoilHydro ha tagliato il budget 2009 a 13,5 miliardi di dollari dai 16 miliardi del 2008. Analoga la decisione della britannica Premier Oil, che ha rimandato al 2010 il raggiungimento dei target produttivi a causa della riduzione dell'estrazione in Vietnam e in Norvegia.

Guerra del gas, sconfitta della politica

Dal Sole 24 Ore

Nella ricerca di una soluzione della crisi tra Russia e Ucraina, l'economia corre più veloce della politica. Non dovrebbe essere strano: stiamo parlando di uno scontro sul prezzo del gas. Riguardo alla ripresa del transito verso l'Europa,in teoria una strada è stata trovata. Le compagnie energetiche europee guidate dall'Eni di Paolo Scaroni stanno finalizzando un accordo per acquistare loro stesse il gas dalla Russia, almeno per un periodo di prova, e consentire in tempi brevi la riapertura delle esportazioni. Ieri il presidente russo Dmitrij Medvedev ha aggiunto un elemento complementare, la possibilità che delle banche europee garantiscano l'operazione. L'Ucraina sembra favorevole all'iniziativa. Quanto alla questione bila-terale, la definizione del prezzo per le forniture di quest'anno, c'è stato un momento in cui le due parti non erano troppo lontane. Oggi Medvedev insiste che anche gli ucraini, come tutti, devono accettare prezzi di mercato. Ma nello stesso tempo ha ammesso che i prezzi scenderanno entro fine anno, fino al 60 per cento. Se questa crisi è durata così a lungo, le ragioni e le responsabilità sono altrove.

venerdì 16 gennaio 2009

Il petrolio rende sempre meno. Chavez corteggia gli odiati yankee

La «oil diplomacy» del presidente venezuelano è in difficoltà. Il barile costa troppo poco. Basta ideologia e viva i capitali esteri, dice Il Riformista

«Anche se il prezzo del petrolio arriverà a zero dollari, la rivoluzione venezuelana andrà avanti». Erano le dichiarazioni di Hugo Chávez alla vigilia di Natale 2008, con il prezzo del greggio che toccava i 27 dollari a barile. L'intenzione era di sembrare impermeabili alla crisi. Inutilmente. Le conseguenze del prezzo del petrolio così basso, base unica ed esclusiva dell'economia venezuelana, iniziano a farsi sentire. Anche sulla natura socialista della rivoluzione bolivariana. Molto meno temeraria e rivoluzionaria e ora più riformista. Di fronte a una spesa pubblica calcolata per il 2009, con il barile a 15 dollari meno del prezzo reale e i conti che non tornano, l'ideologia anti-nordamericana portata avanti dal presidente venezuelano fa un passo indietro e abbassa i toni. Cambia strategia riguardo all'apertura delle concessioni alle demonizzate multinazionali petrolifere, e alla gestione della diplomazia caratterizzata da una eccessiva generosità con gli alleati - petrolio scontato - e minacce agli avversari.Chávez torna a corteggiare le imprese transnazionali che fino a qualche mese fa aveva minacciato di espropriazione, inchieste e vessazioni fiscali. In un ampio articolo The New York Times racconta che essendo sotto pressione per il forte calo dei prezzi e della produzione nazionale, i funzionari del governo hanno aperto, in termini di licenze, alle maggiori compagnie occidentali come Chevron, Royal Dutch/Shell e Total francese, promettendo loro libero accesso alle riserve petrolifere. «La volontà di queste compagnie di investire in Venezuela riflette la scarsità di progetti aperti agli stranieri in Medio Oriente», scrive il Nyt. La volontà del governo chavista di riaprire alle compagnie straniere, si può aggiungere, riflette la miopia della politica nazionalista.In una conversazione con Il Riformista, l'economista venezuelano, esperto di energia e petrolio, Rafael Quiroz Serrano, ha spiegato che questo atteggiamento del governo non è una sorpresa. Era ipotizzabile dall'aprile del 2006, quando per far fronte a un calo di estrazione, produzione e raffinazione è stata creata la figura dell' "impresa mista". Un elemento giuridico e operativo ibrido, nel quale le multinazionali condividono le azioni della società petrolifera statale venezuelana, Pdvsa, - che detiene comunque la maggioranza - per poter operare nei giacimenti venezuelani.

Un consorzio targato Eni mette gas tra Mosca e Kiev

Dal Giorno

La Russia ha affidato all'Eni il compito di costituire un consorzio di compagnie energetiche europee incaricato di anticipare il gas da pompare nel gasdotto che collega Russia, Ucraina ed Europa in attesa di un accordo sulle forniture tra Mosca e Kiev. Lo ha reso noto l'amministratore delegato dell'Eni, Paolo Scaroni, subito dopo un incontro con il presidente russo, Vladimir Putin. Scaroni ha riferito che l'iniziativa è stata concordata per telefono ieri mattina da Putin e dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.

giovedì 15 gennaio 2009

Stock Usa di petrolio in salita

Il greggio Wti scende quasi 8 dollari più in basso del Brent, spiega Il Sole 24 Ore

L'inizio della settimana ha visto il Brent perdere un paio di dollari, riguadagnarne 2,5 e poi chiudere ieri a 45,08 $/bbl, praticamente invariato rispetto a venerdì. Discorso a parte per il Wti: la scadenza febbraio è scesa a 37,28 $, quasi 8 meno del Brent, per il crescente numero di investitori impegnati nella scommessa al ribasso e per gli stoccaggi a Cushing, centro di smistamento del West Texas Intermediate (Wti),arrivati a 33 milioni di barili, massimo storico.Le scorte americane sono ancora in aumento, sia pure con dati che forse necessiteranno di una correzione. Per il Dipartimento dell'Energia, diminuiscono le importazioni di greggio e aumentano di quasi un punto percentuale le lavorazioni. Però gli stock sono indicati in aumento di 1,2 milioni di barili; salgono anche distillati (+6,4 milioni di barili) e benzine (+2,1 milioni).Dopo la pubblicazione, i prodotti finiti ribassano, ma rimane confortante l'aumento dei margini di raffinazione; prima della flessione di ieri sera per gasolio e benzina, i margini Usa avevano guadagnato oltre 5 $/bbl dall'inizio della scorsa settimana e altrettanto si può dire in Europa, dove i margini si avvicinano ai 10 $, al lordo dei costi di lavorazione.Sicuramente nei rincari di martedì sera e della mattinata di ieri molto hanno giocato le dichiarazioni del ministro saudita al-Naimi. Riad, con una produzione di 8 milioni di barili/ giorno, sta facendo anche più di quanto concordato nell'ultima riunione Opec. C'è fiducia che anche gli altri produttori stiano facendo la loro parte e le rate di noleggio, scese ai minimi da un anno, confermano i ridotti volumi.Certo ci sono ancora molti problemi da superare, prima di avere un mercato stabile.In primo luogo, le riduzioni Opec hanno come obiettivo la diminuzione dell'offerta fino ai livelli reali della domanda; ma questa, per la terribile crisi in atto, è un bersaglio mobile e di difficile previsione.

Petrolio, spunta l'addizionale Italia-Libia

Da Il Sole 24 Ore

Saranno le principali società petrolifere, Eni di Paolo Scaroni in testa, a pagare il conto ( 5 miliardi di dollari in venti anni) previsto dall'accordo di amicizia e cooperazione tra Italia e Libia come gesto di riconciliazione per il passato coloniale. Mentre i cittadini italiani espulsi da Gheddafi nel '70 non hanno ancora ottenuto gli indennizzi dal Governo italiano per i beni confiscati dalla Giamahiria, il Ddl di ratifica del Trattato, da due giorni all'esame della commissione Esteri della Camera prevede un meccanismo fiscale per finanziare le opere infrastrutturali a carico dell'Italia (strada costiera, piano di edilizia abitativa e iniziative speciali). Il Ddl di ratifica che il ministro Franco Frattini si è impegnato a far approvare entro gennaio in contemporanea con il Parlamento libico prevede un'addizionale Ires sul reddito delle società attive nella ricerca e coltivazione di idrocarburi emittenti titoli quotati a grande capitalizzazione. Tra queste l'Eni (nel cui capitale entreranno presto anche i libici) ma non solo.L'imposta sarà del 4% dell'utile prima delle imposte risultante dal conto economico qualora dallo stesso risulti un'incidenza fiscale inferiore al 19%. Più precisamente l'importo dovuto sarà pari al minore tra il 4% dell'utile prima delle imposte e risultante dal conto economico; l'importo determinato applicando, all'utile prima delle imposte, la differenza trail 19%e l'aliquota di incidenza fiscale risultante dal conto economico; l'importo corrispondente all'8,3 per mille del patrimonio netto diminuito dell'utile dell'esercizio ed aumentato degli acconti dividendo eventualmente deliberati per i primi tre esercizi; al 5,8 per mille per gli anni dal quarto al settimo; al 5,15 per mille per gli anni dall'ottavo all'undicesimo, al 4,65 per mille per gli anni dal dodicesimo al quindicesimo; al 4,20 per mille per gli anni dal sedicesimo al ventesimo.

mercoledì 14 gennaio 2009

Terna: sono in calo i consumi elettrici È la prima volta dall'81

Calano per la prima volta dal 1981 i consumi di energia elettrica. Secondo i dati diffusi da Terna, la società che gestisce la rete elettrica, nel 2008 c'è stata una contrazione dello 0,7%

Il ribasso del greggio manda in rosso i petroliferi

Da soldionline.it

Andamento negativo per i petroliferi, dopo che il prezzo del greggio a New York è sceso sotto i 40 dollari al barile. L'Eni guidato dall'amministartore delegato Paolo Scaroni ha subito un calo dello 0,88% a 16,97 euro. Il presidente del colosso italiano, Roberto Poli, ha smentito le indiscrezioni relative a un progetto di integrazione con Enel (-0,97% a 4,3525 euro). Intanto, gli analisti di Citigroup hanno tagliato a 22 euro il prezzo obiettivo su Eni, anche se hanno ribadito l’indicazione di acquisto delle azioni del colosso petrolifero. Invece, Kepler ha tagliato a 4,8 euro per azione la valutazione su Enel, in seguito al taglio delle stime sulla redditività per il biennio 2010/2011. Tuttavia, gli esperti hanno ribadito l’indicazione di acquisto del titolo del colosso elettrico. Performance peggiori per Saipem (-2,67% a 12,41 euro) e per Tenaris (-1,7% a 8,08 euro). Segno meno anche per Erg (-1,36% a 8,68 euro) e Saras (-3,8% a 2,5975 euro).

martedì 13 gennaio 2009

In caduta petrolio, nickel, cotone e zucchero

dal Sole 24 Ore

I dati Usa mandano al tappeto le quotazioni dei cereali, che riportano cali anche significativi. In flessione anche i metalli preziosi e i non ferrosi, trascinati al ribasso dal petrolio che chiude in frenata dell'8%, a 37,56 dollari al barile. Al fixing di Londra, l'oro riporta un calo del 2,4%. Simile anche la discesa del platino, che cede il 2,4%. Pessima la seduta del palladio, indietreggiato del 5,1%. Sul fronte dei non ferrosi, spicca il crollo del nickel, che ha lasciato sul terreno più del 10%, anche se ha recuperato lievemente in sessione pomeridiana. In flessione anche rame e alluminio. A Londra cedono caffè, cacao e zucchero, che perde il 3,7%. A New York, tra i coloniali, in retromarcia l'arabica. Negativa la seduta anche per il cotone, che arriva a perdere il 5,4%. Come detto, invece, crollano i cereali, con i picchi negativi del frumento (-9,5%), della soia (-8%) e del mais (-7,3%).

Gas, riprendono le forniture

Dal Tempo

Le forniture di gas russo all'Europa attraverso l'Ucraina fa sapere la presidenza dell'Ue, dovrebbero riprendere domani mattina intorno alle 8 (anche se il vicepresidente di Gazprom Alexandr Medvedev ha minacciato di interrompere nuovamente le forniture nel caso di nuove sottrazioni di metano da parte dell'Ucraina), al termine di 24 ore di tensioni sull'asse Mosca-Kiev che rischiavano di far sfumare i termini dell'accordo: al centro della disputa l'inserimento da parte dell'ucraina di una clausola aggiuntiva non gradita al governo di Mosca. Una clausola che tirava un tratto di penna sulla presunta sottrazione di gas destinato all'Europa da parte dell'Ucraina e che dunque mirava a escludere possibili azioni risarcitorie da parte di Mosca che il premier russo Vladimir Putin ha quantificato in 800 milioni di dollari.
I termini dell'accordo sottoscritto da Gazprom e dai vertici dell'omologa ucraina Nafogaz stabilisce con effetto immediato la partenza di un meccanismo di monitoraggio per l'osservazione del transito del gas russo attraverso l'Ucraina. Il monitoraggio sarà condotto da una commissione internazionale composta da rappresentanti ed esperti della Commissione europea, il ministro dell'Energia della Federazione russa, il ministro del Carburante dell'Ucraina, rappresentanti di Gazprom e Naftogaz e dai rappresentanti delle compagnie europee e cioè Gaz de France Suez (Francia), E.ON e Wingas (Germania), RWE Transgas (Repubblica ceca), SPP (Slovacchia), EconGas GmbH (Austria), l'Eni guidato da Paolo Scaroni (Italia), FGSZ Ltd. (Ungheria), EAO Sofiagaz (Bulgaria), Public Gas Corporation of Greece (Grecia), JSC Moldovagas (Moldavia), Statoil Hydro (Norvegia) e la compagnia di certificazione Societe General de Surveillance (Svizzera) . La commissione internazionale avrà il compito di c controllare il rispetto degli obblighi per il transito di gas naturale attraverso il territorio dell'Ucraina, il sistema di trasporto del gas, compresi i depositi sotterranei di stoccaggio di gas situati in Ucraina, laddove pertinenti per il transito di gas verso l'Unione europea. Gli esperti saranno inoltre impegnati nel monitoraggio delle stazioni di misurazione del gas sul territorio della Russia e sul controllo delle stazioni di misurazione sul territorio degli Stati membri dell'Unione europea che confinano con l'Ucraina.

lunedì 12 gennaio 2009

Pechino fa scorta di petrolio e altre commodity

Dal Sole 24 Ore

In quasi tutte le Borse merci, le quotazioni sono da considerare convenienti, nonostante i recenti rincari. Un'ottima occasione per fare acquisti, nel caso di Pechino.La Cina è il maggior consumatore mondiale di molte commodity e ha interesse a garantirsi scorte per evitare alle proprie aziende i rischi del mercato. Il Paese è anche uno dei primi produttori di metalli e derrate agricole, perciò propenso a sostenere i prezzi e le entrate delle aziende locali. Infine, le riserve valutarie consentono piani di lungo periodo. A confermarlo è il comunicato apparso ieri sul sito web del Ministero Territorio e Risorse: la Cina farà acquisti per incrementare le scorte strategiche statali e commerciali di carbone e metalli, tra cui rame, cromo, manganese, tungsteno. Confermate anche le intenzioni espresse in dicembre dalla National Energy Administration, che vuol comprare scorte di petrolio e metano, oltre che promuovere la ricerca di giacimenti di greggio, gas e carbone in territorio cinese.Attualmente i piani di stoccaggio sono due: il primo, dello State Reserve Bureau, ha già comportato l'acquisto da fonderie locali di 30 tonnellate di indio, cui si aggiungeranno in tempi brevi le prime 290mila tonnellate di alluminio (in gran parte dalla Chalco, numero uno cinese del settore) e forse 300mila di zinco e 700mila di rame. Si tratta di scorte che potranno essere accantonate a tempo indeterminato.Invece il piano della provincia dello Yunnan prevede aiuti a società locali perché possano immagazzinare, per un anno, alluminio, stagno, rame, piombo, zinco.Nelle scorte cinesi affluiranno anche 800mila tonnellate di zucchero, 3 milioni di tonn. di soia, 30 milioni di tonn. di mais, 50mila tonnellate di caucciù.Il mese scorso si parlava anche di 5 milioni di tonnellate di acciaio, ma il piano di acquisti pare destinato a fallire per la difficoltà di decidere quali prodotti comprare e da chi.

Gas, sì agli ispettori europei

Dal Sole 24 Ore

Il primo ministro ceco Mirek Topolanek è appena arrivato da Kiev: «Siamo riusciti a superare la spaccatura tra il presidente ucraino e il primo ministro», comunica a Vladimir Putin, nella dacia di campagna del premier a Novo Ogariovo. Putin è affiancato dall'uomo forte dell'energia russa, il vicepremier Igor Sechin, e dall'amministratore delegato di Gazprom, Aleksej Miller. È scuro in volto: «Avete fatto l'impossibile ».Topolanek ha fretta: «Firmiamo, poi torneremo immediatamente a Kiev a chiedere lo stesso alla controparte ucraina. Così metteremo fine alla crisi». Ma il sì di Putin arriva dopo cinque ore di colloqui. È un sì alla missione di osservatori che dovranno verificare, ai due lati del confine russoucraino, il passaggio di gas nel sistema di gasdotti ucraini in transito verso l'Europa. Le loro conclusioni aiuteranno a capire se nei giorni scorsi i flussi si sono arrestati a monte, nelle sale di comando di Gazprom, oppure nelle pieghe del sistema in terra ucraina, dirottati («rubati», dice Mosca) per compensare il gas a uso interno fermato dalla Russia la mattina del 1Úgennaio. «Non appena il meccanismo di controllo entrerà in funzione - assicura Putin - immetteremo gas nel sistema. E non appena vedremo che verrà di nuovo rubato, torneremo a tagliare i flussi».A Kiev, il primo ministro Yulia Tymoshenko accoglie Topolanek quando ormai è notte inoltrata. «Siamo pronti a un compromesso- dice- e a fare tutto ciò che dipende dall'Ucraina perché l'Europa riceva il suo gas». E intorno all'1 di notte italiana l'annuncio: anche JKiev ha firmato l'accordo che consente all'Unione europea di monitorare il transito di gas russo verso l'Europa occidentale attraverso l'Ucraina.Nel protocollo firmato a Novo Ogariovo, è la Russia a dettare le condizioni. Kiev ha resistito fino all'ultimo all'impiego di esperti di Gazprom, disposta ad accogliere in casa propria solo gli inviati dell'Unione Europea. Ma la Russia esige un proprio uomo in ogni punto critico della rete di transito, una persona a ogni stazione di monitoraggio, a ogni snodo critico, a ogni centrale elettrica, a ogni stazione di pompaggio. E vuole in squadra rappresentanti delle principali compagnie energetiche europee, dalla tedesca Eon Ruhrgas all'Eni di Paolo Scaroni.