venerdì 27 febbraio 2009

Aumenta la richiesta di benzina, petrolio ai massimi da un mese

Hanno preso il volo ieri le quotazioni del greggio sui mercati mondiali. A metà mattinata il prezzo spot del barile Wti aveva raggiunto 44,5 dollari sul Nymex, il livello più alto dell'ultimo mese, segnando un rialzo del 6,6%. A sostenere le quotazioni sono stati due fattori. Anzitutto i dati pubblicati ieri sugli stock di petrolio negli Stati Uniti: gli analisti infatti sono rimasti sorpresi dai dati sulle riserve diffusi il giorno prima, che hanno evidenziato una flessione di 3,3 milioni di barili negli stock di benzina, a fronte di un contempooraneo incremento della domanda dell'ordine dell'1%, quando si attendevano invece un valore in linea con quello della settimana precedente. Tanto che il contratto future sullo stesso Wti (varietà light sweet crude) con consegna ad aprile, ha aperto con un rialzo di 1,14 dollari, attestandosi 43,64 dollari. Il secondo fattore alla base dell'impennata dell'oro nero sono le pressioni del Venezuela sugli altri membri dell'Opec affinché trovino un'intesa su una nuova riduzione della produzione di greggio perché, ha spiegato il ministro del Petrolio, Rafael Ramirez, «il significativo surplus dell'offerta indebolisce i corsi». (Da Mf)

Edison coinvolge anche la Bulgaria con il gasdotto Itgi

Edison includerà la Bulgaria nel progetto per il gasdotto Itgi che collegherà la Turchia al Sud Italia tramite la Grecia. A rivelarlo è stato ieri il presidente dello Stato dell’Est, Georgi Parvanov, in occasione della visita ufficiale del premier italiano Silvio Berlusconi. «Riteniamo molto interessante l’offerta che ci è stata proposta da Edison per il tratto di interconnessione con la Grecia e speriamo in una partecipazione intensa da parte delle società del settore italiane, compresa l’Eni di Paolo Scaroni con il suo South Stream, che porterà grossi quantitativi di gas per l’intera Europa. (Da finanza & Mercati)

giovedì 26 febbraio 2009

Benzina, consumi Usa in rialzo

Le indicazioni che provengono dai mercati del greggio e dalle statistiche americane lasciano vedere qualche segnale incoraggiante, nella direzione di una maggior stabilità delle quotazioni.La novità principale è la ripresa dei consumi di benzina negli Stati Uniti. Nelle ultime quattro settimane la domanda Usa di carburante è arrivata a 8,99 milioni di barili/giorno, in aumento dell'1,7% rispetto a un anno prima, quando i prezzi alla pompa avevano già iniziato a incidere sull'atteggiamento degli automobilisti.Nelle statistiche del Dipartimento americano dell'Energia, gli stock commerciali di benzina la scorsa settimana sono calati di 3,4 milioni di barili, più del previsto, mentre le scorte di distillati sono aumentate di 800mila barili, quasi a segnalare un ideale passaggio del testimone: nel 2008 a guidare il mercato era il gasolio, mentre ora sembra che in cabina di regia possa tornare la benzina. Neutro il dato sul greggio, le cui scorte negli Usa sono salite di 700mila barili, mentre l'utilizzo della capacità di raffinazione è all'81,4%, un dato in calo dello 0,9%, ma da considerare tuttavia abbastanza elevato in questa fase della stagione.La flessione delle importazioni americane di petrolio sembra invece confermare l'effettiva stretta dei rubinetti dell'Opec.Dopo itagli produttivi decisi indicembre e un notevole ritardo nella loro implementazione, almeno da parte di alcuni Paesi del Cartello, oggi le cifre avvicinano al 100% l'adesione alle nuove quote. Lo dice il calo dell'import Usa, ma lo dice anche il basso livello dei noli per le petroliere.I "falchi"dell'Organizzazione restano però intenzionati a proporre una nuova stretta dei rubinetti al meeting in calendario il 15 marzo a Vienna. Stretta che nella pratica, almeno ultimamente, viene rispettata soprattutto dalle "colombe", come Arabia saudita e Kuwait. Il ministro venezuelano delle Finanze, Alì Rodriguez, ha ammesso ieri che la discesa dei prezzi forse si è fermata, ma ha anche aggiunto che resta una «sgradita instabilità», da contrastare con un ulteriore taglio dell'offerta. (Dal Corriere della Sera)

Sul Tag il governo stoppa la Kroes

Silvio Berlusconi ha detto il suo non possumus alla Commissione europea. L'Italia non permetterà che venga imposto all'Eni di cedere il gasdotto Tag come vorrebbe il commissario alla concorrenza Neelie Kroes. Ieri il ministro delle Politiche Comunitarie, Andrea Ronchi, ha spedito una nuova lettera indirizzata direttamente alla Kroes (dopo quella recapitata a Manuel Barroso) firmata da Silvio Berlusconi e dal ministro delle Attività produttive Claudio Scajola. Nella missiva Berlusconi ha ribadito che il gasdotto Tag controllato dall'Eni viene considerato dal governo italiano una questione di sicurezza nazionale. E in base a una sentenza della Corte di giustizia europea, un governo può legittimamente impedire la vendita di un'infrastruttura che considera strategica per la sua sicurezza. Proprio il caso del Tag, la cui dismissione indebolirebbe la posizione del paese nei confronti dei fornitori come la Russia. Se da un lato Berlusconi ha mostrato i muscoli, dall'altro avrebbe lasciato una porta aperta alla Kroes per risolvere in modo onorevole la questione dell'indagine aperta nei confronti del Cane a sei zampe (e di altri operatori) per abuso di posizione dominante. Come aveva proposto direttamente l'amministratore delegato di Eni, Paolo Scaroni, al commissario europeo per la Concorrenza sarebbe stata prospettata una separazione funzionale del gasdotto Tag, con alcune misure considerate strutturali, come la separazione in due società una per la vendita dei diritti di trasporto e una per l'esercizio degli stessi L'Eni, insomma, manterrebbe la proprietà dell'asset strategico, ma con meccanismi di garanzia nella gestione che possano far superare al Cane a sei zampe gli addebiti mossi dalla Commissione durante l'indagine. L'Italia, ha spiegato ieri il ministro delle Politiche comunitarie Ronchi, «ha il diritto-dovere di difendere l'interesse superiore nazionale nell'approvvigionamento energetico», e quindi il governo «non consentirà a nessuno di mettere a repentaglio la propria sicurezza nazionale, che è anche sicurezza degli approvvigionamenti». Un ragionamento che, secondo il ministro, vale anche per i gasdotti dell'Eni che passano per l'Austria, entrati nel mirino della Commissione europea. (da MF)

mercoledì 25 febbraio 2009

Nucleare, firmato l'accordo Berlusconi-Sarkozy

Enel lavorerà con Edf nella costruzione di quattro reattori Epr. Finito l'incubo Cernobyl: ecco perché i reattori saranno puliti e sicuri. Sarkozy: "Partnership illimitata". Berlusconi: "Per anni bloccati dal fanatismo ideologico di una parte politica". Regge: "E' l'unica via del futuro"
Roma - Il premier Silvio Berlusconi e il presidente francese Nicolas Sarkozy hanno firmato oggi a Roma l’accordo intergovernativo sul nucleare che vedrà Italia e la Francia sempre più vicine nella produzione di energia dall’atomo. L’accordo - firmato a villa Madama al termine del vertice italo-francese - è accompagnato da due memorandum of understanding tra i due gruppi elettrici Enel ed Edf. "C’è una relazione molto cordiale, un’amicizia e una vicinanza tra Italia e Francia - ha spiegato il Cavaliere - ho colto l’intenzione di Sarkozy di aumentare le attività comuni e quanto possiamo fare insieme tra i nostri due Paesi e soprattutto in Europa".
Un accordo storico In conferenza stampa il titolare dell’Eliseo ha definito "storico" l’accordo e ha affermato che se l’Italia dovesse confermare l’intenzione di aprire al nucleare, la Francia "propone una partnership illimitata". Per il presidente del Consiglio il summit ha confermato che tra Roma e Parigi "c’è una visione comune su tanti problemi, su come devono essere cambiate le regole e sul modo in cui deve cambiare l’Unione europea". Il premier italiano ha, poi, puntato il dito contro "il fanatismo ideologico di una parte politica" che "ci ha impedito la strada del nucleare". "Dobbiamo svegliarci dal nostro sonno, adeguarci, perché il futuro è nell’energia rinnovabile e nel nucleare", ha spiegato Berlusconi facendo sapere che l'Italia collaborerà "alla realizzazione di altre centrali nucleari in Francia e in altri paesi" e "affronterà la costruzioni di centrali nucleari in Italia, con al nostro fianco la Francia che ci ha messo a disposizione il suo know how, ciò che ci consentirà di risparmiare diversi anni e iniziare la costruzione delle centrali in un tempo assolutamente contenuto".
L'accordo sul nucleare Il principale accordo riguarda tutti gli aspetti del nucleare, dalla collaborazione in sede europea ai temi della sicurezza, dalla cooperazione tecnologica alla formazione dei tecnici, dallo smantellamento degli impianti alla collaborazione industriale in Paesi terzi. Nel clima della pax electrica sancita all’ultimo summit di Nizza nel 2007, l’intesa prevede - secondo indiscrezioni di stampa - che Edf partecipi alla costruzione di una centrale nucleare di nuova generazione in Italia, mentre per Enel si profila una quota (12,5%) della futura centrale Epr di Penly che sarà costruita da Edf. Non solo. Non appena la legge che prevede il ritorno del nostro paese al nucleare sarà approvata, i due colossi elettrici dovrebbero dare vita ad un consorzio guidato da Enel (60%) ma aperto al contributo di altri operatori - A2A, Eon, gruppi energivori, Eni, Sorgenia - che ha come obiettivo quello di costruire nel nostro paese almeno 4 reattori Epr prodotti dalla francese Areva. Ora la legge si trova ferma in commissione industria al Senato. I tempi utili di approvazione saranno di non meno due mesi. Dopo il governo avrà sei mesi di tempo per la scelta dei siti che dovranno ospitare le nuove centrali nucleari italiane.
La collaborazione industriale Una parte rilevante del documento in discussione è destinata a definire anche la collaborazione industriale sempre nel settore nucleare tra Areva e Ansaldo Energia nella costruzione e nella progettazione dei reattori nucleari Epr. Ansaldo dovrebbe essere pienamente coinvolta, attraverso la sua controllata Ansaldo Nucleare non solo per quanto riguarda la realizzazione e la progettazione dei reattori italiani, ma anche per quanto riguarda quelli in via di autorizzazione in Francia e quelli che sono stati già commissionati da Areva in paesi terzi. Altro capitolo del protocollo di intesa tra i due paesi riguarda una piena collaborazione sul tema delle scorie che coinvolge la Sogin e l’apertura di una più forte collaborazione nel settore della ricerca con un occhio particolare da parte dei francesi nei confronti delle università italiane. La scelta di realizzare 4 reattori Epr in Italia implica come contrappeso che il resto della flotta nucleare italiana sarà costuituito dai reattori Ap 1000 fabbricati da Westinghouse. Si parla di almeno sei reattori raggruppati in due centrali che saranno costruiti per raggiungere il target di circa 12mila megawatt dichiarato dal governo.
Il piano per le infrastrutture In cantiere dodici opere per 120miliardi di euro: siglato anche l'accordo nell’ambito del settore dei trasporti che prevede che entro sei settimane saranno pronti i bandi di gara per il valico di Frejus. "Noi - ha detto il presidente francese - quest’anno ci ritroviamo nel doloroso decimo anniversario del Bianco. Ci è voluto che i nostri governi facessero enormi lavori e i bandi di gara per il Frejus saranno pronti tra sei settimane. Sono anni che se ne parla, è una decisione concreta". Il titolare dell'Eliseo ha, inoltre, espresso apprezzamento per il governo italiano per gli sforzi messi in atto "per convincere i Comuni per la Torino-Lione e per il trasporto modale".
Gli assetti mondiali "L’Occidente ha bisogno degli Stati Uniti, ma anche della Russia come fornitore di materie prime", ha spiegato il presidente Berlusconi sottolineando che tra gli obiettivi comuni dei due Paesi c’è quello di "rapporti cordiali" tra Mosca, Bruxelles e Washington. Il premier è dunque tornato sui giorni della crisi tra Georgia e Federazione russa e ha ringraziato Sarkozy per il ruolo avuto durante il mese di presidenza del Consiglio europeo. "C’è stata una gestione determinata e intelligente - ha detto il premier italiano - che ha consentito di andare a fondo nei problemi e si è concretizzata nei momenti importanti come la fine dell’attacco della Russia alla Georgia". Se l’attacco fosse andato fino in fondo, ha aggiunto Berlusconi, "si rischiava un divorzio drammatico tra Ue, Nato e Russia" e il "ritorno alla guerra fredda".

Interrogazione contro Kroes su caso Eni-Tag

Da Finanza & Mercati

Gli eurodeputati Gianni Pittella (Pse) e Mario Mauro (Ppe) hanno presentato un’interrogazione alla Commissione europea per evitare che l’indagine sul mercato del gas della responsabile della Concorrenza Neelie Kroes, porti alla cessione forzata da parte di Eni di capacità del Tag, il gasdotto (89% del gruppo guidato da Paolo Scaroni) che dalla Russia porta il 30% del gas utilizzato in Italia. Nell’interrogazione vengono avanzati dubbi sull’opportunità di dismissioni coatte, puntualizzando che, qualora si accertino comportamenti anti-competitivi, le misure a tutela del mercato devono passare attraverso provvedimenti amministrativi quali le multe. «Fatto salvo - spiegano - il compito della Commissione di garantire la concorrenza, la decisione di spingere gli operatori europei di gas a cedere le proprie reti di trasporto porterà inevitabilmente a un indebolimento dell’intero sistema Europa rispetto ai Paesi produttori».

martedì 24 febbraio 2009

Acea si spacca sul gas di Roma a Suez

Sarà pure vero, come precisato tre giorni fa dal presidente di Acea, Giancarlo Cremonesi, che fra lui e l´amministratore delegato Andrea Mangoni «non c´è alcun dissidio» in merito alla trattativa con Suez-Gaz de France per il conferimento della rete gas di Roma. Fatto sta che sulla chiusura dell´accordo tra l´utility controllata al 51% dal Campidoglio e l´azionista francese, sul quale Mangoni è impegnato da mesi, ieri Cremonesi ha dato un bel colpo di freno. Consumando una frattura forse insanabile proprio alla vigilia dell´incontro tra il governo italiano e quello transalpino previsto per martedì, quando Nicolas Sarkozy sbarcherà a Roma insieme a una folta delegazione (fra cui i vertici di Gdf) probabilmente anche per cercare di sbloccare un´impasse che si trascina da prima dell´estate. In fondo a una settimana fitta di indiscrezioni e comunicati stampa che hanno persino richiamato l´attenzione della Consob con una richiesta di spiegazioni al presidente del collegio dei sindaci (che verrà ascoltato lunedì), ieri Cremonesi è venuto allo scoperto e, in un´intervista al Sole24ore, ha rimesso in discussione l´intera operazione. «Dobbiamo capire», ha spiegato il presidente dell´ex municipalizzata, «se gli investimenti che richiederà la rete di distribuzione del gas, che i nostri soci hanno rilevato dall´Eni e vorrebbero conferire nell´azienda, e le sinergie, giustificano il business. O se invece per Acea sia più redditizio svilupparsi in altri settori». Uno stop in piena regola che, nel giro di poche ore, ha fatto precipitare il titolo in Borsa: la perdita a fine giornata superava il 7%.Cremonesi, d´altra parte, c´è andato giù duro. Non sempre rispettoso del suo ruolo di presidente del cda quando, anziché rappresentare tutti gli azionisti come dovrebbe, parla solo a nome di alcuni: «Credo che il Comune e Caltagirone non siano aprioristicamente né favorevoli né contrari» alla fusione Acea-Gdf. Lanciando infine a Mangoni un chiaro avviso di sfratto. «L´ad è un uomo libero», replica alla domanda se si sentisse di escluderne le dimissioni in caso di fallimento degli accordi. «È persona conosciuta e stimata per cui penso che facilmente avrà interessanti proposte da altre società. Non posso escludere nulla. Anche se, considerando l´attaccamento che ha verso le sorti della società, mi sembra strano».

EniPower: l'energia nel rispetto dell'ambiente

Un segreto?Forse sì: è la capacità di affrontare i nuovi problemi uscendo da schemi consolidati che rischiano di essere riproposti come uniche soluzioni, innestando la dinamicità delle nuove generazioni e la loro sensibilità verso l'ambiente sulle esperienze pluridecennali che solo una grande società “storica e moderna” come l'Eni guidata da Paolo Scaroni può mettere a disposizione.Facile a dirsi, ma non proprio così scontato quando i problemi da affrontare sono quelli strategici della fornitura di energia, che richiedono scelte responsabili anche per non pesare a lungo sul nostro futuro.Giovanni Milani, A.D. di EniPower, conosce le sfide del presente e i punti di forza della Società che guida.Proviene dal mondo dell'energia elettrica ed è entrato in EniPower, società dell'Eni dedicata alla produzione di energia, nella primavera del 2008.Appartenere all'Eni è una base che offre grandi opportunità in termini di business e permette di ragionare in grande.EniPower è snella e dinamica (meno di seicento persone, e tutte molto motivate), giovane (l'età media dei dipendenti è la più bassa fra quelle di tutte le società dell'Eni), con obiettivi industriali chiari e precisi e soprattutto è dotata di un'organizzazione efficiente e ben radicata sul territorio.La società stessa è molto giovane: nasce, infatti, nel 1999 – con la liberalizzazione del mercato dell'energia elettrica.Un piccolo gruppo di tecnici, con il preciso obiettivo di creare quel corretto mix di età e di esperienza che sarebbe stato in grado di ottimizzare l'ingresso dell'Eni nel mercato dell'energia elettrica. (Da Affari & Finanza)

Sempre di più i giacimenti "imprevisti"

I ghiacci dell’Artico come le sabbie bituminose di Canada, Venezuela o Congo. Le zone selvagge dell’Alaska come il giacimento di Kashagan nel mar Caspio, dove le temperature oscillano di oltre ottanta gradi e i problemi principali sono legati al corretto stoccaggio dello zolfo, le cui emissioni possono diventare la principale causa delle piogge acide nella regione. Estrarre il petrolio in determinate aree del mondo è un’impresa complessa, delicata, molto più costosa rispetto ai punti in cui ci si può avvalere dei metodi tradizionali. Spiega Marco Alverà, direttore della divisione E&P dell’Eni, guidato da Paolo Scaroni, per la regione Nord Europa e Americhe: «Le difficoltà, che non necessariamente si sovrappongono, sono di natura logistica e geologica». Per esempio, è il caso dell’Artico, è complicato a livello logistico predisporre le infrastrutture per trivellare in acque ghiacciate, molto profonde. Però, una volta estratto, l’olio è di buona qualità e la compressione è accettabile. Ancora, si tratta di regioni disabitate, dove gli addetti vanno a lavorare spesso controvoglia, e ciò costringe le compagnie a organizzare turni molto ridotti. «Inoltre – aggiunge Alverà – ogni materiale che deve essere portato fin lì ha costi esponenziali rispetto ad aree come la Louisiana, dove ci sono migliaia di cantieri. Se si verifica un guasto è fondamentale avere in loco i pezzi di ricambio o avviare immediatamente procedure di shutdown». (Da Affari & Finanza)

Gasdotti, grande corsa a spartirsi il business

Alleanze con la Russia, dal Baltico al Mar Nero. Con la Turchia e la Grecia, attraverso lo Jonio. E ancora dal Mediterraneo del sud con l’Algeria e l’Egitto. Passa sul fondo del mare, la strada che dovrebbe scongiurare il pericolo di un’emergenza gas in Europa nei prossimi anni. Grazie a una politica più accorta di alleanze politicoeconomiche, i paesi dell’Eurozona a partire dal 2010 potranno contare su una serie di nuovi metanodotti che, aggiunti ai progetti di nuovi rigassificatori, soddisferanno la sete di oro azzurro per i prossimi anni. Dopo aver rischiato di passare al freddo e al buio due inverni degli ultimi quattro – in seguito alla crisi scoppiata tra Russia e Ucraina – i paesi della Ue sembrano aver individuato una politica più accorta nelle forniture di gas. Spinti dal progressivo esaurimento dei giacimenti del Mare del Nord, i governi e le principali utility hanno dato il via a una serie di opere che potranno soddisfare la domanda di gas che al momento si aggira attorno ai 300 miliardi di metri cubi, ma che fino a un anno fa era previsto raddoppiasse entro il 2020.Ora, la recessione economica ha reso meno urgente il bisogno, visto che la domanda di energia non potrà che calare con il rallentamento della produzione industriale. Ma è una prospettiva che vale solo per il 2009. E, inoltre, la domanda di gas rimarrà comunque sostenuta soprattutto perché il metano è sempre più usato come fonte di riscaldamento; e solo in alcuni paesi come l’Italia e la Germania (ai primi posti per quantità di gas importato assieme agli Stati Uniti e al Giappone) ha un peso preponderante come combustibile per l’alimentazione delle centrali.Non è un caso, allora, che siano proprio l’Italia e la Germania i paesi protagonisti nelle alleanze politico commerciali per la realizzazione dei principali gasdotti in costruzione. Allo stesso modo, sul fronte dei paesi produttori, sono i governi di Russia e Algeria a essere i più interessati alle nuove infrastrutture. In particolare, Mosca ha bisogno di migliorare l’efficienza della propria ragnatela di tubi: anche se, al momento, è ancora capace di trasportare fino a 600 miliardi di metri cubi di gas all’anno – di cui un terzo verso l’Europa è altrettanto vero che sprechi e inefficienze ne limitano la redditività. Inoltre, solo con un migliore sistema di trasporto, la Russia potrà sostenere la concorrenza: da una parte contro i paesi arabi del Golfo, che stanno stringendo accordi con le utility europee per la realizzazione di rigassificatori in modo da far arrivare il gas via nave, dall’altro contro le ex repubbliche sovietiche del Caucaso che, a loro volta, spesso con il sostegno dell’Europa e degli Stati Uniti si stanno attrezzando per dar vita a una rete parallela attraverso il Mar Nero e la Turchia. (Da Affari & Finanza)

giovedì 19 febbraio 2009

«Eni rifugio dal barile». Credit Suisse premia il gruppo italiano

Credit Suisse dipinge per Eni un futuro a prova di crisi del barile. E il titolo, anche grazie all’interesse libico espresso nel weekend per una quota nel capitale, chiude in progresso dell’1,1% a quota 17,42 (dopo aver toccato anche i 17,6 nell’intraday). I conti presentati venerdì scorso dall’ad Paolo Scaroni l’avevano evidenziato: il cane a sei zampe è cash neutral a quota 41 dollari il barile, ergo si trova in una condizione migliore dei concorrenti anche in fase di oil al ribasso. Ieri, Cs ha alzato il giudizio sul titolo da underperform a outperform (con target price da 19,3 a 20 euro), spiegando che, «nell’attuale scenario, Eni garantisce la miglior combinazione di guadagni difensivi, valore relativo e potenzialità in caso di mutamento di congiuntura». In particolare, gli analisti sottolineano come «il 7,7% di dividend yield sia sector leading», per giunta «il 35% del quale è supportato dal free cash flow della divisione gas che è stabile anche nel calo della domanda». Ieri, Morgan Stanley ha ribadito il rating equalweight sul titolo alzando il prezzo obiettivo da 17,233 a 19 euro. In rialzo (+2% a 3,89 euro) anche la controllata Snam Rete Gas che la scorsa settimana ha comprato da Eni la Stogit e Italgas. (Da Finanza & Mercati)

Sakhalin al via, il gas russo va in Asia

Il colosso dell'energia Gazprom – braccio armato dell'influenza russa sul settore energetico europeo – lancia la sua proiezione strategica sull'Asia:è stato inaugurato ieri il 1Ú maxi-impianto per la produzione di gas naturale liquefatto nell'isola di Sakhalin, al largo del Pacifico occidentale, che apre nuove vie dell'export anche verso il Nord America. Non è un caso che alla cerimonia siano stati presenti il presidente russo Dmitry Medvedev (ex capo di Gazprom) e il premier giapponese Taro Aso. «La Russia apre una finestra sull'Asia», ha dichiarato Aso, il primo responsabile del governo nipponico a metter piede sull'isola dalla fine della seconda guerra mondiale, quando Mosca ne strappò la parte meridionale al Giappone. L'impianto, parte del progetto Sakhalin-2, fornirà circa il 7% della domanda giapponese di gnl, con il 65% della produzione destinato al Sol Levante, dalla cui punta settentrionale dista solo 160 km. Il progetto ha subito vari ritardi ed era diventato il simbolo della “prepotenza” della Russia di Putin nel 2006, quando Mosca, con la minaccia di bloccare tutto per pretesti ecologici, si prese la maggioranza dell'operazione mettendo fine all'”anomalia” del controllo straniero regolarmente concordato nel 1994. Oggi Gazprom detiene la metà più una azione della società, con l'ex leader Shell scesa al 27,5%, Mitsui al 12,5% e Mitsubishi al 10 percento. Quest'anno la produzione sarà di circa 3,2 mln tonn, per circa 50 cargo.Dal prossimo anno la produzione dovrebbe salire a 9,6 mln tonn. di gnl e a regime fornirà il 5% dell'offerta mondiale, oltre a generare ampie quantità di petrolio. Una parte del prodotto finirà in Corea del Sud e anche a un terminale messicano per inoltro nella West coast statunitense.Il Ceo di Gazprom, Alexei Miller, ha sottolineato che la Russia intende diventare il primo produttore mondiale di gnl, con una capacità nel 2030 di circa 90 milioni di tonnellate, contro i 31 mln di oggi del leader di mercato, il Qatar. (Dal Sole 24 Ore)

Eni alla sfida di Goliat

Goliat prende forma. Il piano di sfruttamento del maxi giacimento di Eni nel mare di Barents è stato sottoposto al ministero del Petrolio della Norvegia. Secondo quanto riportato da Bloomberg, lo ha comunicato la stessa compagnia italiana con una nota sul sito web norvegese. Il gruppo guidato da Paolo Scaroni ha inoltrato il progetto di sviluppo, per cui si stimano costi di 3,8 miliardi di dollari, assieme al partner StatoilHydro. La compagnia italiana è l’operatore di Goliat, con il 65% del capitale. Il resto è del gruppo nordico. Le due società hanno spiegato di attendersi l’esame in Parlamento della fase operativa nel secondo trimestre 2009. «Si tratta di un passo importante - spiega la nota Eni - per Goliat e per la realizzazione del primo campo petrolifero nel mare di Barents». Inoltre, Goliat «è anche una sfida per Eni, in quanto realizzata con emissioni ridotte in un’area con stretti vincoli ambientali». Goliat è stimato valere 27,5 milioni di metri cubi di petrolio e 3,1 miliardi di metri cubi di gas. Il titolo ha perso ieri lo 0,18% a 16,87 euro. (da Finanza & Mercati)

Iran, vicino l'accordo con Total sul gas

L'Iran ha confermato ieri che entro un mese firmerà un contratto da cinque miliardi di dollari con la francese Total per sviluppare una parte del giacimento di gas di South Pars, nel Golfo Persico. La mossa arriva dopo le caute aperture del presidente americano Barack Obama che si è detto favorevole a un dialogo diretto con Teheran nonostante il braccio di ferro con l'Occidente sul programma nucleare iraniano.«Abbiamo trattative con la Total per lo sviluppo della Fase 11 di South Pars e il contratto sarà concluso entro la fine dell'anno iraniano, cioè il 20 marzo», ha detto Seyfollah Jashnsaz, capo della Nioc, l'ente petrolifero iraniano. Da Parigi finora non ci sono né conferme né smentite. Il capo delle operazioni di esplorazione della Total, Yves-Louis Darricarrere, aveva detto la settimana scorsa che la compagnia francese era in trattative con l'Iran per un importante progetto, ma aveva aggiunto che i negoziati procedevano «lentamente». (Dal Sole 24 Ore)

mercoledì 18 febbraio 2009

Lo stomaco, il petrolio e la Nigeria

Durante la tappa nigeriana della visita del ministro degli Esteri Franco Frattini in Africa, la settimana scorsa, la stampa si è occupata quasi soltanto delle minacce del Movimento per l'emancipazione del delta del Niger alle imprese italiane. Ma in quel Paese di contraddizioni, l'ottavo produttore di petrolio nel mondo, con circa il 70% dei propri 146 milioni di abitanti al di sotto della soglia di povertà, è accaduto anche qualcosa che riguarda Roma, città nella quale la comunità nigeriana è consistente ed è spesso associata alle prostitute intorno al raccordo anulare.«Noi vogliamo rifare il marchio della Nigeria, rebrand Nigeria », ha detto a Frattini ad Abuja il suo collega ministro degli Esteri Ojo Maduekwe. «Ogni nigeriano che in Italia agisce illegalmente crea un danno terribile alla nostra immagine e a quanti sono da voi legalmente, oggetto di sospetti», ha aggiunto Maduekwe, chiedendo però tolleranza per chi è senza documenti e non commette reati. Poi il ministro ha sollecitato investimenti in Nigeria esprimendo fastidio per coloro che legano l'immagine del suo Paese «a Oxfam, Caritas» e altre associazioni secondo le quali, parole sue, «Africa è stomaco». Se i proventi del greggio fossero distribuiti meglio, forse Maduekwe avrebbe ragione.

EniPower: l'energia nel rispetto dell'ambiente

Forse sì: è la capacità di affrontare i nuovi problemi uscendo da schemi consolidati che rischiano di essere riproposti come uniche soluzioni, innestando la dinamicità delle nuove generazioni e la loro sensibilità verso l'ambiente sulle esperienze pluridecennali che solo una grande società “storica e moderna” come l'Eni può mettere a disposizione.Facile a dirsi, ma non proprio così scontato quando i problemi da affrontare sono quelli strategici della fornitura di energia, che richiedono scelte responsabili anche per non pesare a lungo sul nostro futuro.Giovanni Milani, A.D. di EniPower, conosce le sfide del presente e i punti di forza della Società che guida.Proviene dal mondo dell'energia elettrica ed è entrato in EniPower, società del gruppo guidato da Paolo Scaroni dedicata alla produzione di energia, nella primavera del 2008.Appartenere all'Eni è una base che offre grandi opportunità in termini di business e permette di ragionare in grande.EniPower è snella e dinamica (meno di seicento persone, e tutte molto motivate), giovane (l'età media dei dipendenti è la più bassa fra quelle di tutte le società dell'Eni), con obiettivi industriali chiari e precisi e soprattutto è dotata di un'organizzazione efficiente e ben radicata sul territorio.La società stessa è molto giovane: nasce, infatti, nel 1999 – con la liberalizzazione del mercato dell'energia elettrica.Un piccolo gruppo di tecnici, con il preciso obiettivo di creare quel corretto mix di età e di esperienza che sarebbe stato in grado di ottimizzare l'ingresso dell'Eni nel mercato dell'energia elettrica.Coordinamento, mutualità, disponibilità ad affrontare una formazione continua e approfondita hanno fatto “crescere” rapidamente il personale.Non a caso le risorse umane sono da sempre uno dei principali punti di forza e un valore prioritario di EniPower.

martedì 17 febbraio 2009

Chavez presidente a vita: «Il nuovo Castro col petrolio»

SANGUIGNO È l'ora della vittoria, sembra indicare Hugo Chavez, che ha vinto il referendum presidenziale e si appresta a governare a lungo il suo Venezuela per portare a compimento la «rivoluzione bolivariana» che non gli riuscì due anni fa (Reuters)dall'inviato GIAMPAOLO PIOLI NEW YORK IL POPOLO del Venezuela ha deciso: Hugo Chavez potrà ripresentarsi nel 2013 per un altro mandato di 6 anni aprendo la strada a una sua presidenza a vita. La «Rivoluzione bolivariana del ventunesimo secolo» che si è inventato quasi 10 anni fa diventando il «nuovo Castro col petrolio» ha ricevuto il definitivo via libera in un trionfo di camicie e bandiere rosse. Col 54,36% dei voti, il «comandante Hugo» è apparso al balcone del Palazzo Miraflores: «Hanno vinto la costanza, la verità e la dignità del popolo.Io sono soltanto un soldato del popolo, voi siete il mio capo a voi dedico la vittoria». E il primo a congratularsi con lui, 9 secondi dopo l'annuncio ufficiale, è stato il vecchio amico Fidel, che aveva previsto il risultato. Col referendum Chavez si giocava l'intero destino politico. Anche una vittoria di strettissimo margine avrebbe ridato fiato alle opposizioni piuttosto divise, ma pronte a ricompattarsi per il voto parlamentare del 2010. Il sì alla riforma costituzionale con questo vantaggio, consegna invece al controverso e combattivo sfidante dell'America di George Bush un mandato fortissimo per la sua «rivoluzione» d'ispirazione filo-cubana. Barack Obama, pronto a riprendere il dialogo con Caracas dopo il congelamento dei rapporti Usa-Venezuela, dovrà tenerne conto e trattare Chavez come un partner di peso. LE NAZIONALIZZAZIONI, dal petrolio alle grandi industrie, una ridistribuzione delle terre di stampo vagamente socialista, il forte impegno dello Stato nella lotta contro la povertà e nell'allargamento di istruzione e servizi medici e sociali, sono stati i grandi cavalli di battaglia per mantenere alta la popolarità nella sfida alle vecchie oligarchie venezuelane. La resa dei conti con i latifondisti e gli uomini dei grandi capitali che nel 2002 organizzarono un golpe parlamentare contro di lui ottenendone l'arresto per qualche ora, si sta consumando voto dopo voto. La vittoria referendaria di ieri, che nessuno contesta, dimostra che il Venezuela rimane spaccato ideologicamente in due, ma la stragrande maggioranza della popolazione preferisce Chavez. Dal balcone di Miraflores il «super presidente» ha citato Jorge Luis Borges e l'apostolo San Paolo sul «guerriero dei popoli» per poi concludere con El pueblo unido jamas serà vencido. PUR COL CROLLO del prezzo del petrolio, «Hugo il guerriero» è riuscito fino a questo momento a non tagliare l'enorme spesa pubblica a favore dei ceti poveri e a garantirsi una solidissima e fedele base elettorale.Il suo «modello bolivariano» non è certo un elemento di attrazione per gli Stati Uniti, ma sicuramente la scelta di un governo forte che piace a Obama contro il governo leggero e a favore della deregulation che invece predicava Bush, potrebbe fare ritrovare a Washington e a Caracas più di un punto in comune nei prossimi mesi, stemperando una tensione con l'intera area sudamericana che ormai dura da lungo tempo, aprendo spiragli anche per un «nuovo rapporto» tra Washington e Cuba. Obama ha subito notato che in questi «vuoti di amicizia» sia i russi sia i cinesi si sono inseriti molto in fretta, sostituendo la leadership americana in un'area strategica. (Dal Giorno)

Frattini: priorità per il gasdotto progettato dall'Eni di Paolo Scaroni e dalla russa Gazprom

La Russia vuole aprire a un consorzio di imprese europee selezionate il controllo del transito del metano verso Occidente ed è disposta ad aumentare la capacità di esportazione del progetto per il gasdotto South Stream (Gazprom con l'Eni di Paolo Scaroni), diretto verso il Mediterraneo e l'Italia del Sud. Lo ha annunciato ieri il vicepremier e ministro delle Finanze russo, Aleksei Kudrin, in occasione di un incontro con il ministro italiano degli Esteri, Franco Frattini. Insieme, Frattini e Kudrin «hanno parlato della possibilità di ingresso di compagnie italiane» in questa nuova entità. Inoltre Frattini ha poi chiesto che «il gasodotto South Stream sia inserito fra le infrastrutture energetiche prioritarie dell'Ue» e ha annunciato che la presidenza italiana del G8 convocherà un vertice mini-steriale dedicato all'energia. Sono questi i temi principali della decima sessione del Consiglio italo-russo per la cooperazione economica, industriale e finanziaria, co-presieduto da Frattini e Kudrin, consiglio che si è riunito ieri mattina a Roma.«Sappiamo che imprenditori italiani sono interessati al controllo sul transito e sulle garanzie del transito del gas tra la Russia e l'Ue, a elaborare un nuovo formato di questo transito e alla diversificazione dei rifornimenti dell'energia russa», ha affermato Kudrin. È una testimonianza della «cooperazione molto stretta con la Federazione russa – ha commentato Frattini – sui temi della sicurezza energetica e la diversificazione delle forniture».Per quanto riguarda il settore elettrico, l'Italia «ha evidenziato il ruolo strategico degli investimenti di Enel in Russia e auspica – afferma il ministero degli Esteri – che le autorità russe pongano in essere condizioni regolamentari stabili e trasparenti in grado di garantire un'adeguata remunerazione degli investimenti, quali il completamento della liberalizzazione del mercato elettrico, la creazione di un capacity market di lunga durata e il pieno riconoscimento in tariffa dei costi di generazione ». I due ministri inoltre sosterranno «lo sviluppo della cooperazione nei settori energetico, petrolchimico, siderurgico, informatico, degli elettrodomestici e delle comunicazioni nonché nel campo dell'ambiente». (Dal Sole 24 Ore)

lunedì 16 febbraio 2009

Attacco al tesoro nascosto sotto il Polo Nord

(da "Il Corriere della Sera) Era dai tempi della mitica ricerca del passaggio a Nord Ovest (raggiungere il Pacifico superando a nord il continente americano) che non si dava tanta importanza alla zona dell'Artico.Certo, i sottomarini americani e quelli sovietici la pattugliavano costantemente durante la Guerra Fredda. E tutti sapevano che sotto il fondo marino si nascondevano enormi ricchezze. Ma le difficoltà logistiche erano tali che l'Artico è sempre stato lasciato in pace, se si escludono esploratori e scienziati. Il riscaldamento globale oggi sta cambiando tutto questo. I russi hanno iniziato per primi a cercare di mettere le mani sul Polo Nord e l'anno scorso hanno piantato la loro bandiera sul fondo dell'oceano. Adesso la Nato ha risposto con un vertice in Islanda durante il quale si è deciso che sarà necessario assicurare una presenza militare nella regione.I ghiacci si sciolgono e la navigazione diventa più facile, così come la ricerca delle enormi ricchezze racchiuse nel sottosuolo. Fino ad oggi i Paesi che si affacciano sull'Artico hanno convissuto pacificamente sulla base del principio internazionale che riconosce ad ognuno una zona di interesse economico fino a 200 miglia nautiche dalla costa: Stati Uniti, Canada, Norvegia, Danimarca (dalla quale dipende la Groenlandia) e Russia. Sotto il fondo del mare, però, si nascondono enormi riserve di petrolio e gas, pari a quelle dell'Arabia Saudita.Secondo l'Ente nazionale di Ricerca degli Stati Uniti, sotto l'Artico c'è il 13 per cento dei giacimenti di petrolio ancora non scoperti nel mondo e il 30 per cento di quelli di gas. E questo accende gi appetiti, visto che i ghiacci si stanno ritirando velocemente. Già nel 2001 i russi avevano tentato di reclamare la sovranità su una larga fetta della regione. Mosca sostiene che sott'acqua c'è una catena montuosa, la Lomonosov, che deve essere considerata un'estensione della sua massa territoriale. Le duecento miglia non si dovrebbero dunque calcolare dalla costa della Siberia, ma dalla fine di questa catena sottomarina. Vale a dire metà dell'Artico, circa 460 mila miglia quadrate in più.All'epoca la richiesta fu bocciata dalle Nazioni Unite, ma ora i russi tornano all'attacco.Nel 2007 hanno mandato sotto i ghiacci due mini sommergibili che hanno depositato una bandiera di titanio a quattromila metri di profondità, sul fondo dell'oceano in corrispondenza del Polo Nord geografico.Il segretario generale della Nato Jaap De Hoop Scheffer ha detto di aver già notato un aumento dell'attività militare nella regione. «Certamente non mi aspetto alcun conflitto, ma ci sarà una presenza militare», ha spiegato al vertice di Reykjavik.Al di là della ricerca di idrocarburi, il riscaldamento apre nuove possibilità di pesca e, naturalmente, di trasporto. Oltre alla rotta verso il Pacifico a nord del Canada, c'è quella verso oriente che passa sopra la Siberia e poi attraversa lo stretto di Bering, fra Alaska e Chukotka.I russi già la usano d'estate, con i rompighiaccio, da Murmansk fino a Vladivostok sul Pacifico e in Giappone. Dalla città russa nella penisola di Kola a Yokohama in Giappone sono seimila miglia, contro le tredicimila che si percorrono passando per il Mediterraneo e Suez. Da Amburgo al porto giapponese si passerebbe dalle attuali 11.500 miglia a 7.400.

Italia più vicina all'obiettivo Kyoto

Centrare gli obiettivi di Kyoto? Sorpresa: per l'Italia non è impossibile, anche se ci costerà caro. Perché se è vero che i dati delle nostre emissioni nell'ultimo biennio – anticipati dalla Fondazione Sviluppo Sostenibile – mostrano un'accelerazione addirittura imprevista nella pulizia dello Stivale, ulteriori azioni sono indispensabili. E l'ipotetico risultato saràcomunque accompagnato da una dolosa consapevolezza. Nel pianeta c'è chi annullerà i nostri sforzi.L'America di Obama potrà far molto con al sua tardiva (ma non scontata) adesione ai richiami di Kyoto. Ma a spingere la CO2 sono comunque i paesi rampanti, Cina e India in testa. E sarà davvero difficile evitare un ulteriore forte aumento della CO2 che causa il fenomeno del riscaldamento globale. Ecco dunque le luci (per il nostro paese) e le ombre (per l'intero pianeta) nel rapporto della Fondazione guidata da Edo Ronchi, l'ex ministro dell'Ambiente nei governi di centrosinistra che ha materialmente siglato per noi il protocollo di Kyoto.«Dal 2005 il trend in Italia è cambiato. Abbiamo immesso nell'atmosfera 28 milioni di tonnellate di gas serra in meno. Nel 2012 potremmo essere molto vicini all'obiettivo, con una riduzione delle emissioni del 5,4%, a 489 milioni di tonnellate, rispetto al -6,5% previsto dal protocollo» azzarda Ronchi sulla scorta del rapporto. Certo, «la riduzione, iniziata nel 2006, si è rafforzata nel 2007 e 2008 anche a causa del consistente aumento del prezzo del petrolio» che ha contribuito a frenare i consumi e a incentivare l'efficienza. E ora «la recessione sta producendo «un effetto analogo». Sta di fatto che secondo i calcoli effettuati dalla Fondazione sulla base dei nostri consumi petroliferi nel 2008 abbiamo emesso "solo" 550 milioni di tonnellate di CO2, con un ulteriore taglio di 5,8 milioni di tonnellate rispetto al 2007. «Nel 2009 le emissioni probabilmente continueranno a diminuire, anche se l'effettivo raggiungimento del target «resta molto impegnativo» precisa Ronchi. Che ci invita ad accelerare ma a farci anche un po' furbi. Con la validazione ufficiale, ad esempio, degli assorbimenti di carbonio dai "serbatoi" naturali (foreste, territorie altri fenomeni). I fondi per l'operazione –ricorda Ronchi– erano stati stanziati nella Finanziaria 2007. Poi sono stati usati per altri scopi. «Se fossero ripristinati potremmo avere un registro operativo nel 2011, con un costo di due milioni di euro l'anno per tre anni. Questo ci permetterebbe di contabilizzare un taglio di oltre 10 milioni di CO2 ad un costo inferiore ai 60 centesimi per tonnellata, a fronte di un prezzo di mercato di 20 euro a tonnellata».Bene,intanto,anche per l'intera Europa. Che «nel 2012 potrebbe addirittura superare gli obiettivi, raggiungendo una riduzione dell'11,3%». Vittoria senz'altro utile ma largamente insufficiente per gli equilibri globali del pianeta, visto che i paesi rampanti (e l'America), hanno spinto le emissioni di CO2 dai 21 miliardi di tonnellate del 1990 ai quasi 28 miliardi del 2006. Coinvolgerli? Un obbligo. (da "Il Sole 24 Ore")
Quindi anche i grandi gruppi iatliano hanno iniziato a muoversi. Questo è quello che l’Eni, ad esempio, su iniziativa dell’amministratore delegato Paolo Scaroni, dichiara di fare ogni anno a favore dell’ambiente.

venerdì 13 febbraio 2009

La benzina delle canaglie

La Casa Bianca lancia il progetto «Nuova energia per l'America»: tra gli obiettivi, non comprare più petrolio dagli stati «nemici». L'unico citato per nome è il Venezuela: da Caracas arriva il 12% del greggio Usa, che però da soli coprono il 50% dell'export venezuelano. Chavez se la ride, ma alcuni esperti non sono d'accordo, spiega il manifesto

La storia del petrolio venezuelano è legata alla principale potenza «consumatrice» del pianeta, gli Stati Uniti, ma se il nuovo piano su energia e ambiente del presidente Barack Obama raggiungerà i suoi obiettivi, entro un decennio Caracas non potrà più contare sul mercato statunitense per greggio e derivati. Il piano «Nuova energia per l'America», lanciato il 26 gennaio da Washington, prevede tra i primi quattro obiettivi quello di «eliminare le nostre attuali importazioni da Medio Oriente e Venezuela, entro 10 anni». Nel firmare i decreti per la realizzazione del piano, Obama ha dichiarato che uno dei suoi obiettivi è rendersi indipendente dal petrolio «proveniente da regimi ostili», attraverso un risparmio nel consumo di almeno 14 milioni di barili al giorno a partire dal 2011.«Gli serve il nostro greggio»I primi commenti del presidente venezuelano Hugo Chávez sono arrivati il 2 febbraio. «A me sembra che al presidente Obama abbiano fatto prendere lucciole per lanterne sul tema dell'energia», ha dichiarato, ribadendo che Washington continuerà a dipendere dal petrolio importato. Chávez, che ha valutato il piano in termini globali e senza uno specifico riferimento al caso venezuelano, si è complimentato per la decisione della nuova amministrazione Usa di promuovere l'uso di energia pulita, offrendosi di collaborare nel dare impulso all'energia solare, eolica o delle correnti marine. «Tutto ciò mi sembra meraviglioso, ma difficilmente gli Usa nel breve periodo si libereranno dal petrolio, di cui hanno bisogno come l'aria, come l'ossigeno», ha assicurato Chávez, per il quale nei prossimi anni «sarà inevitabile un incremento nel consumo di petrolio» a livello mondiale.

Eni, sì al riassetto. Italgas alla Snam

Nasce in Italia il maggior polo europeo integrato del gas. L'Eni ha dato via libera alla cessione di Italgas e Stogit a Snam Rete Gas. Un'operazione, del valore di 4,72 miliardi, che dovrebbe essere perfezionata entro il prossimo luglio e che sarà finanziata da Snam Rete Gas, assistita da Mediobanca, attraverso un aumento di capitale fino a 3,5 miliardi (di cui Eni, Rothschild e Banca Imi advisor, si è impegnata a sottoscrivere il 50%, pari alla quota di controllo della stessa Snam Rete Gas), mentre, per la parte restante, la società guidata da Carlo Malacarne dovrà deliberare l'emissione di azioni ordinarie del valore nominale di 1 euro, in occasione dell'assemblea straordinaria convocata per il 18 marzo. In questo modo Snam Rete Gas, principale operatore nazionale di trasporto e dispacciamento di gas con oltre 31mila chilometri di gasdotti (1,9 miliardi di ricavi e 530 milioni di utile netto secondo il preconsuntivo 2008), si troverà a gestire, con Italgas, anche 58mila chilometri di rete di distribuzione finale del gas e, con Stogit, una capacità di stoccaggio di quasi 14 miliardi di metri cubi di gas.E nel giorno dell'annuncio della maxi operazione, Confindustria, protagonista nella mattinata di ieri di un duro scontro con i rappresentanti dell'Eni al Tavolo che ha visto contrapposti operatori e consumatori, lancia un'esortazione al governo che chiama in causa proprio il gruppo guidato da Paolo Scaroni: «La politica deve dire a Eni, visto che è il più grande operatore in Europa, che deve far costare il gas come negli altri Paesi europei o, anzi, come il migliore dei Paesi europei». Secondo il vicepresidente degli industriali per l'Energia, Antonio Costato, si tratta di una «moral suasion» che non necessita di «mettere mano alla regole e che mi sento di raccomandare». (dal Corriere della Sera)

giovedì 12 febbraio 2009

Petrolio Wti ai minimi mensili

L'Agenzia internazionale dell'Energia ha corretto nuovamente al ribasso le stime sui consumi di petrolio nel 2009, di circa un 1 mbg (milione di barili/giorno) che porta la domanda globale a 84,7 mbg. Non è la prima correzione: basti pensare che dal luglio scorso la valutazione si è ridotta di 3 mbg. E sembra di poter dire che non sarà l'ultima.Intanto i dati sulle scorte commerciali americane questa settimana sono confusi dai dati Api di martedì sera, che vedono un calo, mentre il Dipartimento dell'Energia, più credibilmente, segnalavano ieri una nuova crescita per il greggio (+4,7 milioni di barili) e una diminuzione per benzine (-2,6 milioni) e distillati (-1 milione di barili).Peggiora però, e sensibilmente, il consumo in Europa. Diminuisce la richiesta per autotrazione in Italia (secondo l'Unione Petrolifera dell'8,4% in gennaio rispetto al gennaio 2008), ma alcuni raffinatori segnalano per le benzine cali anche del 15% su base annua.La crisi del gas russo e la corsa allo stoccaggio avevano dato l'idea di un miglioramento sul mercato fisico, che in febbraio ha visto prezzi e differenziali in crescita:ancora ieri,la correzione dei listini iraniani per marzo, annunciati in aumento di 2 $/bbl per consegne in Europae in Estremo Oriente. (dal Sole 24 Ore)

Saipem record. Via alle manovre Eni

Saipem apre col botto la settimana delle trimestrali Eni.
La oil service del Cane a sei zampe (al 43%) ha battuto le stime degli analisti, guadagnando l’1,37% in Borsa. Un buon auspicio in attesa dei conti Snam e della capogruppo (presentati domani), da cui si attendono anche importanti annunci sul fronte interno (il passaggio infragruppo di Stogit, vedi box), e sullo scacchiere internazionale.

In Spagna, l’ad di Eni Paolo Scaroni dovrà rispondere alle parole dell’ad di Gas Natural Rafael Villaseca che ha negato l’intenzione di cedere il 50% della Union Fenosa Gas (jv paritetica con Eni che ha una prelazione sull’intero capitale in seguito alla scalata Gn su Union Fenosa).
Mentre il Kazakhstan torna a intervenire sul progetto Kashagan, chiedendo (secondo Bloomberg) una riduzione degli storage di zolfo.
Sempre a Est, poi, c’è la faccenda delle opzioni di Gazprom su asset Eni.  

(da Finanza & Mercati)

mercoledì 11 febbraio 2009

Gas Natural sorride a Eni ma è alt su Union Fenosa

La competenza per decidere sulla fusione Gas Natural-Union Fenosa è delle autorità spagnole e a Gas Natural piacerebbe continuare a sviluppare la joint venture con Eni nel settore del gas, dove l'italiana detiene il 50% di Union Fenosa gas (Ufg).

L´Eni vende la Stogit a Snam Rete Gas

Grande attesa per la presentazione di Snam Rete Gas, che domani a San Donato Milanese pubblicherà il bilancio preconsuntivo e il piano triennale. Ma la società dei gasdotti che l´Eni partecipa al 59% sarà protagonista anche di un altro annuncio, annuncio strategico che dovrebbe riguardare un´aggregazione in Italia. Gli occhi degli operatori scommettono su Stogit, società del gruppo che si occupa di stoccaggi di gas naturale di Eni e Snam Rete Gas. Dell´operazione si era già parlato in passato, e stime di mercato valorizzano il gruppo che gestisce una decina di bacini gasieri tra 2 e 2,5 miliardi di euro. Al dossier lavora, come advisor, Mediobanca. Si tratta di un´operazione infragruppo, con cui la casa madre guidata da Paolo Scaroni intende ottimizzare la gestione e realizzare sinergie da costo. E potrebbe esserci spazio per una plusvalenza del venditore. Ce ne sarà bisogno, perché se il 2008 porta un bilancio ancora stratosferico all´Eni � l´utile netto può battere i 10 miliardi del record 2007 � l´esercizio nuovo parte in frenata, come frenano i prezzi del barile dai 147 euro di luglio ai 38 dollari attuali.Queste voci si sono sparse sul mercato, dove in una giornata funestata dal piano Geithner tra i pochissimi titoli in denaro si è salvata proprio Snam Rete Gas (+0,68%). Tuttavia non si trova nessuna conferma, o commento, dentro il gruppo Eni. Snam Rete Gas, quotata a metà 2001 anche per seguire le indicazioni fornite dall´Antitrust agli ex monopolisti, vede ancora l´Eni al disopra del 50%, cui va aggiunto quasi un 10% di azioni proprie in pancia a Snam. Quello che conta, per l´Eni e per la controllata leader nei gasdotti nazionali, è investire risorse che l´Autorità per l´energia e il gas possa riconoscere sulla tariffa di trasporto. La si ritocca ogni tre anni, e attualmente garantisce un rendimento del 6,7% alla società dei gasdotti. Un concetto richiamato più volte dall´amministratore delegato Carlo Malacarne, e che esorta una strategia "italiana". Oggi si riuniranno i consigli di Snam e della controllante Eni, per esaminare i preconsuntivi, i piani triennali e l´operazione con Stogit. (da Repubblica)

martedì 10 febbraio 2009

Rigassificatori: l’Italia avanza troppo piano

Per non dover dipendere più da un tubo, o comunque per dipenderne sempre meno, l’unica salvezza è rappresentata dal mare. Sarà per questo che lungo tutte le coste, dal Tirreno all’Adriatico, si sta progettando la costruzione di rigassificatori. Sull’argomento, l’Europa è pronta a fare la sua parte, anche se i fondi disponibili sono meno di quanto previsti. La scorsa settimana il Parlamento europeo ha chiesto ufficialmente ai governi di dotarsi di un sufficiente numero di rigassificatori. La tesi di fondo del documento comunitario è chiara: serve un «radicale mutamento» della politica energetica per raggiungere i tre obiettivi principali dell’Unione: sicurezza dell’approvvigionamento e solidarietà reciproca, lotta al cambiamento climatico e competitività. Target fondamentali, conclude il testo, anche alla luce della dipendenza energetica dell’Unione che «importa oggi il 50% dell’energia che consuma», una percentuale che «potrebbe raggiungere il 70% nel 2030».Peccato che anche in questa speciale classifica dell’approvvigionamento via mare di gas l’Italia navighi nella zona bassa della classifica internazionale, con un solo impianto in funzione, quello di Panigaglia, alla Spezia, con una capacità di stoccaggio di 100 mila metri cubi, e uno completato e prossimo alla partenza, a Rovigo. Ben poco rispetto agli altri Paesi. A cominciare dalla Spagna, che di rigassificatori in funzione ne ha sei (capacità totale di stoccaggio 1,33 milioni di metri cubi), per continuare con la Francia (due impianti, 510 mila metri cubi), la Turchia (uno, 535 mila), la Gran Bretagna (due, 200 mila) il Belgio (uno, 261 mila), il Portogallo (uno, 240mila), la Grecia (uno, 130 mila). L’Italia arranca, insomma, ancorata al suo storico impianto ligure, di proprietà dell’Eni, che in un anno può arrivare a una capacità complessiva di 3,4 miliardi di metri cubi. Quello di Rovigo, avrà una capacità più che doppia, ma entrerà a pieno regime solo nei prossimi mesi. E gli altri? Progetti, tantissimi, anche uno vicino all’altro, una quindicina in tutto. Alcuni ormai con tutte o quasi le autorizzazioni in tasca, come quello di Livorno, firmato dalla coppia E.OnIride. Altri in attesa del decreto di autorizzazione del governo, come quello di Gioia Tauro, firmato sempre da Iride questa volta in alleanza con Sorgenia (gruppo Cir), società leader nella produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, che con i suoi 12 miliardi di metri cubi di capacità annua sarà il più grande d’Italia. Progetti in grado di favorire un nuovo mix energetico, come da tempo sostiene il ministero dello Sviluppo Economico che, non a caso, nei giorni scorsi è tornato a chiedere un sostegno trasversale alla costruzione di rigassificatori, gli unici impianti che consentono di ridurre la dipendenza da paesi come la Russia e l’Algeria, principali fornitori dell’Italia, attraverso grandi condotte sotterranee. (Da Affari & Finanza)

Eni, accordi in Angola. Utile stimato in calo

Il gruppo guidato da Paolo Scaroni ha firmato con la compagnia angolana Sonangol i primi tre accordi previsti nel memorandum of understanding dello scorso agosto. Il primo riguarda la fattibilità dell’utilizzo di gas per l’alimentazione di una nuova centrale elettrica. Il secondo prevede lo studio congiunto di aree comprese nei promettenti bacini onshore. Il terzo verte su progetti educativi e di formazione per professionisti angolani. Nei prossimi giorni (l’11 e il 12 febbraio) approveranno i conti Eni e le controllate Saipem e Snam. Venerdì Eni presenterà i risultati a Londra. Secondo il consensus registrato da Bloomberg, nel quarto trimestre Eni (+0,63% ieri il titolo) dovrebbe chiudere con utili in calo del 32% a 1,83 miliardi di euro. (Da Finanza & Mercati)

lunedì 9 febbraio 2009

Iran, sussidi e sprechi. Il greggio non basta

Dal manifesto

Con 71,2 milioni di abitanti (stime Onu 2007), la Repubblica islamica dell Iran è uno degli Stati più popolosi del Medio Oriente e si estende su una superficie di 1,65 milioni di chilometri quadrati. La sua popolazione è raddoppiata tra il 1975 e il 2000 ed è composta in gran parte di giovani (la metà sotto i 25 anni, i 2/3 sotto i 30). L aspettativa di vita alla nascita è di 69 anni per gli uomini e 73 per le donne. Il tasso di disoccupazione è stimato dagli analisti tra il 20% e il 30%. Il paese è il quarto produttore mondiale di petrolio e gas, ma secondo gli analisti economici la sua economia è troppo dipendente dalle esportazioni di greggio. La mancanza di strutture industriali per la raffinazione fa sì che l Iran sia costretto a importare il 40% del petrolio di cui ha bisogno, mentre la maggior parte degli introiti derivanti dall esportazione di greggio viene spesa in sussidi e spesa pubblica.

Bilanci in vista, balla l’energia tricolore

Settore energetico in fibrillazione a Piazza Affari, spiega Borsa &; Finanza.

Mercoledì 11 febbraio Eni e Saipem annunceranno i risultati dell’esercizio 2008 e il giorno seguente sarà la volta di Snam Rete Gas. Per la società del cane a sei zampe la media dei consensus pubblicati da Bloomberg stima un utile per azione in crescita del 9,9%; per la controllata e per Snam si prevedeno invece cali rispettivi del 2% e del 23%. Nel frattempo le tre blue chip registrano un aumento della volatilità: nelle ultime 10 sedute Saipem è arrivata al 56%, il gruppo guidato da Paolo Scaroni al 31% e Snam, storicamente la meno reattiva, al 18 per cento.

venerdì 6 febbraio 2009

La Svezia torna al nucleare

Dal Sole 24 Ore

Uno dei Paesi più ecologisti del mondo, la Svezia, cambia idea sull'energia atomica. Dodici anni dopo aver deciso di chiudere gradualmente tutti i suoi reattori nucleari, 30anni dopo un referendum antinucleare, proprio mentre il petrolio tornato a prezzi ragionevoli fa raffreddare le smanie atomiche, Stoccolma ha deciso di revocare la moratoria, «autorizzando la sostituzione dei reattori esistenti – afferma il Governo conservatore guidato da Fredrik Reinfeldt nel presentare il nuovo piano energetico – quando avranno raggiunto il loro limite di sfruttamento economico ». La legge sulla chiusura graduale dei reattori va abolita e «il divieto, incluso nella legislazione sulla costruzione di nuovi impianti nucleari va anch'esso abolito». La moratoria antinucleare era stata adottata nel febbraio '97, quando al governo c'erano i socialdemocratici. I reattori atomici (allora erano 12, oggi sono 10) soddisfacevano circa la metà del fabbisogno elettrico. Oltre a fermare le nuove costruzioni, la moratoria prevedeva di chiudere tutti gli impianti nucleari in funzione a mano a mano che arrivavano all'età della pensione tecnologica. In alternativa, fonti rinnovabili. Da allora si sono fermati i due reattori della centrale di Barseback, travagliati da avarie, mentre sono rimasti in funzione quelli delle centrali di Oskarshams, Ringhals (che ha appena avuto un incidente, per fortuna di lieve entità) e Forsmark, tutti costruiti fra il 1972 e il 1985, i quali ancora oggi rappresentano il 60% della produzione elettrica svedese; l'altra grande fonte energetica è quella idroelettrica. Una fonte che non emette un grammo di anidride carbonica, il gas cambia-clima messo alle strette dalle normative europee e dal Protocollo di Kyoto. «Sarà possibile richiedere il permesso – annuncia una nota del Governo – di sostituire i reattori esistenti che non siano più economicamente produttivi ». «Non si tratta solamente di aggiornare gli impianti per allungarne la durata e perciò la vita utile –osserva Alessandro Clerici, coordinatore della task force sul nucleare del Wec (World energy council) –ma anche diritoccare alcune componenti (soprattutto nella parte delle turbìne) per aumentare di circa il 10% il rendimento e la capacità produttiva. In questo modo la Svezia mette a disposizione dei consumatori più di mille megawatt aggiuntivi (come una centrale nuova) con costi modestissimi. Inoltre due province svedesi si stanno contendendo la localizzazione del deposito delle scorie atomiche».

Eni a scatti sul Caspio. Verso l’addio a Livorno

Il gruppo britannico Bg torna a rallentare su Karachaganak, il maggiore progetto di estrazione in Kazakhstan (essendo Kashagan ancora non produttivo). Nel progetto Bg ha il 32% al pari del gruppo guidato da Paolo Scaroni. Il gruppo britannico ha confermato ieri di attendere almeno la fine del 2009, con un anno di ritardo, per decidere sugli investimenti della prossima fase. Intanto, secondo il Quotidiano Energia, Eni ha incaricato Rbs di cercare eventuali acquirenti per la raffineria di Livorno.

giovedì 5 febbraio 2009

Ancora in salita le scorte Usa di petrolio

Dal Sole 24 Ore

Il mercato continua a mostrare due facce. Il quadro macroeconomico rimane molto negativo: le stime dei consumi per gennaio (84,38 milioni di barili al giorno) sono oltre 2 milioni di barili al di sotto dell'offerta. L'economia continua a rallentare e anche secondo l'ex presidente Opec, l'algerino Chakib Khelil, ci sono almeno il 50% delle chances che nella riunione del Cartello il 15 marzo si renda necessario un nuovo taglio produttivo.Intanto le scorte commerciali continuano a salire. Il Dipartimento Usa dell'Energia segnala 7,2 milioni di barili in più di greggio e 0,3 milioni di benzine, con un marginale calo dei distillati (-1,4 mln) ma soprattutto con una nuova ascesa dei livelli a Cushing, al nuovo record di 34,2 mln barili.Da lunedì mattina scendono nuovamente i prezzi di un paio di dollari, con una chiusura ieri per il Brent di marzo poco sopra i 44 $/bbl, mentre il Wti ha chiuso a 40,32 $ ma rischia di precipitare nei prossimi giorni a causa del dato di Cushing.A fronte di un quadro decisamente fosco, l'istantanea del mercato reale è però di tutt'altro aspetto. Il gioco del contango ( consegna pronta a sconto rispetto alle scadenze future), grazie anche a noli precipitati ai minimi, continua a distogliere disponibilità dal mercato per la convenienza di stoccare. Non è esattamente come riportato da una parte della stampa «lasciare il greggio sulle navi in attesa che il prezzo risalga», bensì, proteggendosi con contratti futures sui mesi successivi, lucrare fra il costo di stoccaggio (al peggio, tra nave e oneri finanziari, 1,30 $/bbl al mese) e il ricavo dai futures, che per marzo-aprile vale 1,95 $, per aprile-maggio 1,75 e così via.

L'Italia vicina a un accordo con la Ue sui gasdotti Eni

Dal Sole 24 Ore

«Ci sono le condizioni per arrivare all'accordo sul Tag». Andrea Ronchi, il ministro per le Politiche comunitarie, è uscito dall'incontro a Bruxelles con Neelie Kroes «più ottimista» di quando era entrato. Il commissario Ue alla Concorrenza, ha detto, si è mostrato «molto disponibile ». Decisamente laconico, invece, il commento del portavoce della Kroes: «L'inchiesta è tuttora in corso».Tutto è cominciato nel 2006 con una serie di ispezioni lanciate da Bruxelles nei confronti dei maggiori gruppi energetici europei. Un anno dopo sono cominciate le indagini vere e proprie. L'Eni, tra gli altri, nel mirino. Con il sospetto di abuso di posizione dominante, nel periodo 2001-2005, nella gestione di tre gasdotti: il Tag appunto, la condotta, per l'89% di proprietà Eni, che trasporta il metano russo passando per Ucraina, Slovacchia e Austria, oltre a Tenp e Transitgas che convogliano quello norvegese e olandese passando per la Svizzera. Mentre per Tenp e Transitgas tra Bruxelles e il gruppo italiano sarebbe stata già raggiunta una bozza di compromesso, sul Tag ancora niente da fare. Perchè di fatto l'Eni si ritrova a dialogare con le mani legate di fronte alla richiesta di cessione avanzata da Bruxelles. Attraverso il Tag passa infatti il 30% del gas attualmente importato dall'Italia.Dunque in questo caso, in ballo non c'è soltanto una questione di concorrenza violata cui mettere una pezza. C'è anche e soprattutto un problema di tutela della sicurezza degli approvvigionamenti nazionali, tra l'altro proprio all'indomani dell'ennesima interruzione delle forniture di gas russo dopo il nuovo braccio di ferro tra Mosca e Ucraina: un punto, dunque, sul quale il gruppo di Paolo Scaroni da solo non può decidere.Non a caso è ora ufficialmente entrato in campo il Governo. Prima con una serie di lettere alla Commissione Ue. E ora con Ronchi che precisa di aver concordato la posizione con il collega Giulio Tremonti. «Ho detto al commissario che per noi è una questione di carattere strategico, visto che sul fronte dell'energia dipendiamo al 100% dall'estero dopo la scellerata scelta di rinunciare al nucleare. Per questo non possiamo consentire che venga toccato un interesse nazionale» ha affermato ieri il ministro. Secondo il quale ci sarebbero «le condizioni per pervenire a una soluzione che venga incontro sia agli interessi dell'Italia sia a quelli della Commissione Ue».

mercoledì 4 febbraio 2009

Bp chiude primo quarter in passivo degli ultimi 7 anni

Da Finanza & Mercati

Bp ha chiuso il quarto trimestre con perdite nette per 3,344 miliardi di dollari a causa del calo del prezzo del petrolio e delle perdite per 700 milioni di dollari legate alla joint venture russa Tnk-Bp. Nello stesso periodo del 2007 l’utile netto era stato pari a 4,4 miliardi. Per la major inglese si tratta della prima trimestrale in rosso negli ultimi sette anni. Nell’intero esercizio la società ha però registrato utili per 25,593 miliardi di dollari con un incremento del 39%. Per far fronte alle mutate condizioni del mercato la compagnia inglese ha allo studio un programma di riduzione d’organico superiore ai 5000 licenziamenti già annunciati. A Londra i titoli della società guidata da Tony Hayward hanno guadagnato lo 0,41% a 486,75 pence.

I cicli delle risorse e delle materie prime

Da un sistema imperniato sui consumi dei Paesi avanzati, il modello delle risorse si sta spostando a un sistema basato sulla domanda dei Paesi emergenti e quindi sul triangolo energia-acqua-cibo. I workshop della Winter University per la classe imprenditoriale e manageriale italiana saranno così l'occasione per capire come il nostro Paese si posizionerà di fronte al cambiamento dell'equilibrio mondiale dei flussi di risorse e per dare risposta ad alcune domande molto frequenti all'interno della classe imprenditoriale. In che modo sarà possibile contenere i costi e difendere la competitività della nostra industria di fronte a prezzi elevati delle materie prime energetiche? Quali i rischi e le opportunità delle risorse idriche?Il tema dei cicli delle risorse, delle materie prime e dell'energia sarà introdotto da Paolo Scaroni, delegato per le dinamiche dei nuovi scenari mondiali, che ne discuterà con Gary Hart, co-presidente del comitato bipartisan degli Stati Uniti per i rapporti con la Russia, Jean Martin, presidente della Ciaa, Konstantin Simonov, direttore generale del fondo nazionale per l'energia e la sicurezza di Mosca, Nicolas Stern, già vicepresidente della Banca mondiale e autore della Stern Review. Dei modelli di investimento dei paesi emergenti che stanno esaltando il ruolo dei fondi sovrani nell'economia e nella finanza mondiale discuteranno Antoine Bernheim,presidente di Assicurazioni Generali, Franco Frattini, ministro degli Affari esteri, Fan Gang,direttore dell'Istituto nazionale cinese per la ricerca economica, Christine Lagarde, ministro francese dell'Economia, Corrado Passera, amministratore delegato di Intesa Sanpaolo. (Tratto dal Sole 24 Ore)

martedì 3 febbraio 2009

Frattini: «Libici ancora fermi sotto il 2% Eni»

«I libici hanno fatto un’operazione sul mercato, hanno comprato azioni Eni sul mercato, non possiamo impedirlo». È quanto ha dichiarato Franco Frattini, ministro degli affari esteri, a margine di un convegno a Palazzo Mezzanotte, parlando dell’investimento e l’interesse dimostrato da parte dei fondi sovrani libici per la compagnia guidata da Paolo Scaroni. Alla domanda se i fondi abbiano già incrementato l’investimento sopra il 2% del capitale del colosso petrolifero italiano il ministro Frattini ha risposto «no non ancora». A fine 2008, da Tripoli erano arrivati evidenti segni di interesse per salire nel capitale di Eni almeno al 5%. Intanto, Eni ha scelto un battello della società Sevan Marine per la produzione e lo storage nel pozzo di Goliat in Norvegia. Il «Sevan 1000 vessel» avrà capacità di produzione di100.000 barili al giorno di petrolio e di 3,9 milioni di metri cubi di gas. Ieri, Eni ha chiuso a 16,62 euro (-0,12%).

Eni sceglie partner Sevan per giacimento in Norvegia

Nuovo passo avanti per l'entrata in produzione del giacimento offshore di Goliat nel mare di Barents (Norvegia), per il quale si stima una capacità di 27,5 milioni di metri cubi di greggio e 3,1 miliardi di metri cubi di gas. L'Eni, guidata da Paolo Scaroni, ha annunciato ieri di aver selezionato il progetto di unità di stoccaggio galleggiante della norvegese Sevan Marine. La fase di progettazione verrà completata nel corso del 2009. La piattaforma Sevan 1000 avrà un capacità produttiva di 100 mila barili al giorno di petrolio e 3,9 milioni di metri cubi di gas. La realizzazione dell'unità, che ancora non ha un contractor, avrà un costo tra 1 e 1,5 miliardi di dollari. Sevan Marine è ora in ottima posizione per essere incaricate di portare a termine i lavori di costruzione. La caduta del prezzo del greggio ha inasprito la competizione tra le compagnie che offrono servizi per lo sfruttamento petrolifero. Eni ha beneficiato di questa situazione spuntando un prezzo per il concept della piattaforma (16,5 milioni di euro) sensibilmente più basso di quello di qualche mese fa. La scelta del Sevan 1000 si spiega anche con gli alti standard di protezione ambientale garantiti da progetto. Il giacimento petrolifero norvegese potrebbe entrare in fase di produzione intorno al 2013. (Da Milano Finanza)

lunedì 2 febbraio 2009

Cento morti per un furto di benzina

Tragedia della povertà in Kenya. Almeno 100 persone sono morte a Molo quando il petrolio fuoriuscito da un'autocisterna ha preso fuoco mentre la gente cercava di raccogliere il carburante. Il premier kenyota Odinga ha ammesso che la tragedia «mostra come la povertà sta spingendo il nostro popolo a compiere gesti disperati per sopravvivere».

Eni miscela l'8%

Un dividend yield del 7,98% grazie al cash flow del gas. L’oil, dopo la caduta dei prezzi, fa meno paura. Scaroni si prepara all’esame della City, spiega Borsa & Finanza

Titoli da cassetta? Non si direbbe. Sentiamo quel che dice Paolo Scaroni, ad dell’Eni. «Il nostro settore non è nuovo ai cicli. Ma la turbolenza dell’ultimo periodo - il raddoppio dei prezzi del greggio in nove mesi e poi, da luglio, una frana dei due terzi del valore in soli sei mesi - non ha precedenti». E, rivolto ai signori del greggio riuniti a Riyad nel fine settimana scorso, ha aggiunto: «È una gran brutta notizia per un settore come il nostro, dove cinque anni sono il breve termine». Già, la volatilità può giocare brutti scherzi. Basti citare i conti di Shell, scivolata in rosso nel quarto trimestre (-2,8 miliardi di dollari contro 8,47 miliardi di profitti 12 mesi prima). O di ConocoPhilips che, giovedì scorso, ha annunciato una perdita da brivido: 32 miliardi in soli tre mesi, a causa di svalutazioni e oneri eccezionali. Ma attenzione: i profitti dei tre trimestri precedenti sono stati tali da consentire un risultato record per l’intero 2008 (16,4 miliardi, ovvero 10,66 dollari per azione contro i 9,21 del 2007). I mercati però, si sa, non si guardano alle spalle. E, in prospettiva, si stanno accumulando le ragioni per guardare con attenzione almeno ad alcune società oil. Meglio se oil&gas. E vediamo perché.1) I prezzi, ovviamente. Certo, «è difficile fare previsioni sul prezzo», spiega Leonardo Maugeri, direttore delle strategie Eni. Uno che se ne intende, visto che non ha esitato un anno fa a schierarsi contro i profeti del peak oil, cioè del prossimo esaurimento dei giacimenti. «Nel 2009 - continua Maugeri - c’è troppo petrolio e ne sta arrivando ancora sul mercato». Il risultato? «Senz’altro prezzi inferiori ai picchi 2008, ma non si tornerà ai 18-20 per barile». Più esplicita l’Energy Information Agency americana che prevede una media di 43 dollari. Il consensus degli analisti, poi, non va oltre i 60. In tempi di crisi della domanda (dalla Cina, soprattutto) non dovrebbero verificarsi picchi all’insù. Il pressing dell’Opec dovrebbe evitare un crollo. Le previsioni? Un calo dell’Eps per il 2009 del 3 per cento.2) Il nuovo scenario favorisce le compagnie che, accanto all’attività petrolifera, possono contare sul Gas & Power. Come Total o Bp. O meglio ancora l’Eni, per l’appunto che, secondo le stime Rbs, da questa attività ha ricavato nel 2008 un free cash flow di 1,8-2,2 miliardi, sufficiente a garantire tra il 36% e il 42% dei dividendi 2008. Già, la cedola. «Il dividendo Eni è al sicuro - scrive Bernstein Research - visto che poco meno della metà deriva dalla divisione Gas & Power. E non dimentichiamo le esigenze del governo italiano che resta l’azionista di riferimento». Scaroni non avrà difficoltà a rispettare la politica del dividendo annunciata nel febbraio 2008: una cedola equivalente, in termini reali, a quanto distribuito per il 2007, cioè 1,3 euro (la previsione è di una crescita del 3% annuo fino al 2012).