I ghiacci dell’Artico come le sabbie bituminose di Canada, Venezuela o Congo. Le zone selvagge dell’Alaska come il giacimento di Kashagan nel mar Caspio, dove le temperature oscillano di oltre ottanta gradi e i problemi principali sono legati al corretto stoccaggio dello zolfo, le cui emissioni possono diventare la principale causa delle piogge acide nella regione. Estrarre il petrolio in determinate aree del mondo è un’impresa complessa, delicata, molto più costosa rispetto ai punti in cui ci si può avvalere dei metodi tradizionali. Spiega Marco Alverà, direttore della divisione E&P dell’Eni, guidato da
Paolo Scaroni, per la regione Nord Europa e Americhe: «Le difficoltà, che non necessariamente si sovrappongono, sono di natura logistica e geologica». Per esempio, è il caso dell’Artico, è complicato a livello logistico predisporre le infrastrutture per trivellare in acque ghiacciate, molto profonde. Però, una volta estratto, l’olio è di buona qualità e la compressione è accettabile. Ancora, si tratta di regioni disabitate, dove gli addetti vanno a lavorare spesso controvoglia, e ciò costringe le compagnie a organizzare turni molto ridotti. «Inoltre – aggiunge Alverà – ogni materiale che deve essere portato fin lì ha costi esponenziali rispetto ad aree come la Louisiana, dove ci sono migliaia di cantieri. Se si verifica un guasto è fondamentale avere in loco i pezzi di ricambio o avviare immediatamente procedure di shutdown». (Da Affari & Finanza)