venerdì 19 dicembre 2008

Petrolio, l'Opec taglia la produzione

Da Il Tempo

È quanto si legge su Bloomberg, che sottolinea che, con questo taglio, l'Opec ha ridotto la produzione di 4,2 milioni di barili dallo scorso settembre. La decisione odierna rappresenta il taglio record nella storia dell'organizzazione ed è superiore anche alle stime del mercato che si attendevano una sforbiciata di due milioni di barili. Alcuni analisti vedono nel maxi-taglio la volontà di inviare un segnale forte al mercato, in un momento in cui il prezzo del petrolio non riesce a risollevarsi in maniera decisa dopo la discesa senza freni che, dal record di oltre 147 dollari di luglio, l'ha portato sotto i 50 dollari.
Secondo il presidente dell'organizzazione, Chakib Khelil, i tagli verranno attuati in maniera adeguata da tutti i Paesi dell'organizzazione, che non vedranno variare le rispettive quote di produzione. Secondo Khelil, il mercato del petrolio ha scorte superiori «superiori ai 57 giorni», ovvero in caso di cessazione totale della produzione servirebbero quasi due mesi per svuotare i magazzini dei produttori.

Eni in corsa per licenze in Norvegia

L'Eni di Paolo Scaroni è uno dei gruppi candidati per le 34 nuove licenze di produzione di idrocarburi che il governo norvegese intende proporre e che dovranno essere ripartite tra 40 gruppi petroliferi norvegesi e internazionali. Lo ha annunciato ieri il ministero del petrolio e dell'energia di Oslo in una nota ufficiale. Oltre la metà delle licenze è situata nel Mare del Nord, mentre le restanti sono situate più a settentrione, nel Mare di Norvegia e nel Mare di Barents. Per queste ultime licenze, considerato che sono abbastanza vicine alle coste, alle compagnie verranno richieste precauzioni eccezionali per quanto riguarda l'attività di estrazione. Tra le compagnie petrolifere che sono state selezionate per le licenze, oltre all'Eni, ci sono veri e propri colossi internazionali come le francesi Gdf-Suez e Total; le americane ExxonMobil e ConocoPhilips; l'anglo-olandese Shell e la spagnola Repsol. Il ministro dell'energia norvegese Terje Riis-Johansen ha posto il 20 gennaio come scadenza per la concessione delle licenze. (da Milano Finanza)

giovedì 18 dicembre 2008

Utility italiane verso un 2009 nero

L'agenzia di rating Fitch ha portato il rating dell'Enel di Fulvio Conti ad A- con outlook negativo (chiusura a +2,9% a 4,4 euro), di Terna ad A+ con outlook stabile (-2,63% a 2,12 euro), dell'Eni di Paolo Scaroni ad AA- con outlook stabile (+0,83% a 18,22 euro), di Acea ad A+ con outlook negativo (+3,78% a 9,75 euro) e di Edison BBB+ con outlook stabile (+3,6% a 0,92 euro). (riproduzione riservata)

Petrolio: taglio record dell'Opec, ma il prezzo del barile crolla

Dal sole 24 Ore
L'Opec, il cartello dei produttori di petrolio, ha deciso un taglio record sull'offerta di oro nero: 2,2 milioni di barili al giorno in meno. La riduzione arriva pochi mesi dopo il taglio di settembre (520mila barili) e quello di ottobre da 1,5 milioni di barili. Con il taglio odierno, dunque, l'Opec ha ridotto la produzione di 4,2 milioni di barili dallo scorso settembre. La decisione è stata presa con un vertice straordinario a Orano, in Algeria, e in precedenza vari esponenti dell'Opec avevano anticipato l'orientamento a varare un taglio di questa portata. Quella odierna è la stretta più consistente all'offerta almeno dal 2003.

Crolla il barile: effetto confusione. Il prezzo del petrolio, nonostante il taglio miri a interromperne il calo, crolla ulteriormente. Pesa la confusione generata attorno all'entità della riduzione della produzione: si è parlato di 4,2 milioni in un primo momento, ma in realtà, come spiegato sopra, sono 2,2 milioni considerando il taglio già effettuato a ottobre. Il calo si spiega anche con ragioni di ordine tecnico legate agli appuntamenti di fine anno. Il Wti con consegna a gennaio intorno alle 18.00 scambia a 40,77 dollari al barile in calo del 6,49% dopo aver toccato un minimo a 402 dollari sui minimi da 4 anni. Il Brent con consegna a febbraio perde l'1,63% a 45,89 dollari.

mercoledì 17 dicembre 2008

L´oro nero made in Italy, un miliardo di barili

da La Repubblica

Oltre un miliardo di barili di petrolio. È l´oro nero custodito nel ventre della Lucania, la regione italiana che oggi da sola produce l´80% del greggio italiano. Il cuore è la Val d´Agri, dove opera l´Eni, il colosso petrolchimico controllato dallo Stato. Qui, secondo le stime ufficiali, sono custoditi 465 milioni di barili di petrolio, ai quali vanno sommati i 100 milioni di Montegrosso e i 480 milioni del giacimento di Tempa Rossa, concesso a una società partecipata al 50% dalla Total, al 25% da Exxon e da Shell.
Nella Val d´Agri, l´unico giacimento operativo, vengono estratti ogni giorno 85mila barili, ma nel giro di un paio d´anni supereranno quota 100mila. Entro il 2012, poi, dovrebbero arrivare a regime anche i 50mila promessi dalla Total, per un totale di 150mila barili. Si tratta più o meno del 7,7% del fabbisogno giornaliero del petrolio in Italia che si aggira intorno a 1,95 milioni di barili. L´attività dell´Eni in Val d´Agri è cominciata nel 1997. Il greggio estratto viene trasportato dal Centro Oli di Viggiano (Potenza) alle raffinerie di Taranto attraverso l´oleodotto Val d´Agri, lungo 136 chilometri.
La Total, invece, ha appena iniziato a sviluppare la sua attività a Tempa Rossa nella Valle del Sauro, nel territorio del comune di Corleto Perticara in provincia di Potenza. La compagnia francese ha investito nel progetto lucano 250 milioni di euro e prevede di investirvene altri 800. Il Centro Oli verrà costruito proprio nel comune di Corleto Perticara, dove la Total ha acquisito per 99 anni, pagando 1,4 milioni di euro, il diritto di superficie su un´area di 555mila metri quadrati. Saranno altri 30 i comuni interessati all´estrazione del petrolio. I benefici per la Lucania sono costituiti dai diritti, "le royalties", che le compagnie petrolifere devono pagare sul greggio estratto. Queste ammontano al 7% del valore degli idrocarburi estratti dalla terra e al 4% di quelli estratti dal mare: il 15% delle royalties finiscono nelle casse dei comuni, mentre l´85% in quelle della regione Lucania. Dai pozzi di Viggiano sono già arrivati circa 500 milioni di euro.
I risvolti negativi, invece, derivano dall´inquinamento, come quello delle fragranze pericolose per l´uomo: in Italia l´idrogeno solforato per esempio è tollerato con limiti diecimila volte superiori a quelli degli Stati Uniti. E dalla occupazione, che, nonostante i buoni propositi, stenta a decollare.

«Mediterraneo strategico per le energie rinnovabili»

Due eventi politici maggiori degli ultimi mesi ridefiniscono le possibilità di sviluppo delle energie rinnovabili: lo storico accordo europeo della settimana scorsa sul pacchetto clima- energia; la nascita in luglio dell'Unione per il Mediterraneo. Da un lato un quadro di riferimento normativo e dall'altro un nuovo slancio per la cooperazione tra Nord e Sud. In questo ambito, e a pochissimi giorni dall'intesa di Bruxelles, si è svolta ieria Parigi la conferenza finale del «Piano d'azione per lo sviluppo delle energie rinnovabili nei Paesi del Sud e dell'Est mediterraneo ». Nell'auditorium di Gaz de France Suez si sono dati appuntamento esperti del settore e top manager dei grandi gruppi europei energetici e ambientali con l'obiettivo di definire il nuovo asse di cooperazione tra le due sponde del Mediterraneo per lo sviluppo di centrali eoliche e solari. Per l'Italia ha partecipato, tra gli altri, il presidente di Enel,Piero Gnudi,anche in veste di presidente dell'Osservatorio Mediterraneo dell'Energia (Ome). Secondo Gnudi, le prospettive di crescita nell'area sono più che buone per l'industria energetica: «Nella sponda Sud del Mediterraneo si verificano tre condizioni ideali per lo sviluppo delle rinnovabili: il sole, il vento e lo spazio, elementi che da noi è sempre più difficile trovare combinati. Non si tratta soltanto di creare delle interconnessioni, ma di costruire in loco impianti per la produzione di energia rinnovabile». Ed è qui che scatta il legame con l'accordo climatico europeo poiché si ampliano le possibilità sia di ottenere CDM (Clean Development Mechanism) sia Certificati Verdi e partecipare così al processo globale di riduzione delle emissioni di Co2.«Oggi –prosegue Gnudi - il mercato dei diritti di emissione rappresenta già 80 miliardi di euro, ma il giorno in cui anche Cina e Stati Uniti dovessero entrare negli impegni del protocollo di Kyoto, si passerebbe a circa 2mila miliardi».
Enel, sostiene il suo presidente, intende giocare un ruolo da protagonista nelle rinnovabili: all'inizio del mese è stata lanciata Enel Green Power, già una delle società più grandi d'Europa nel settore, mentre gli investimenti nel periodo 2008-2012 ammontano a 6,8 miliardi di euro. Gnudi ritiene vitale, per le aziende del settore,mantenere un'adeguata capacità d'investimento: «Questa crisi ha già fatto tanti danni e non vorrei che facesse anche perdere il senso del futuro. Se smettiamo di investire e l'economia riparte, allora anche i 150 dollari al barile del luglio scorso potranno sembrarci pochi. La crisi è mondiale e dunque la ripresa sarà mondiale anch'essa». Il presidente di Enel vede molte aziende, anche grandi, spaventate, e sempre meno disposte a investire. E come molti altri manager del settore ritiene che il fatidico picco dei 150 dollari sia stato il frutto di lunghi anni in cui, col petrolio a prezzi relativamente bassi, gli investimenti erano rimasti al palo.(tratto da Il Sole 24 Ore)
Vedi anche "L’energia responsabile" secondo Paolo Scaroni, amministratore delegato dell’Eni.

martedì 16 dicembre 2008

Petrolio Basilicata: arrestato Ad Total Italia

L'amministratore delegato di Total Italia, Lionel Levha, e' stato arrestato, questa mattina, su ordine del Gip di Potenza nell'ambito di un'inchiesta condotta dal sostituto procuratore Henry John Woodcock su presunte tangenti legate all'estrazione petrolifera in Basilicata. Nell'inchiesta risulta coinvolto anche un parlamentare del PD, Salvatore Margiotta, leader del partito nella Regione. Per Margiotta il gip ha avanzato - cosi' come previsto dalla procedura - richiesta di arresti domiciliari alla competente commissione della Camera dei deputati.

Eni e gli altri soffriranno ma la redditività resta alta

Cosa succederà in Borsa ai titoli energetici secondo il Sole 24 Ore.


Quando il greggio vola, i titoli petroliferi non possono far altro che salire.Ovvio che la vecchia pratica di Borsa valga allo stesso modo anche in circostanze opposte.
E lo si è visto con nettezza negli ultimi mesi. Con il petrolio che è letteralmente tracollato dagli oltre 140 dollari dell'estate ai poco più di 40 di questi giorni, accompagnando così la caduta dell'Eni di Paolo Scaroni che dai picchi di 26 euro del maggio scorso è arrivata a toccare il fondo dei 14 euro nei giorni scorsi.

Poi ecco il toccasana (per le quotazioni) dell'intervento dei libici che ha permesso un violento rimbalzo e farà da supporto ai valori nell'immediato futuro. Con Eni (vedi anche a pagina 30) hanno sofferto un po' tutti, ma i più esposti a una contrazione dei prezzi del petrolio sono titoli come Saipem e Tenaris che stanno a monte della filiera energetica.
Se il prezzo si stabilizzerà al ribasso verranno meno le commesse per nuovi pozzi e quindi il portafoglio ordini delle due società finirà per sgonfiarsi rispetto ai volumi record degli scorsi anni. E il mercato finirà per adeguarsi al clima.

In realtà è già successo con Saipem: basti pensare che solo a fine maggio di quest'anno il titolo valeva 30 euro.
Oggi pur tra scossoni e rimbalzi veleggia sopra quota 12. Tenaris e Saipem sono anche i titoli più volatili e terreno di caccia degli investitori professionali che con il trading giornaliero cercano di cavalcare i picchi delle oscillazioni.
Più difficile per i neofiti la lettura di titoli come Erg e Saras.
Ciò che influenza i valori sono i margini di raffinazione e il loro andamento non è sempre lineare rispetto al prezzo del barile.Stagione chiusa quindi per i titoli del greggio?
Non è detto. Certo la crisi globale dei listini e un petrolio ipotizzato dal Dipartimento dell'Energia Usa attorno alla soglia dei 50 dollari nel 2009, non depongono a favore dei titoli petroliferi. Ma sbarazzarsene sarebbe un grave errore.
Basti guardare all'Eni.
Non solo l'acquisto sul mercato dei libici farà da sostegno ai prezzi, ma se il greggio non sarà trascinato a fondo dalla recessione, la società petrolifera resta una formidabile macchina da soldi. Certo farà meno utili che negli anni passati, ma avercene di titoli che marciano con un ritorno sul capitale del 20%.

lunedì 15 dicembre 2008

Come l’uomo spreme Gaia, il pianeta vivente

Da L'Opinione

Per petrolio, gas naturale e carbone ne abbiamo, se realtà e previsioni coincidono, per 42, 67 e 164 anni, ma potrebbero anche diventare 33, 53 e 151. Dopodiché ripiombiamo nel rinnovabile... e buona notte. Sono questi i tempi calcolati da uno storico studio del Mit commissionato dal Club di Roma nel 1972. L’unica soluzione possibile è nella forza dell’atomo

James Lovelock (scienziato inglese) ha introdotto, per la prima volta, l’ipotesi di Gaia nel 1972 in collaborazione con Lynn Margulis, biologa nota per la classificazione in 5 regni dei viventi. Il Pianeta Terra viene visto come un superorganismo come già aveva fatto James Hutton, geologo scozzese, nel suo Theory of the Earth with Proof and Illustrations del 1785. Questa teoria è stata riportata, poi, da Lovelock nel 1979 in “Gaia. A New Look at Life on Earth”. Nella sua prima formulazione l’ipotesi Gaia, che altro non è che il nome del pianeta vivente (derivato da quello dell’omonima divinità femminile greca, nota anche col nome di Gea), si basa sull’assunto che gli oceani, i mari, l’atmosfera, la crosta terrestre e tutte le altre componenti geofisiche del pianeta terra si mantengano in condizioni idonee alla presenza della vita proprio grazie al comportamento degli organismi viventi. Ora, nel momento che si vuole fare un ragionamento sulle risorse di questo pianeta mi si consenta qualche accenno introduttivo al Club di Roma. Il Club di Roma fu fondato nell’aprile del 1968 dall’italiano Aurelio Peccei e dallo scienziato scozzese Alexander King, insieme a premi Nobel, leader politici e intellettuali. Il nome del gruppo nasce dal fatto che la prima riunione si svolse a Roma, presso la sede dell’Accademia dei Lincei alla Farnesina. Nel 1972 uno studio del Mit (Massachusetts Institute of Technology) commissionato dal Club di Roma accese l’attenzione sulla scarsità del petrolio e sul limite dello sviluppo.

Premiate e bocciate, i "voti" alle società petrolifere

Da Affari & Finanza

Il settore energetico è chiamato ad affrontare crescenti sfide in termini di sviluppo sostenibile per la rilevanza sia dei suoi impatti ambientali, che contribuiscono in modo decisivo ai cambiamenti climatici, sia dei suoi impatti sociali, dal momento che molte società del settore operano in alcune delle aree più geopoliticamente a rischio del globo. Le capacità delle società petrolifere di gestire i rischi sociali e ambientali associati alle proprio attività di business sono state analizzate nel rapporto 2008 sul settore energetico europeo pubblicato dall’agenzia di rating ambientale e sociale Vigeo.Secondo le stime dell’International Energy Agency, la domanda globale di energia crescerà ad un tasso annuo dell’1,6% fino al 2030 e i combustibili fossili continueranno ad essere la principale fonte d’energia; in particolare, la domanda di petrolio e quella di gas naturale cresceranno rispettivamente dell’1,3% e del 2% su base annua. Se a queste previsioni si aggiunge il processo di nazionalizzazione delle risorse energetiche attuato in alcuni Paesi e la crescente competizione delle compagnie petrolifere nazionali che detengono complessivamente il 77% delle riserve mondiali, si capisce come l’accesso a nuove riserve sia uno dei driver che indirizzano le strategie delle multinazionali del settore. Queste in particolare si traducono, per quanto riguarda l’upstream, nell’estrazione di oli non convenzionali, il cui processo genera una quantità di emissioni di gas ad effetto serra almeno tre volte superiore a quella generata dall’estrazione di greggio convenzionale; nello sviluppo di progetti d’esplorazione particolarmente complessi come il progetto Kashagan in Kazakhstan o il progetto Sakhalin in Russia; e nell’intensificarsi dei processi di esplorazione e produzione anche nei paesi geopoliticamente instabili. Lo studio realizzato da Vigeo prende in considerazione 16 società petrolifere appartenenti all’indice Dow Jones STOXX 600 Europe e ne analizza il profilo di responsabilità sociale in 6 aree d’indagine: diritti umani, risorse umane, ambiente, business behaviour, corporate governance e relazioni con le comunità locali.Nell’ambito delle risorse umane, l’area della salute e sicurezza è quella nella quale le società ottengono il punteggio medio più elevato (su tutte, l'Eni guidata da Paolo Scaroni e Total), mostrando di aver adottato politiche e programmi adeguati per gestire questi aspetti. Il maggior rischio riguarda i contrattisti che non sempre sono coperti dai sistemi di gestione implementati dalle compagnie petrolifere. Per quanto concerne le relazioni sindacali, i risultati conseguiti sono eterogenei. Se da un lato ci sono società che non forniscono informazioni sugli strumenti adottati per promuovere le relazioni sindacali, dall’altro ci sono compagnie, come Eni e StatoilHydro, che hanno definito con i sindacati un accordo sulle relazioni industriali a livello internazionale. L’area ambiente, nella quale Shell e BP ottengono il punteggio più elevato, è una delle aree maggiormente critiche. La ricerca di Vigeo ha evidenziato che le performance ambientali sono complessivamente peggiorate nell’ultimo triennio sia nell’upstream che nel downstream. Per quanto riguarda la gestione dei gas ad effetto serra, solo Total, StatoilHydro e BP hanno già avviato progetti di confinamento geologico di CO2 mentre, in tema di riduzione del gas flaring, sono ancora minoritari i progetti di valorizzazione e riutilizzo del gas naturale associato al petrolio. Sebbene la produzione di biodiesel sia rapidamente cresciuta nel corso degli ultimi anni, l’investimento nella ricerca e nello sviluppo di altri combustibili alternativi e di energie rinnovabili rimane, con l’eccezione di BP, ancora marginale. Nei rapporti con le comunità locali i principali operatori hanno implementato programmi volti alla promozione dello sviluppo economico e sociale delle aree in cui operano. Solo una minoranza, tra cui Eni, Shell e BG Group, conduce invece valutazioni di impatto sociale dei progetti d’esplorazione e produzione. Tuttavia la persistenza di situazioni critiche come quella del Delta del Niger — dove le comunità locali hanno intrapreso azioni legali contro le major operanti nella regione, tra cui Shell, Total ed Eni — mostra non solo i rischi a cui sono esposte le società petrolifere in questo ambito ma anche l’importanza di definire misure di riduzione dell’impatto con il coinvolgimento diretto delle comunità locali interessate.

venerdì 12 dicembre 2008

Materie prime, chiude il sito Club Commodity

L’assemblea dei soci di Club Commodity ha messo la parola fine alla comunità di appassionati di materie prime. Quell’indirizzo sul web non sarà più il punto di riferimento di quanti volevano informarsi su petrolio, oro e grano turco. Decisione drastica ma motivata da ragioni di carattere economico, come ha spiegato lo stesso Presidente, Guido Sylvan in una lettera inviata a tutti gli iscritti al sito, “non c’erano più le risorse per andare avanti”. L’assenza di questa realtà si farà sentire visto che in questi dieci anni Club Commodity aveva realizzato importanti progetti e offerto una serie di servizi, fra i tanti ricordiamo la distribuzione della news letter Jurogiin e un evento annuale sul tema delle materie prime il “Commodity Day”. (da Milano Finanza)

20-20-20

Gli obiettivi che tra mille difficoltà si propone l’Europa per combattere l’inquinamento sono sostanzialmente tre: ridurre le emissioni di gas serra del 20 per cento entro il 2020; arrivare ad una quota del 20 per cento di energie rinnovabili (alternative al petrolio e al nucleare) entro la stessa data; infine, migliorare l’efficienza degli impianti energetici del 20 per cento. Dalla combinazione di queste tre cifre deriva la definizione del cosiddetto obiettivo 20-20-20. (da Il Messaggero).
E le aziende devono considerare l'ambiente una "mission" e non pensare solo ai profitti. Ad esempio ecco cosa l’Eni su iniziativa dell’amministratore delegato Paolo Scaroni, dichiara di fare ogni anno a favore dell’ambiente.

giovedì 11 dicembre 2008

«Ambiente, Italia sempre peggio». Ma è un’ecoballa

Nella graduatoria delle misure anti-Co2 il crollo al 44° posto è solo apparente, dice Il Giorno


RISPETTO alla classifica di due anni fa l’Italia perde ben dieci posizioni, e rispetto allo scorso anno mantiene il poco lusinghiero 41° posto sui 57 maggiori emettitori di Co2. La classifica di Germanwatch e Can Europe, presentata a Poznan e stilata per quanto riguarda l’Italia con il contributo di Legambiente, è un termometro sensibile per indicare la qualità degli interventi per la riduzione dei gas serra dei paesi che globalmente emettono il 90% della Co2. E l’Italia non ne esce bene. In testa alla classifica ci sono, nell’ordine, Svezia, Germania, Francia, India, Brasile, Regno Unito, Danimarca e Norvegia. MA A DIFFERENZA dello scorso anno nessun paese a giudizio di Germanwatch ha fatto abbastanza per piazzarsi ai primi tre posti, che sono stati lasciati in bianco. E’ solo per questo artificio che l’Italia apparentemente slitta in 44° posizione. In realtà nella classifica è e resta al 41°, ma ieri telegiornali e agenzie di stampa hanno dato la notizia della perdita di posizione, senza spiegare il dato. Resta il fatto che tener posizione non è certo un vanto se si considera che solo due anni fa era al 31°e che, rispetto al 1990 (dati agenzia internazionale per l’energia), ha aumentato le proprie emissioni del 12,6%. DAVANTI a noi ci sono paesi in via di sviluppo (e spesso pure produttori di petrolio) come il Messico (11°), il Marocco (17°), l’Algeria (23°) e persino l’Iran (36°). La Cina è 46° e gli ultimi tre posti sono occupati da Usa, Canada e Arabia Saudita, maglia nera. «E’ una performance disastrosa. A salvare l’Italia dagli ultimissimi posti della classifica – sottolinea Alberto Fiorillo portavoce di Legambiente – sono state le poche ma importanti misure adottate in questi anni, come il conto energia per la promozione del fotovoltaico o gli incentivi del 55% per l’efficienza energetica. Misure che paradossalmente sono finite nel mirino dell’attuale governo».

«I libici nell'Eni? Un affare». Arriva l'ok di Berlusconi

Dal Corriere della Sera

«Credo che ci sia tutta la convenienza che la Libia sia parte in questa nostra impresa». Anche perché «l'interesse è reciproco», dal momento che il Paese nordafricano produce petrolio e gas. Sull'ipotizzata partecipazione del fondo sovrano di Tripoli al capitale dell'Eni, diretto da Paolo Scaroni, scende in campo lo stesso capo del governo Silvio Berlusconi. La «simpatia» per l'ingresso di capitali internazionali nelle aziende italiane, tuttavia, non deve però farci dimenticare gli obblighi di vigilanza. Perché, ha aggiunto il presidente del Consiglio, «non gradiremmo che interventi nelle nostre società avvenissero attraverso silenziose operazioni nei mercati borsistici». Il sostanziale via libera del premier all'arrivo dei soci libici, intanto, è servito a consolidare la quotazione dell'Eni a Piazza Affari dopo il balzo di lunedì e il leggero rialzo di martedì. Ieri il titolo del gruppo petrolifero è cresciuto dell'1,46%, superando, nella quotazione di riferimento, la soglia psicologica dei 18 euro.

mercoledì 10 dicembre 2008

I ribassi del greggio mettono un freno agli investimenti

Dal Sole 24 Ore

Guai a gioire del petrolio che precipita sotto i 50 dollari al barile.Guai a non vedere l'altra faccia della medaglia. Che poi è quella che la storia delle altalene petrolifere ci insegna: quando i prezzi si consolidano in alto fioriscono gli investimenti sui nuovi giacimenti "difficili", il cui sfruttamento è remunerativo solo con prezzi di riferimento superiori a una certa soglia. Poi le quotazioni piegano e con esse si "asciugano" anche i piani di investimento. Immancabile, è successo più volte, l'effetto boomerang: la molla disponibilità-domanda si carica e il successivo ciclo rialzista si amplifica.
Ed ecco la doppia cattiva notizia. Sta nuovamente accadendo proprio questo. E il "boomerang" potrebbe essere più violento che mai. Per tutti e in particolare per noi italiani, che dall'import di idrocarburi siamo i più dipendenti. Tant'è che l'allarme trova enfasi nell'editoriale dell'ultimo numero di "Notizie Statistiche petrolifere", il bollettino degli associati all'Unione petrolifera.
«Le compagnie stanno vistosamente subendo il credit crunch e il crollo del prezzo del greggio che, attestandosi intorno ai 50 dollari, si discosta molto da quello preso a riferimento per valutare la convenienza economica degli investimenti programmati o avviati. La conseguenza naturale è la revisione dei piani di spesa e il ritardo o addirittura l'annullamento dei progetti più costosi », se non addirittura «la paralisi degli investimenti lungo tutta la filiera petrolifera, ma in particolar modo nelle più aleatorie attività upstream» si legge nell'analisi affidata dall'Up agli esperti del Rie.
Non è un bel segnale per chi pronosticava, solo qualche mese fa, una pronta accelerazione delle attività di estrazione direttamente nel nostro territorio, nei "campi" della Basilicata o addirittura con lo sblocco dei progetti in Alto Adriatico, come promettevano gli ultimi provvedimenti governativi. Tutto ciò per sfruttare un vero patrimonio italiano, che le ultime stime di Assomineraria quantificano in non meno di 230 miliardi di euro, tra gas metano (130 miliardi di metri cubi di riserve accertate e altri 200 miliardi potenziali) e petrolio (840 milioni di barili accertati e fino a un miliardo di barili potenziali). Il che farebbe dello Stivale il quarto paese europeo nella graduatoria delle riserve, dopo il Nord Europa

Frattini: bene i libici all'8% in Eni. Il 10% è eccessivo

Il governo, secondo il Corriere della sera, pensa che la quota della Libia inell'Eni guidata dall'Ad Paolo Scaroni possa essere «congrua» attorno all'8%, se arrivasse al 10% «cominceremmo ad avere qualche preoccupazione». Lo ha detto il ministro degli Esteri Franco Frattini. Sul tema è intervenuto anche il segretario Cgil Guglielmo Epifani, per il quale manca «un buon disegno» e «si tratta di cose fatte un po' a casaccio».

lunedì 8 dicembre 2008

Nucleare in Italia?

Da Il Messaggero.
Nucleare al primo giro di boa. Lo snodo è l’approvazione definitiva della legge sul rilancio dell’atomo: dopo il sì della Camera, dovrà dare la sua approvazione il Senato, probabilmente prima di Natale. Ma siccome le «Disposizioni sullo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese nonché in materia di energia» potrebbero registrare qualche modifica con successivo ritorno alla Camera, non è da escludere uno slittamento ai primi di gennaio che non influirà più di tanto sulla tempistica. Il traguardo si avvicina e si comincia a ragionare sul concreto: assetti industriali, siti, autorità di controllo...

ENI: L'AD SCARONI INCONTRA VICEPREMIER RUSSO SECHIN

Il vicepremier russo Igor Sechin ha visitato la sede Eni di San Donato Milanese, dove ha incontrato, insieme al ministro dell'Energia Sergei Shmatko, l'Amministratore Delegato, Paolo Scaroni e i vertici della compagnia. Lo rende noto il gruppo petrolifero in una nota aggiungendo che Sechin ha anche visitato il centro di dispacciamento gas di Snam Rete Gas e assistito alla presentazione delle principali attivita' di Saipem. La visita, che si e' svolta "in un clima cordiale, si inserisce nel quadro degli accordi strategici tra Eni e Gazprom". Durante l'incontro "sono stati trattati i temi di cooperazione tra le due compagnie e le opportunita' di sviluppo di Eni in Russia, cosi' come l'eventuale collaborazione tra Saipem e Transneft e tra Enipower e Interrao, nell'ottica di un rafforzamento della cooperazione tra Italia e Russia nel settore energetico". "Le parti - conclude il comunicato - hanno inoltre concordato che tutti i progetti tra Eni e Gazprom, tra cui il South Stream, GazpromNeft e gli asset gas in Siberia Occidentale, saranno implementati il prima possibile". (notizia AGI)

domenica 7 dicembre 2008

Si trova ancora petrolio!

da Borsa & Finanza: China National Petroleum, capogruppo di Petrochina, ha annunciato che quest’anno la società è stata protagonista della scoperta dei sei maggiori giacimenti di petrolio e gas natuarale individuati nel mondo. Secondo quando dichiarato da Jiang Jiemin, presidente del gruppo, nel complesso i nuovi giacimenti di gas naturale garantiranno, per il quarto anno consecutivo, riserve superiori ai 400 miliardi di metri cubici.

La rivincita del cleantech

«Uscire dall'ottica di breve termine e guardare oltre il 2010», è l'invito di Steven Milunovich, esperto di Merrill Lynch nel settore delle energie rinnovabili. «Quando i problemi di finanziamento conseguenti al credit crunch saranno risolti, la strada verso la sesta rivoluzione tecnologica, quella basata su tecnologie pulite e biotecnologie, potrà ripartire a pieno ritmo», spiega Milunovich. L'esperto ritiene non solo inevitabile, ma altamente auspicabile un progressivo passaggio verso la cleantech, definita come l'insieme delle tecnologie innovative designate a ottimizzare l'utilizzo delle risorse naturali e ridurre l'impatto ambientale. Gli obiettivi sono limitare il surriscaldamento globale e scongiurare potenziali sconvolgimenti climatici, ma anche assicurarsi fonti indipendenti e contrastare i crescenti costi dell'energia. Motivazioni su cui tutti sono d'accordo, ma che al momento non sembrano convincere gli investitori, come dimostra il WinderHill New Energy index, l'indice mondiale che misura la performance borsistica dei titoli verdi, sceso quest'anno del 65%. In netta ritirata anche i nuovi collocamenti che, secondo Dealogic, a livello globale ammontano a soli quattro miliardi di dollari, contro 14 miliardi del 2007. Una volta superata la crisi, che ha drasticamente ridotto la liquidità del sistema, «il ruolo del venture capital è essenziale, sebbene i lunghi tempi di realizzazione e gli elevati capitali che sono necessari per realizzare i progetti di cleantechnology possano rappresentare in alcuni casi un ostacolo non facile da superare». Ma un portafoglio di investimento specializzato nelle energie rinnovabili, che deve avere necessariamente una prospettiva di lungo termine, su quale settore dovrebbe puntare?
L'esperto di Merrill Lynch non ha dubbi: «Sul solare, perchè, nonostante i limiti geografici e gli alti costi che implica, è quello che offre il miglior rapporto prezzo-performance».
(tratto da Milano Finanza)
E anche i grandi gruppi italiani iniziano a muoversi. Questo è quello che l’Eni, ad esempio, su iniziativa dell’amministratore delegato Paolo Scaroni, dichiara di fare ogni anno a favore dell’ambiente : http://sostenibilita.eni.it.2007.bilanciinterattivi.com/impegno/impegno/sviluppo/

giovedì 4 dicembre 2008

Benzina e bollette, il petrolio dà una mano

Da Avvenire

Giulio Tremonti difende alla Camera il decreto anti-crisi. Se la Germania, che ha conti assai migliori dei nostri, «non spinge sul deficit, non possiamo fare noi i fenomeni » che abbiamo un «debito pubblico record », anche se il ministro dell’Economia invita pure a guardare al debito privato che ci vede invece meglio di tanti altri. E comunque dare 4 euro in più al giorno alle fasce deboli, come avverrà questo mese per la carta acquisti, «è considerata un’elemosina forse nei salotti...», aggiunge Tremonti con una stoccata pungente alla sinistra. Il grosso dei benefici agli italiani dovrebbe venire però dal canale ricordato da Claudio Scajola, anch’egli ascoltato in commissione alla Camera: dalla discesa dei prezzi del petrolio (ieri finito sotto i 47 dollari al barile, a 46,84) e, quindi, di benzina, gas e luce, verrà un risparmio annuo valutabile in media fra i 2.800 e i 3mila euro, ricorda il titolare dello Sviluppo economico. Ma le tariffe scenderanno «non per merito del governo », precisa l’ex ministro Linda Lanzillotta, per un Pd che poi si scaglia pesantemente all’attacco di un altro ministro, Maurizio Sacconi ( Welfare), definito «assolutamente irresponsabile » per il presunto accenno fatto nel programma tv 'Economix' a un rischio bancarotta dell’Italia, tipo Argentina 2001: dopo aver negato dissidi con Tremonti, Sacconi ha tuttavia precisato successivamente di «non aver mai detto che vi può essere tale rischio, ma solo che il debito è un vincolo ineludibile». Nel bailamme polemico c’è però un altro risvolto vantaggioso per gli italiani: Tremonti fa sapere di essere d’accordo a far cancellare dal Parlamento la tanto contestata applicazione già da gennaio scorso dei limiti posti allo sgravio fiscale del 55% sugli interventi di risparmio energetico (infissi, pannelli solari, ecc.), che avevano messo in forse l’agevolazione per quanti avessero già fatto i relativi lavori durante quest’anno. La norma sarà rivista per il 2008 dunque («La retroattività non ci può essere»), ma per i bonus fiscali in genere il ministro lancia un avvertimento: «Basta con i crediti d’imposta usati come un bancomat », è «incivile» concederli senza «coperture certe» e «questo non acun cadrà più con il nostro governo». U- na buona notizia solo a metà, che chiude uno dei tanti casi aperti dal varo delle misure di sostegno a famiglie e imprese. Si tratta di «un cantiere aperto », osserva Tremonti che ha un botta e risposta polemico col ministroombra Pierluigi Bersani: «Non c’è stata inerzia, è stata lunga la discussione nelle sedi europee ». Poi una rapida carrellata sulle decisioni prese, muovendo dalla premessa che «il nostro vincolo non è il Patto Ue sul deficit, ma il mercato finanziario» sul quale vanno collocati i nostri titoli pubblici.

Tra lunedì e martedì Eni ed Enel hanno perso in borsa quasi il 10% del loro valore di mercato

Da Il Riformista

Tra lunedì e martedì Eni ed Enel hanno perso in borsa quasi il 10% del loro valore di mercato. Perdite ben superiori alle complessive perdite di borsa. La causa di questo vero e proprio crollo è stata individuata principalmente, come già ha scritto questo giornale, nei contenuti delle decisioni governative scaturite dal Consiglio dei Ministri di venerdì. Interpretate come decisione di un blocco generalizzato delle tariffe, comprese quelle di competenza dell'Enel di Fulvio Conti e dell'Eni di Paolo Scaroni. Successivamente si è tentato di mettere una pezza al danno fatto precisando che non erano oggetto del Consiglio dei Ministri le tariffe dell'elettricità e del gas. Anche perché nel frattempo qualcuno si era ricordato che la regolazione dei prezzi di elettricità e di gas non è competenza del governo, bensì dell'Autorità di settore.Non soddisfatto della confusione già generata da un provvedimento pensato male, comunicato male e gestito ancor peggio, il ministro Calderoli ha pensato bene di aggiungere che il governo aveva rinunciato allo stop alle tariffe di elettricità e gas solo perché esse erano in naturale discesa a causa della diminuzione del costo del petrolio. Contraddicendo in questo modo quanto affermato poco prima a proposito della non volontà del governo di dover intervenire sulle tariffe di elettricità e gas.Il governo ha in questo modo inflitto prima di tutto un danno allo Stato italiano, che è di gran lunga l'azionista principale di queste due aziende. Ma ha contemporaneamente inflitto un danno altrettanto grave ai milioni di risparmiatori che conservano questi titoli nei loro cassetti.A tutto ciò dobbiamo aggiungere la ciliegina su questa torta mal riuscita. Non più tardi di qualche settimana fa il premier Berlusconi, nei suoi ripetuti tentativi di infondere fiducia tra i perplessi cittadini italiani, aveva rivolto un invito esplicito a comprare azioni di Eni e di Enel. Chi ha seguito il suo consiglio ha dunque subito un danno patrimoniale provocato dal governo stesso che l'aveva consigliato. Un ulteriore caso di quel venir meno delle funzioni di garanzia e di neutralità che le istituzioni pubbliche dovrebbero avere. E un ulteriore caso di inutile e controproducente interventismo del presidente del Consiglio.

mercoledì 3 dicembre 2008

Tariffe, niente blocco per Enel e Eni

Un'intera giornata in balia del mercato con l'Enel di Fulvio Conti, l'Eni di Paolo Scaroni , e la Terna subissate dagli ordini di vendita. Poi ieri, Giulio Tremonti ha lanciato una ciambella di salvataggio alle partecipate del Tesoro chiarendo con un comunicato ufficiale che il blocco delle tariffe inserito nel decreto salva-crisi di venerdì non vale per luce e gas. Secondo via XX settembre quelle circolate sul mercato sarebbero state «interpretazioni devianti, strumentali ed interessate». Ma probabilmente a spaventare Giulio Tremonti sono stati anche i report delle banche d'affari che hanno paventato per Enel la riduzione del 10% degli utili per azioni, la diminuzione del Mol fino a 700 milioni e, addirittura, la possibilità di dover ricorrere ad un aumento di capitale (il Tesoro controlla pur sempre il 30% della società). Ieri lo stesso Fulvio Conti si è affrettato a definire come «eccessive» le stime degli analisti, ridando fiato al titolo. Ma se sul blocco delle tariffe chiarezza è fatta (rimane solo l'obbligo dell'Authority di verificare che i prezzi riflettano la riduzione del barile), resta da sciogliere il nodo della formazione del prezzo sulla borsa elettrica e quello delle tariffe di dispacciamento. La tensione già alta dentro Confindustria tra i produttori di Assoelettrica e i grandi consumatori (si veda MF-Milano Finanza di ieri), è salita alle stelle. Ieri l'associazione della quale fanno parte Enel, Edison, Acea, A2A e altri 200 produttori, secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza, ha inviato una lettera a Emma Marcegaglia chiedendo un incontro urgente per avere conto del comportamento del vice presidente con delega all'energia (Antonio Costato) al tavolo del ministero dello Sviluppo nel quale si stava discutendo della riforma della Borsa elettrica. Era stato Costato a presentare le slide poi utilizzate da Calderoli per illustrare le nuove norme di funzionamento della Borsa. Assoelettrica, che ha deciso di lasciare il tavolo, ha anche sospeso il rinnovo dei contratti di fornitura bilaterali, quelli cari ai grandi consumatori e che passano fuori Borsa. Senza più il Pun, il prezzo unico nazionale che si forma sul mercato, hanno spiegato, quei contratti non possono essere conclusi. Così come senza il Pun è destinato a saltare il mercato dei derivati finanziari elettrici altrettanto caro ai soci di Viale dell'Astronomia. (Da Milano Finanza)

Petrolio ancora giù sotto i 46 dollari. L'Opec vuole Mosca

Chiusura in netta flessione per il petrolio Wti a New York a 46,96 dollari, in calo di 2,32 dollari. Il ministro algerino dell'Energia e presidente dell'Opec, Chakib Khelil, ha invitato Russia, Norvegia e Messico a entrare a far parte dell'Opec.

martedì 2 dicembre 2008

La crisi globale spinge il petrolio sotto i 50 dollari

articolo tratto da La Stampa

Il barile va a picco, trascinato - con le borse - dalla paura della recessione. A New York il Wti ieri ha ceduto l’8 per cento sulla scia dell’indice Ism manifatturiero, calato al minimo in 26 anni, e poi è crollato ulteriormente quando il National Bureau of Economic Research ha reso noto che l’economia americana è entrata in recessione nel dicembre 2007: la chiusura ha segnato un calo del 9,4 per cento, a 49,28 dollari al barile, in ribasso di 5,15 dollari rispetto alla chiusura di venerdì. Non è andato meglio il brent, l’oro nero che si estrae dal mare del Nord: ha ceduto più del 10 per cento, fermandosi a 47,97 dollari al barile, in calo di 5,52 dollari.
Le quotazioni, negli Stati Uniti, sono state appesantite soprattutto della grande frenata del settore manifatturiero e delle spese per consumi, che hanno rapidamente fatto calare la domanda di energia, motivo per cui il barile ha bruciato quasi il 66% del proprio valore dai massimi di luglio, quando aveva toccato il tetto record di 147,27 dollari. Anche la politica dei paesi produttori, naturalmente, fa la sua parte. L’Opec sabato scorso al Cairo ha escluso ulteriori tagli della produzione prima della riunione ufficiale in programma per il 17 dicembre in Algeria, ad Orano, e questo ha influito sull’andamento del barile di ieri. Non è l’ultima parola del cartello, però. Dal vertice algerino gli analisti si aspettano una riduzione, che potrebbe anche essere massiccia, visto che, secondo il segretario generale dell’Opec Abdullah el-Badri, «un taglio tra gli uno e gli 1,5 milioni di barili non sarebbe decisivo nel fermare il calo dei prezzi».
Sull'ipotesi di un taglio consistente preme anche l’Iran, per il quale «il mercato globale è sovrafornito con due milioni di barili al giorno». Secondo il ministro del Petrolio Gholam Hossein Nozari, «bisogna trovare un equilibrio tra domanda e offerta». «Speriamo - ha aggiunto - che i prezzi non scendano più di 50 dollari al barile, ma se dovessero calare, ciò non ci sorprenderebbe perché la crisi finanziaria globale è molto più profonda di quanto si creda».

«Non processate il capitalismo»

Attenti al riflusso anti-capitalista. E' questo il messaggio, rilanciato dal Corriere della Sera di oggi, che Andri Shleifer, economista di origine russa docente a Harvard, e Guido Tabellini, rettore della Bocconi, hanno lanciato ieri al convegno su «Il capitalismo è nudo?» organizzato dalla Fondazione Eni Enrico Mattei, presieduta da Paolo Scaroni.

lunedì 1 dicembre 2008

Gas serra, emissioni in aumento

E' sempre piùimportante pensare a come razionalizzare i consumi , vedi intervista a Paolo Scaroni ad dell'Eni, anche a seguito della notizia pubblicata dal Corriere della Sera:

"Inventario dell'Onu in 40 Paesi industrializzati L'Italia è tra i «cattivi»: più 9,9% in sette anni."
Le cifre Nel periodo 2000-2006 il carico di anidride carbonica è balzato da 17,6 a 18 miliardi di tonnellate, il 2,3% in più I «buoni» Germania (-18,2%), Gran Bretagna (-15,1%) e Francia (-3,5%) sono nella zona bianca della classifica stilata dall'Onu.....Il documento dell'Onu mette poi a confronto le variazioni percentuali delle emissioni dei singoli Paesi industrializzati nel periodo 1990-2006, partendo da coloro che più le aumentano e finendo con quelli che più le riducono. Insomma, carbonizzatori in testa e decarbonizzatori in coda. E così scopriamo che, ai primissimi posti, c'è uno strano miscuglio di Paesi benestanti e relativamente più poveri, accomunati dal fatto che si sviluppano contravvenendo clamorosamente agli obblighi di riduzione di Kyoto: Turchia (+95,1%), Spagna (+50,6%), Portogallo (+40%), Australia (+28,8). La nostra Italia (+9,9%) si trova al quattordicesimo posto, nella zona nera, preceduta da Stati uniti (+14,4%) e Finlandia (+13,2%) e seguita da Norvegia (+7,7%) e Giappone (+5,3%).

E contro il caro-gasolio torna la borsa d´acqua calda

da La Repubblica

La crisi economica globale sommata alla minaccia del cambiamento climatico sta producendo un sorprendente boom per un oggetto a basso costo e a bassissima tecnologia che sembrava destinato a scomparire: la vecchia boule, la borsa di plastica dell´acqua calda, solitamente di colore arancione o rossiccio, da tenere stretta al corpo per riscaldarsi, avvolta in un asciugamano o in una coperta per non bruciarsi quando scotta. Un rimedio vecchio stile, utilizzato in passato sia per combattere il freddo in case poco riscaldate, sia per provare un po´ di sollievo dopo un´indigestione o un malessere di qualsiasi tipo. Ma adesso la borsa dell´acqua calda vive un inaspettato revival. A Tokyo e un po´ in tutto il Giappone, informa il Times, va a ruba: è l´unico articolo che ha aumentato a dismisura le vendite, nonostante la recessione che ha colpito anche il paese del Sol Levante. Il motivo, secondo gli esperti, è che permette di risparmiare sulle spese del riscaldamento e in tal modo riduce anche i danni per l´ambiente: una boule di acqua calda, usata al posto dell´energia necessaria per scaldare una casa di notte, equivale a una riduzione di 30 chilogrammi di emissioni di ossido di carbonio l´anno. In più, come osserva il quotidiano londinese, è un antidoto ideale contro la depressione.A Hokkaido, la regione più fredda del Giappone, le vendite della borsa dell´acqua calda sono aumentate del 260 per cento rispetto a un anno fa. A Tokyo se ne vendono in tutte le versioni, dalla più cara a 120 euro alla più economica a sei. Una ditta giapponese ne ha lanciata perfino una da indossare come un paio di scarpe, sopra i calzini, per riscaldare i piedi. Pare che il fenomeno non riguardi solo il Giappone: sarebbe il segno di un ritorno ai metodi del passato, semplici ed economici, per sopravvivere al tempo della crisi.

venerdì 28 novembre 2008

Energia, Scaroni (Eni) incontra il presidente del Ghana

L'amministratore delegato dell'Eni, Paolo Scaroni, ha incontrato ad Accra il presidente dello Stato africano del Ghana, John Kofi Agyekum Kufuor Scaronie Kufuor hanno discusso di possibili collaborazioni nel settore dell'upstream,cioèi giacimenti. Il Ghana ha una produzione di greggio e metano assai contenuta, tuttavia la visita conferma il ruolo strategico che l'Africa riveste per l'Eni nel settore dell'esplorazione ed estrazione di petrolio e gas. L'Eni ha avuto in Ghana una presenza soprattutto a partire dagli anni Sessanta.

Dal petrolio all'energia, la parabola dell'Erg

Dal Corrierre della Sera

N ell'immaginario comune il suo nome richiama raffinerie che lavorano il greggio, grandi cisterne, un marchio che partendo dalla Valle Scrivia ha invaso strade e autostrade italiane. Oggi è una realtà consolidata nel settore energetico, con profonde radici territoriali e grandi prospettive future. Tutto questo è Erg, azienda petrolifera con settant'anni di storia alle spalle e un presente industriale solido che non ha dimenticato il valore della cultura e il rapporto tra impresa e territorio, memoria e progetto sociale, economia e lavoro, che uniscono l'impresa industriale all' arte e al mondo delle conoscenze.Rispetto ad altre realtà storiche, di settori e comparti produttivi differenti, Erg ha deciso di entrare più tardi e con ca-ratteristiche originali nell'ambito della valorizzazione della cultura d'impresa. La Fondazione Edoardo Garrone, costituita a Genova da Erg Spa e San Quirico Spa la società holding delle famiglie Garrone e Mondini nasce, infatti, solo alla fine del 2004 e da allora opera in piena autonoma e con proposizioni e caratteristiche differenti dal semplice centro studi o archivio storico aziendale. Nella storica sede di Palazzo Ambrogio Di Negro in Banchi nel cuore dell'antica città portuale, Garrone definisce la fondazione come una nuova porta d'accesso al mondo della cultura e della società, e racconta come il suo atto costitutivo sia nato in famiglia: «Sono stati i miei figli – afferma il presidente – a sollecitarmi e poi convincermi che fosse il tempo d'intraprendere questa nuova sfida. Il progetto è maturato ed è stato realizzato grazie anche a un prestigioso comitato scientifico di altissima qualità e rappresentativo di molte discipline e saperi. Abbiamo fondato una realtà culturale autonoma dall'impresa ma che da essa trae ispirazione e metodo».In occasione delle celebrazioni del settantesimo la Fondazione ha promosso il primo studio scientifico sull'azienda, che ripercorre la storia dell'Erg come caso di studio della storia economica del Novecento italiano. Dal Petrolio all'energia: Erg 1938-2008 (Laterza), è un lavoro, condotto da studiosi d'impresa Alberto Clô ( Università di Bologna), Chiara Ottaviano (Politecnico di Torino) e Roberto Tolaini (Università di Genova), guidati da due storici dichiara fama, Paride Rugafiori e Ferdinando Fasce. La ricerca, accurata, ricostruisce ogni passo dell'impresa attraverso diversi archivi familiari e aziendali, i partner incontrati nel corso del tempo, testimonianze e lettere personali della famiglia Garrone.La parabola aziendale la storia di una famiglia che ama la sua terra, scrivono gli autori, è costantemente segnata da "primogeniture" – tecnologiche, commerciali, sindacali, socioterritoriali, finanziarie e di governance – tanto numerose da rendere Erg una realtà molto particolare. Dedicata alla memoria di Edoardo Garrone che,nel 1938, avviò l'attività industriale del gruppo, anche la missione della Fondazione è inedita nel panorama delle istituzioni del settore: essendo definita dai suoi promotori come una fondazione culturale operativa, che si inserisce nel panorama socio-culturale con l'intento di favorire la condivisione, la fruizione e la diffusione della cultura, dell'arte, della scienza e delle loro più efficaci forme di espressione.Nel corso dei primi tre anni di attività varie sono state le iniziative: conferenze politico- sociali, incontri aperti ad un pubblico numeroso e popolare come la rassegna "Le parole tra noi. Conversazioni sui libri della vita" di autori, attori e personaggi pubblici, esposizioni artistiche di qualità, molte delle quali realizzate in collaborazione con la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino.Promotrice e sostenitrice di progetti culturali meritevoli di sostegno la Fondazione Garrone è soprattutto un luogo di dialogo, incontro e confronto culturale, in campo artistico e scientifico.Membro dell'European Foundation Centre, il sodalizio è aperto alla collaborazione con istituzioni locali, nazionali ed estere, e offre un contributo concreto di idee e di risorse a programmi di comunicazione culturale, di ricerca e divulgazione scientifica, di tutela e promozione del patrimonio artistico in aree dove la storia e la tradizione dell'azienda sono radicate.Particolare attenzione è dedicata alla formazione e ai giovani, affrontando con responsabilità i temi dello sviluppo, l'ambiente e l'integrazione sociale. Nel 2008 il budget della Fondazione è stato di 850mila euro utilizzati per finanziare progetti e attività operativa. Le risorse per il 2009 è presumibile possano crescere, per dare forza e linfa vitale ad una realtà viva che svolge un ruolo di animazione culturale e sociale di grande rilievo e alta qualità a favore del territorio.

giovedì 27 novembre 2008

Energia pulita più forte della crisi

da "Il Sole 24 Ore"

...Da qualche anno le fonti rinnovabili sono protagoniste di una crescita che ha dato loro un peso specifico che non è vincolato solamente a tesi ambientaliste, hanno iniziato ad attirare l'attenzione dei mercati rendendosi sempre più economicamente e finanziariamente vantaggiose, almeno in prospettiva futura.«Già da tempo – continua Yergin – le rinnovabili hanno superato lo spartiacque che le divideva dal mainstream del settore energetico, percorrendo un cammino in cui diversi fattori hanno giocato un ruolo importante». Il dibattito sul cambiamento climatico e sulla sicurezza energetica e gli incentivi pubblici hanno così contributo a far emergere le potenzialità di un settore che, da parte sua, ha mostrato grande capacità di adattamento e un'offerta molto differenziata. Anche i mercati, però, hanno fatto la loro parte: «Abbiamo visto imprese che, da anni nel settore delle rinnovabili, hanno lottato a lungo e duramente per evitare flessioni – prosegue Yergin – finché non hanno ricevuto le attenzioni di compagnie più grandi che hanno alimentato l'innovazione e realizzato nuove start-up».Eolico, solare termico, fotovoltaico sono oggi realtà concrete che mettono di fronte al nostro futuro energetico un potenziale molto grande, e quanto più il mercato spingerà nella loro direzione, tanto più potranno raggiungere dimensioni globali. Ma lasciarsi trasportare verso previsioni esageratamente ottimistiche sarebbe un errore, spiega Yergin: «L'evoluzione dellefonti rinnovabili dagli anni Settanta a oggi è disseminata di percorsi contorti, cambiamenti improvvisi e sorprese, a volte clamorose»....

Come produrre energia pulita in Piemonte

tratto da "La Stampa"

La sfida del Piemonte sul fronte energetico approda ad Alba. Da oggi a domenica la Regione sarà presente alla fiera «Proposte d'autunno», nel Palazzo mostre e congressi di piazza Medford, con lo stand informativo «Uniamo le energie».Uno spazio tutto dedicato alla divulgazione delle politiche a favore delle piccole e medie imprese e alla promozione delle pratiche virtuose per la riduzione dei consumi energetici e lo sviluppo delle energie rinnovabili, anche attraverso l'esposizione di esemplari di impianti alternativi e mezzi di trasporto puliti. Allo stand sono attese anche le visite di numerose scolaresche (e per il coinvolgimento delle scuola vedi anche Il progetto Eniscuola).L'iniziativa si inquadra in una nuova consapevolezza: per ridurre la dipendenza energetica da fonti non rinnovabili è indispensabile una mobilitazione culturale, economica e persino psicologica della comunità regionale. Ecco allora che il 2008 per il Piemonte è l'anno dell'energia. «Attraverso un forte impegno di risorse materiali e umane - spiega la presidente Bresso - vogliamo avviare il processo per sviluppare energie rinnovabili e trasformare quelli che oggi sono i costi derivanti dall'importazione di petrolio e gas in risparmi e occasioni di sviluppo, crescita e creazione di posti di lavoro per il nostro territorio».Aumentare del 20% la produzione di energia da fonti rinnovabili e ridurre della stessa percentuale le emissioni di anidride carbonica e i consumi energetici regionali, con conseguenti ricadute positive sia sulla salute e la qualità della vita dei cittadini sia sull'occupazione e il reddito dei piemontesi: sono questi gli obiettivi che l'Unione Europea chiede di raggiungere entro il 2020.Attualmente, il Piemonte importa 9 miliardi di euro di fonti fossili - tutta l'Italia ne importa 70 miliardi - e l'89% dell'energia che utilizza. «La nostra Regione - dice ancora la presidente Bresso - è quella che in Europa ha impegnato per lo sviluppo di fonti energetiche rinnovabili la quota massima dei fondi europei, circa un quarto di quelli assegnati attraverso il Fondo europeo di sviluppo regionale: 270 milioni di euro». L'obiettivo a cui punta è dare impulso alla ricerca portandola nell'arco della legislatura al 3% del Pil. Un risultato che in Italia nessuno è ancora riuscito a ottenere.Sono previsti investimenti per più di 300 milioni di euro fino al 2013 sulle politiche energetiche. L'obiettivo è far sì che l'energia sia sempre meno un settore soggetto a monopolio e possa invece essere messa in rete, scambiata o venduta a prezzi inferiori.

mercoledì 26 novembre 2008

Sant’Anna, la bottiglia ecologica "Una scelta che fa bene all’ambiente"

da Affari & Finanza
Sarà Sant’Anna, marchio leader di Fonti di Vinadio, azienda a capitale interamente italiano, a mettere in commercio, prima assoluta in Italia e prima in Europa rivolta al mass market, un’acqua minerale che utilizza una bottiglia realizzata interamente con una rivoluzionaria plastica naturale che si ricava dalla fermentazione degli zuccheri delle piante anziché dal petrolio. Tutto inizia un paio di anni fa quando Alberto Bertone (proprietario e presidente di Fonti di Vinadio), convinto assertore dello sviluppo sostenibile, decide che era giunto il momento di dare una svolta "verde" anche alle bottiglie, uno dei contenitori più usati nel pianeta. Per raggiungere l’obiettivo stringe una partnership con NatureWorks (il primo produttore al mondo su scala industriale della plastica "Ingeo") che dagli Usa "spedisce" il nuovo materiale negli stabilimenti di Vinadio dove vengono create le cosiddette preforme. Ovvero l’"embrione" della bottiglia dalla sagoma simile ad una provetta che viene riscaldata e soffiata fino ad assumere la forma della classica bottiglia. Poi viene raffreddata, lavata, riempita, tappata, etichettata, confezionata e spedita alla grande distribuzione. «L’impiego di risorse rinnovabili, anziché del petrolio, per produrre questa plastica naturale — spiega Bertone — riduce la dipendenza dai combustibili fossili e, grazie a processi manifatturieri più sostenibili, contribuisce all’abbattimento delle emissioni di anidride carbonica, la causa principale dell’effetto serra». Dati alla mano. «A Vinadio siamo in grado di produrre 50 milioni di bottiglie la settimana. Con 50 milioni di bio bottiglie del peso di 27 grammi ciascuna, rispetto alla stessa quantità di bottiglie prodotte in comune Pet, si risparmiano 13.600 barili di petrolio, ovvero la stessa quantità di energia che serve a fornire elettricità a 40.000 persone per un intero mese. Inoltre, riduciamo le emissioni di anidride carbonica pari a quelle emesse da 3.000 auto che percorrono in un anno circa 10.000 chilometri ciascuna».

vedi "L'impegno per lo sviluppo sostenibile" di Paolo Scaroni, ad dell'Eni

SassoniaAnhalt, ecco la Solar Valley dove regnano le energie alternative

da Affari & Finanza
Da area in crisi a locomotiva della chimica europea e delle energie rinnovabili. Quello della SassoniaAnhalt è un caso da studiare per capire come sia possibile trasformare una regione simbolo dell’industria tradizionale in crisi, in un centro di attrazione di forze produttive e risorse economiche da tutto il mondo. Complici e fautori della rinascita la lungimiranza della classe di governo, che ha saputo investire sui settori più promettenti per gli anni a venire, e la posizione strategica. L’ex cuore industriale della Germania Orientale è, infatti, un crocevia naturale tra Est e Ovest, tra Nord e Sud Europa, grazie alle numerose vie di comunicazione e alla navigabilità dei canali Mittelland, ElbeHavelKanal e del fiume Elba. Dell’evoluzione compiuta e delle prospettive del Land abbiamo parlato con Reiner Haseloff, ministro dell’Economia e del Lavoro della SassoniaAnhalt e presidente di Ecrn (European Chemical Regions Network) che dice:
"Le cito un dato: il 10% di celle solari a livello mondiale è prodotto SassoniaAnhalt, dove è sorta una Solar Valley con decine di aziende specializzate nel fotovoltaico. QCells realizza nella regione 100 milioni di celle solari all’anno. Intorno a questo colosso si è formato un’area produttiva che ha attirato decine di altre aziende, tra cui SolarWorld, Ersol e First Solar. Nella regione si è sviluppato anche un centro di energia eolica: ad Halberstadt, dove è in funzione l’impianto più efficiente al mondo, con una potenza di sei megawatt. Mentre nella capitale Magdeburgo, la Enercon fabbrica gli aerogeneratori senza ingranaggi più grandi al mondo. Infine a Wittenberg, la città di Lutero, è da poco entrata in funzione la raffineria di biodiesel con il frantoio più grande d’Europa, in cui vengono macinate fino a 200mila tonnellate di olio ottenuto dalla colza".

martedì 25 novembre 2008

Sfida per l'energia di Repsol. Total in campo contro Lukoil

Dal Corriere della Sera

Il gigante francese vuole il 20% del gruppo spagnolo
Nella disputa anche il 30% di Gas Natural che oggi detiene la società petrolifera iberica
È una partita da 10 miliardi di euro. Ma al di là delle dimensioni economiche, rischia soprattutto di scatenare una prova di forza tra Europa e Russia su una questione delicata: la distribuzione e fors'anche l'approvvigionamento di gas. Al centro della disputa: il controllo della Repsol, il maggior gruppo petrolifero spagnolo (che a sua volta detiene il 30% di Gas Natural, principale società iberica nel settore del gas). E tra i contendenti figurano nomi del calibro di Lukoil, prima società petrolifera privata della Russia, e, da ieri, anche la francese Total. Da quando, a metà settembre, il gruppo spagnolo Sacyr, soffocato da 19 miliardi di debiti a causa della crisi del settore immobiliare, ha deciso di mettere in vendita la sua quota del 20,1% in Repsol (tra le prime dieci società petrolifere del mondo, presente in 29 Paesi, e molto radicata in America Latina dopo l'acquisizione dell'argentina Ypf) si è scatenato l'immediato interesse da parte della russa Lukoil, che non ha nascosto le proprie mire di arrivare a rastrellare fino al 29,9% del capitale Repsol (ipotizzando di riuscire ad aggiudicarsi anche una parte del 12,5% attualmente in mano alla cassa di risparmio di Barcellona La Caixa), soglia oltre la quale, in base alle leggi spagnole, scatterebbe l'obbligo del lancio di un'Opa.Venerdì la notizia dell'accettazione dell'offerta Lukoil da parte del gruppo Sacyr, che sarebbe pronto a cedere la sua quota al prezzo di 28 euro per azione (la valutazione a metà mese indicava in una cifra intorno ai 3,6 miliardi il valore della cessione, a fronte di un prezzo di acquisto che a Sacyr è costato a suo tempo oltre 6,5 miliardi).

Petrolio, balzo del 9%: 54,5 dollari

Ne beneficia l'Eni guidato da Paolo Scaroni.
Balzo in avanti ieri del prezzo del petrolio che a New York ha raggiunto i 54,5 dollari al barile, in aumento di 4,57 dollari rispetto alla chiusura di venerdì. Ma va ricordato che proprio venerdì il barile, nel corso della seduta, aveva toccato il minimo (48,25) dal maggio 2005. Comunque si tratta pur sempre di un passo in avanti piuttosto consistente in termini percentuali: +9,2%, il che vuol dire raggiungere il massimo delle ultime tre settimane. L'effetto del recupero del petrolio è stato immediato sui listini azionari per i titoli energetici. In Piazza Affari, per esempio, l'Eni ha guadagnato il 14,6%, Erg il 2,8 e Saras il 4,1%.A sostenere le quotazioni del petrolio anche l'avvicinarsi della riunione informale Opec di sabato che dovrebbe dare indicazioni sulla dimensione dei tagli alla produzione. Intanto è arrivata una nuova raffica di riduzioni dei prezzi dei carburanti sulla rete italiana. I listini delle principali compagnie segnavano ieri mattina ulteriori cali rispetto a venerdì scorso quando i prezzi avevano toccato i minimi degli ultimi tre anni.

lunedì 24 novembre 2008

Gas del Kurdistan in Italia attraverso la Turchia

L'Iraq oltre al petrolio offre anche gas?
Barzani è stato chiaro: «Abbiamo molto gas, e sappiamo che l'Italia ne ha bisogno. Per questo chiediamo al vostro paese di contribuire allo sviluppo dei nostri giacimenti e di partecipare alla costruzione di un metanodotto che transiti attraverso la Turchia e porti il gas all'Europa e all'Italia».
Più concorrenza con Russia e Algeria?
Sì. È di fatto il più significativo progetto alternativo ai canali di fornitura che arrivano da quei paesi. Si creerebbe maggiore concorrenza e stabilità. E si aprirebbe anche un aspetto di normalizzazione nella regione. Non a caso il governo regionale ha avviato una collaborazione con il governo turco. Lo sviluppo del Kurdistan passerà attraverso una distensione con Ankara e il metanodotto potrebbe essere una chiave per facilitare il processo. Non solo. Un'eventuale costruzione sarebbe un elemento di stabilizzazione per tutto l'Iraq.
Perché?
Il piano finanziario per un progetto del genere, e dunque i ritorni economici per chi investe i capitali, ci sono solo se il metanodotto verrà utilizzato per trasportare anche il gas del sud dell'Iraq. Un fatto importante per portare stabilità nella regione
È l'unico risultato della missione?
No. Le risorse del petrolio hanno avviato nell'area un boom innescato dalla costruzione di infrastrutture che hanno dato, finora, una crescita del 9% all'anno del Pil
Spazio all'edilizia dunque?
Non solo. La regione era una delle aree più fertili per l'agricoltura. Oggi il Kurdistan vuole far rifiorire l'agroindustria e la filiera alimentare. E ha chiesto al governo italiano di scrivere un progetto di massima per l'intero settore. La necessità è quella di diversificare l'economia troppo legata al petrolio. C'è spazio, per esempio, per la sanità visto che a breve sarà appaltata la costruzione di 15 ospedali. (Da Il Tempo)

Terna-Snam ed Eni-Enel: c'è profumo di fusioni

Articolo tratto dal sole 24 Ore, che parla di un accordo tra la Terna e l'Eni di Paolo Scaroni

Ai tempi delle Partecipazioni statali sarebbe bastata una telefonata del Tesoro per risolvere un dissidio tra due grandi gruppi pubblici, ma oggi la musica è cambiata. È molto probabile che, alla fine, Enel e Terna ritroveranno un accordo sul prezzo della compravendita della rete ad alta tensione, ma la loro contesa ha un valore anche simbolico e merita di essere seguita con attenzione.
Le privatizzazioni avranno avuto tanti difetti ma la quotazione in Borsa dei grandi gruppi pubblici riduce l'arbitrio della politica e assegna al mercato un potere una volta impensabile. Inoltre, la crisi coglie Terna ed Enel in condizioni molto differenti e ne enfatizza punti di forza e di debolezza conferendo un potere straordinario al compratore. Infine, le scintille tra Enel e Terna anticipano scenari futuri, a partire dalle scelte che il Tesoro e la nuova Cdp dovranno fare in primavera per rispettare la volontà dell'Antitrust e del Consiglio di Stato sull'incompatibilità della doppia partecipazione azionaria della Cassa. Ma non solo: l'incalzare della crisi e l'enfasi sull'italianità degli asset strategici del Paese sono destinate a riaccendere le suggestioni sui progetti di integrazione tra Eni ed Enel e, per riflesso, sulla holding delle reti energetiche in capo a Terna e Snam.
Per l'Enel la cessione della rete elettrica è importante per fare cassa e per dare ai mercati un segnale che il piano di dismissioni e di riduzione del debito va avanti malgrado il vento avverso della crisi. Per Terna l'acquisizione della rete Enel sarebbe un ulteriore salto di qualità e di rafforzamento. Però l'umore della Borsa parla chiaro: Terna, che insieme a Snam è un titolo difensivo per eccellenza, ha cominciato a perdere terreno in vista della conclusione del deal con Enel e l'ha recuperato quando l'accordo è parso finire in archivio. È vero che la Borsa privilegia sempre il breve termine ma il suo verdetto garantisce che, per realizzarsi, il deal sulla rete elettrica come i progetti di fusione dovranno rispettare le leggi del mercato e non solo quelle della politica.

venerdì 31 ottobre 2008

Eni, su Kashagan firma in arrivo

Oggi potrebbe essere il giorno decisivo per l'Eni sul giacimento gigante di Kashagan, in Kazakhstan. Ieri sera l'amministratore delegato Paolo Scaroni – dopo avere incontrato a Roma il presidente della moscovita Gazprom, Aleksei Borisovic Miller,insieme con l'amministratore delegato dell'Enel, Fulvio Conti – è partito per il Kazakhstan.Scaroni potrebbe firmare già oggi ad Astana l'intesa tra il consorzio Agip Kco, guidato dall'Eni, e il Governo kazaco. Il nuovo accordo, dopo quello siglato in gennaio, dovrebbe raddoppiare la partecipazione della compagnia statale kazaca KazMunaiGaz nel giacimento di Kashagan fino al 16,8%, alla pari di Eni, ExxonMobil, Shell e Total, mentre la ConocoPhilips dovrebbe scendere dal 9,3 all'8,33% del consorzio Agip Kco. Inoltre l'Eni,appena partirà l'estrazione, cederà alla Shell e alla KazMunaiGaz il ruolo di capogruppo. Il primo greggio di Kashagan sarà estratto probabilmente verso la fine del 2012 o i primi del 2013, con 150mila barili al giorno.Qualche giorno fa il ministro kazaco dell'Energia, Sauat Mynbaev, si aspettava la firma dell'accordo per oggi: «Abbiamo coordinato tutte le questioni», aveva detto. «Ci sono quattro grandi progetti, sono tutti stati perfezionati e impostati». Mynbaev ha confermato che l'Eni resterà l'operatore principale di Kashagan solamente fino all'inizio della produzione, il cosiddetto "first-oil".Ieri Scaroni e Conti hanno parlato a lungo con Miller sugli sviluppi dell'accordo a tre sui giacimenti siberiani dell'Arktik Gaz e Urengoil.Sono state firmate le intese che impegnano la Gazprom a entrare nel capitale della SeverEnergia. L'incontro «è andato molto bene» ha detto Scaroni, ma «non si è parlato né di Libia né di Elephant», il gigantesco giacimento scoperto nel deserto libico che è oggetto di negoziato con la Gazprom. «Con la Libia serve anche un accordo politico – ha aggiunto. – Senza un rapporto fluido, di amicizia e collaborazione tra Italia e Libia, che non può che arrivare dalla politica, quello che noi facciamo, e i 28 miliardi di dollari che abbiamo messo sul tavolo come investimenti previsti, non basterebbero a realizzare quello che abbiamo in mente». L'Eni ha accordi per il petrolio ma vanno ricordate anche le recenti intese nel gas, con investimenti previsti e accordi che hanno portato al 2042 la presenza dell'Eni in Libia per il petrolio e al 2047 nel gas.Rimanendo al tema della Libia, ieri la Foster Wheeler Italiana ha acquisito dalla Tamoil un contratto per costruire una raffineria a Zuara, in Tripolitania: gli impianti lavoreranno il greggio estratto dai giacimenti nel deserto. Il completamento è previsto per il 2014. La raffineria prevede un investimento di circa 4 miliardi di dollari. «Siamo molto soddisfatti per l'acquisizione di questo prestigioso progetto», commenta l'amministratore delegato della Foster Wheeler Italiana, Marco Moresco.

Biocombustibili dai noccioli delle olive

Da Le Scienze - Il nocciolo rappresenta circa un quarto del peso totale del frutto ed è ricco di polisaccaridi (cellulosa ed emicellulosa) che possono essere scissi in zuccheri più semplici.

I noccioli delle olive possono essere convertiti in bioetanolo, indicato da molti come un possibile, anche se parziale, sostituto dei combustibili fossili e in particolare del petrolio. Il nuovo processo di conversione chimica su scala industriale descritto dai ricercatori delle università spagnole di Jaén e di Granada sulla rivista “Journal of Chemical Technology & Biotechnology”, organo della Society of Chemical Industry's (SCI), offrirebbe così un’opportunità per rendere sfruttabili gli oltre quattro milioni di tonnellate di scarti di olive generati ogni anno in quel paese.

giovedì 30 ottobre 2008

Nuove minacce dal petrolio

Forti ribassi del petrolio rappresentano una mi-naccia anche per i Paesi importatori, non solo per i produttori o per quegli speculatori che si sono fatti sorprendere dalla parte sbagliata del mercato. Le quotazioni sono dimezzate in poco più di tre mesi e hanno messo in dubbio anche il leitmotiv dell'Agenzia internazionale dell'energia, che rappresenta gli interessi dei Paesi industrializzati. Fino a lunedì 20 ottobre, il suo direttore esecutivo Nobuo Tanaka tuonava contro eventuali tagli produttivi dell'Opec: «Causerebbero rincari e quindi negative conseguenze sulla ripresa economica ». Due giorni dopo, una dichiarazione più generica, sulla «necessità di una maggior produzione». Venerdì il Cartello ha deciso di ridurre l'estrazione, senza però arrestare i ribassi, almeno fino al rimbalzo di ieri. Ma Tanaka ha cambiato obiettivo: «Siamo preoccupati dei prezzi troppo bassi, che frenano gli investimenti nel settore». Forse è il momento buono per mettersi d'accordo con l'Opec e studiare una fascia di prezzo (60-80 dollari al barile?) che consenta di investire senza strozzare l'economia. (Dal Sole 24 Ore)

Nucleare e fonti rinnovabili: un doppio binario per l’Italia

Nuclearee fonti rinnovabili: un doppio binario per portare l’Italia fuori dalla dipendenza energetica, per scongiurare nuovi rischi di black-out, ma anche per rimettere in pista l’economia. Ne è convinto Salvatore Zecchini, presidente del Gme (Gestore del mercato elettrico) e dell’Ipi (Istituto per la promozione industriale). «Le politiche energetiche del governo vanno nella giusta direzione – dice al Messaggero – ma ogni intervento non può viaggiare separato da misure a sostegno dell’industria e dell’innovazione tecnologica».Perchè dice che il governo è sulla buona strada?«Perché sono convinto che durante questa legislatura partiranno i lavori per la realizzazione del primo impianto nucleare in Italia».Che potrà entrare in funzione tra anni e anni, però...«Anche se si cominciasse a costruire domani ci vorrebbero almeno dieci o quindici anni prima che possa essere operativo, non c’è dubbio»Ma lo sa che c’è ancora molta gente contraria al nucleare?«Sì lo so, perciò bisogna avviare una campagna informativa per spiegare che, con adeguate misure di sicurezza, i rischi del nucleare sono minori di quelli che possono derivare da altri tipi di impianti».Intanto resta il cappio della dipendenza energetica. Bisogna temere il pericolo di nuovi black-out?«L’Italia è legata a due fonti principali, petrolio e gas naturale, e a due principali fornitori, che sono Russia e Algeria. Paesi che si trovano in zone con alto rischio di tensioni politiche. Se decidessero di chiudere i rubinetti sarebbero guai seri per noi».Quindi bisogna diversificare i fornitori e le fonti...«Proprio così. Bisogna puntare anche sull’energia rinnovabile, come la geotermia, l’eolico e il solare».Ma adesso il prezzo del petrolio è sceso, quindi è meno conveniente investire in impianti di nuova generazione, non è così?«Il petrolio è passato in un anno da 80 dollari al barile a 140, per poi tornare al punto di partenza. Il governo con la tassazione dovrebbe rendere meno variabile il prezzo dei derivati dal greggio, per consentire a chi vuole investire in produzioni alternative di avere un quadro più stabile sui rapporti di prezzo tra le varie fonti».L’Italia fa bene a chiedere a Bruxelles di rivedere tempi e costi del pacchetto clima-energia?«Sì, perché noi siamo tra i paesi europei con la più bassa intensità di consumo energetico e in passato abbiamo ridotto le emissioni di anidride carbonica più di altri. Quindi bisogna usare il buon senso e ripartire i costi tenendo conto di tutti questi fattori».Qualche partner europeo, però, non è d’accordo...«Di cosa si stupisce? Ognuno, in fondo, tutela i propri interessi particolari». (Dal Messaggero)

mercoledì 29 ottobre 2008

Una nuova geografia disegnata dalla crisi

B llettino di guerra o quasi dai Paesi emergenti. La crescita cinese rallenta. I produttori di petrolio e gas faticano a fronteggiare l'improvviso calo dei prezzi. La borsa russa chiude i battenti a intermittenza. Il campanello alla porta del Fondo monetario internazionale, arrugginito da anni di crescita globale, riprende a suonare. La marea della crisi finanziaria, insomma, ha raggiunto le coste lontane dei Paesi in rapido sviluppo. Le ultime locomotive con ancora un po' di vapore rallentano: con quali implicazioni per la soluzione della crisi stessa e soprattutto per le sue ricadute sull'economia reale? Giustamente la settimana scorsa il Governatore Mario Draghi ha aperto la sua relazione al Senato sulla crisi finanziaria ricordando come questa abbia origine «nei cambiamenti strutturali che hanno caratterizzato negli ultimi anni l'economia globale», nella straordinaria crescita dei Paesi emergenti accompagnata da profondi squilibri macroeconomici, soprattutto «una cronica carenza di risparmio, particolarmente negli Stati Uniti». Capire il ruolo di questi Paesi nella nuova economia globale ci aiuta anche a far luce sugli effetti del loro rallentamento.I punti essenziali sono tre. Il primo è il loro contributo alla crescita. Se ancora nel 2007 il prodotto interno lordo reale mondiale è cresciuto del 5%, questo è in gran parte riconducibile all'espansione della Cina (da sola vale il 10% del Pil globale) e delle altre economie emergenti. Il secondo è che per molti di questi Paesi la crescita è stata trainata dalle esportazioni e dunque ha generato straordinari surplus di bilancia commerciale e accumuli di riserve, in gran parte confluite a finanziare il deficit di risparmio, soprattutto americano. A fine agosto 2008 il 46% dei titoli del Tesoro Usa detenuti da stranieri era nelle mani dei Paesi emergenti: un controvalore di 541 miliardi di dollari per la sola Cina (307 per la Gran Bretagna e 41 per la Germania, per avere un paragone). (Dal Sole 24 Ore)

Scaroni: la cedola Eni non dipende dal prezzo del greggio

Il dividendo Eni non dipende dal prezzo del greggio e si annuncia sostenibile anche se il petrolio dovesse scendere a 40 dollari al barile. Lo ha confermato ieri l'amministratore delegato dell'Eni, Paolo Scaroni

martedì 28 ottobre 2008

Petrolio, ma ora la crisi tocca i Paesi del Golfo

La seconda banca del Kuwait accusa forti perdite sui derivati e gli operatori di mercato protestano contro l'emiro Una manifestazione contro l'emiro del Kuwait. Ci voleva la peggiore crisi finanziaria dal 1929 per assistere a una scena del genere. Tutto nasce dalle difficoltà della Gulf Bank, la seconda banca del Paese invaso nel 1990 dall'Iraq di Saddam Hussein, che ha perso una somma imprecisata, ma certo consistente (si parla di 700 milioni di dollari), operando sui derivati a causa del repentino indebolimento dell'euro nei confronti del dollaro. La Banca Centrale del Kuwait ha reagito immediatamente, annunciando che garantirà tutti i depositi bancari, mossa già adottata dagli Emirati Arabi Uniti all'inizio del mese. La misura deve tuttavia essere prima approvata dal parlamento. Non ci sono dubbi che lo faccia, ma devono essere rispettati i tempi tecnici. Questione di pochi giorni, ma molti clienti di Gulf Bank, in preda al panico, non hanno avuto la forza di aspettare e così si sono messi in coda davanti agli sportelli per ritirare i loro depositi. E per il terzo giorno consecutivo circa 500 trader di borsa sono scesi in piazza per protesta. Stavolta alcuni di loro volevano dirigersi verso il palazzo del governo, dove l'emiro Sheik Sabah Al Ahmed Al Sabah stava consultando le autorità economiche per passare in rassegna le misure finora approntate. Dopo vari conciliaboli, i manifestanti hanno prudentemente scelto di limitarsi a inviare una delegazione per chiedere misure che blocchino la caduta del mercato azionario. «Il Kuwait aiuta gli altri Paesi, ma non noi che siamo in crisi», ha dichiarato Abdullah al-Ajmi, uno dei manifestanti. E qui sorge il vero problema. Pur con le dovute cautele, molte società occidentali aspettano che arrivino gli investitori arabi a toglierli le castagne dal fuoco. Ma se le economie dei Paesi del Golfo cominciano a traballare, addio ai cavalieri bianchi.
Come se non bastasse il prezzo del petrolio sta crollando e a New York ieri ha chiuso in calo dell'1,9%, a 62,95 dollari al barile, nonostante le voci di un prossimo nuovo taglio della produzione da parte dell'Opec. È vero che, secondo il Fmi, con il petrolio sopra i 47 dollari i bilanci dei Paesi del Golfo restano comunque in pareggio. Ma la Libia ha già preparato il suo budget per il 2009 ipotizzando un prezzo medio di 45 dollari. La borsa del Kuwait ieri ha limitato i danni, chiudendo in ribasso del 2,2%, ma dall'inizio del mese ha ceduto il 23%. E peggio ha fatto l'Arabia Saudita, con un calo del 3,5%, ai minimi da quattro anni. Per non parlare delle borse del Dubai (-5,8%) e dell'Oman (-7,5%). Il Golfo non è quindi immune dalla crisi. E per capire di quale umore siano i loro più ricchi abitanti bisognerà vedere come andrà l'asta di arte contemporanea che Christie's terrà giovedì prossimo a Dubai. (Da Mf)

Mosca apre a Pechino le riserve di greggio

Il premier cinese Wen Jiabao incontrerà oggi a Mosca il primo ministro russo Vladimir Putin per discutere,tra l'altro,della crisi finanziaria. Sarà inoltre siglato un accordo che aprirà alla Cina l'accesso a 300 milioni di tonnellate di petrolio russo per i prossimi 20 anni,pari al 4%dei suoi consumi annuali.Come parte dell'intesa,le imprese russe avranno prestiti per 20-25 miliardi di dollari. (fonte Reuters)

lunedì 27 ottobre 2008

Saipem, contratto da 700 milioni di dollari in Nigeria

Saipem ha acquisito un nuovo contratto nelle costruzioni onshore in Nigeria, per un valore di circa 700 milioni di dollari (quota appartenente a Saipem).

Il contratto è stato assegnato da Total Exploration and production Nigeria - Tepng al consorzio costituito da Saipem, Ponticelli e Desicon per il progetto Oml 58 upgrade phase 1.
La quota Saipem è del 60 per cento.
In Borsa il titolo ha comunque mantenuto la retromarcia, arrivando a perdere fino all’11% prima di terminare in calo del 4 per cento.

La controllante Eni, guidata da Paolo Scaroni, sull’onda della ripresa del barile ha invece guadagnato il 2,97 per cento.

(da finanza & Mercati)

McCain vuole introdurre nuove licenze di esplorazione per il petrolio

McCain vuole introdurre nuove licenze di esplorazione per il petrolio, anche off-shore. Sì a 45 nuovi impianti nucleari, e allo sviluppo di energia con fonti alternative. Ma senza ricorrere a onerosi incentivi per il governo, e senza autorizzare trivellazioni nel Parco naturale Artico in Alaska, come vorrebbe la sua vice, Sarah Palin. (Da Il Messaggero)

venerdì 24 ottobre 2008

L'Opec pronta a una riduzione

Dal Sole 24 Ore

Tagliare! Con il barile ancora sotto i 70 dollari sembrano tutti, o quasi, d'accordo. Il 150Ú vertice dell'Opec dovrebbe concludersi con una riduzione della produzione petrolifera. Una decisione del genere era nell'aria da tempo,eppure nonè la cronaca di un vertice annunciato. Perché l'entità della riduzione sarà decisiva.Il partito dei falchi, guidato da Iran, Venezuela e Libia, non è mai stato così determinato. L'Iran preme per una vigorosa riduzione, anche 2-2,5 milioni di barili al giorno (mbg), altri Paesi membri preferiscono un milione, ma c'è anche chi prospetta una manovra morbida, eventualmente da correggere in due round.Dunque, tagliare sì, ma di quanto? Se di poco, l'impatto potrebbe essere insignificante. Anzi, i prezzi, che hanno già perduto il 50% dal picco toccato l'11 luglio (147 dollari), potrebbero scivolare ancora. Se di tanto, il barile potrebbe impennarsi, ma al contempo la crisi finanziaria mondiale potrebbe peggiorare e la domanda di greggio erodersi ancora. Una politica dunque poco lungimirante nel medio-lungo termine, anche per l'Opec.Se prima l'ipotesi di un normale taglio aveva lasciato indifferenti i mercati, la proposta iraniana un effetto lo ha avuto: a New York i futures sul greggio Wti hanno guadagnato 1,09 dollari, chiudendo a 67,84. A Londra il Brent è salito a 66,16. Un taglio di «due milioni stabilizzerà il mercato», ha detto il ministro del petrolio iraniano, Gholam Nozari. Difficile però che, con lo spettro della recessione dietro l'angolo, prevalgano i falchi. Il dilemma su quanto stringere i rubinetti lo si vede nei volti corrucciati dei ministri, accorsi per un vertice di emergenza in una Vienna stretta nella morsa del freddo. La posizione interlocutoria l'ha assunta il presidente dell'Opec, l'algerino Chakib Khelil: «Taglieremo la produzione, non so di quanto. Questo lo decideremo domani (oggi, ndr), ma ci preoccupa ha spiegato Khelil - il fatto che possiamo peggiorare la crisi finanziaria con un taglio troppo consistente. La decisione non avrà un impatto negativo sull'economia mondiale, già in cattivo stato». Criptico Ali alNaimi, il ministro dell'Arabia Saudita, peso massimo dell'Opec. «E chi ha parlato di taglio? I prezzi saranno determinati dal mercato». Mercato che tuttavia versa in uno stato di surplus d'offerta. Il Qatar considera la riduzione di un milione la via più percorribile.

Com'è verde la Silicon Valley

L'area della California dov'è nato l'high tech ora si è buttata nel business dell'ecologia. Attraverso decine di start up e investimenti nelle energie pulite. Lo spiega L'espresso

Potrebbe essere la rivoluzione che cambierà la nostra vita. O potrebbe essere la più cocente delusione di questo nuovo affaccio di secolo. Sta di fatto che nella valle che pochi anni fa lanciò i nuovi colossi industriali dell'era contemporanea, da Google a Yahoo!, i geni della tecnologia e i patiti del capitalismo, complice la crisi economica che sta deprimendo i crediti alle imprese, i consumi tecnologici e le quotazioni azionarie, si sono riconvertiti a un obiettivo ancora più ambizioso: l'energia verde. La capitalizzazione di mercato di 15 delle principali aziende di Silicon Valley ha perso 570 miliardi di dollari nell'ultimo anno, con Google ed eBay in calo di circa la metà del valore. Ebay ha annunciato che licenzierà il 10 per cento della sua forza lavoro e Microsoft ha fatto sapere che sarà molto cauta con le assunzioni perché, come ha detto ai venture capitalist della valle Steve Ballmer in settembre, nessuno è completamente immune dalla crisi economica. Ma grazie alla contemporanea ascesa del prezzo del petrolio e dell'ansia da riscaldamento globale, gli imprenditori di Silicon Valley hanno tinto le loro imprese di verde e, bussando alla porta dei venture capitalist, il cuore finanziario della Costa occidentale, sono riusciti a racimolare miliardi di dollari da investire in energia solare, automobili elettriche, fattorie eoliche e combustibili bio. "Silicon Valley è al centro della rivoluzione verde", spiega Alfonso Velosa, analista della società di consulenza Gartner: "Non è l'unico luogo negli Usa dove si lavora sulle energie rinnovabili, ma ha un mix formidabile di caratteristiche: entusiasmo per l'energia alternativa, una terra inondata dal sole, il sostegno delle aziende di pubblica utilità, veterani del settore dei semiconduttori convertiti al solare e migliaia di start up fortemente motivate", aggiunge Velosa.

giovedì 23 ottobre 2008

Un premio ai batteri mangia-oli

Dal Sole 24 Ore

È entrata nella top 50 dei prodotti che più rivoluzioneranno l'industria del futuro, BioTiger, la famiglia di batteri mangia- oli frutto di otto anni di ricerche e sperimentazioni condotte dai ricercatori del Savannah River National Laboratory inizialmente su una laguna polacca altamente contaminata (nella quale ora è tornata la fauna selvatica), e poi estese a molti altri ambienti.I BioTiger, ormai brevettati, che saranno premiati il 12 novembre nell'ambito della quarta National Nano Engineering Conference di Boston da Nanotech Briefs, riescono infatti a spezzare le catene degli oli liberando anidride carbonica e altri prodotti non tossici; anzi, alcuni di essi possono essere riutilizzati in lavorazioni industriali quali l'estrazione di petrolio da sabbie bituminose, processo oggi assai poco efficiente, che richiede enormi quantità di acqua, energia e solventi chimici.I ricercatori statunitensi hanno sperimentato i BioTiger in Canada, dove il 40% della produzione nazionale è rappresentato da questo tipo di fonti (mentre negli Stati Uniti non superano il 20%), e aumentato l'efficienza del processo del 50% su quattro ore, e di cinque volte su 25 ore. I BioTiger ci riescono perché si attaccano alle sabbie, staccandone la parte oleosa e permettendo così una separazione molto più conveniente e biocompatibile. Non a caso una delle altre applicazioni sulle quali si punta molto è proprio la pulitura di bacini, sedimenti e terreni (compresi quelli edificabili) contaminati da vari tipi di scarichi industriali.

Nel grande villaggio della sfida energetica

Da La Stampa

Ecopiemonte non è solo uno slogan. La grande sfida dello sviluppo ecosostenibile comincia dal «Villaggio dell’energia» che da questa mattina a domenica apre sull’Allea di Viale Turati. Cinquecento metri quadrati di padiglioni allestiti dalla Regione per divulgare le politiche attivate a favore delle piccole e medie imprese e per la promozione di quelle iniziative finalizzate alla riduzione dei consumi energetici e lo sviluppo delle cosiddette «rinnovabili». Come dire: tutto quello che c’è da sapere in fatto di impianti alternativi di produzione e mezzi di trasporto puliti.La provincia di Novara, su questo fronte, non è seconda a nessuno. Si sono già cimentate aziende all’avanguardia nella realizzazione di impianti (Lago d’Orta), sono state avviate iniziative specifiche (a Oleggio) per lo sfruttamento del fotovoltaico. Ieri all’Associaizone Industriali si è tenuto il convegno «Uso razionale dell’energia e sfruttamento delle fonti rinnovabili: nuove leve competitive e nuovi business». Come dire: Novara c’è, e si fa sentire.Il Villaggio dell’energia della Regione non è solo una «showroom», ma un momento d’incontro per esplorare e sensibilizzare la gente. La Regione ha iniziato un viaggio nelle province piemontesi per diffondere il messaggio e le numerose opportunità. In testa alla sfida la presidente della Regione, Mercedes Bresso: «Penso che il Piemonte potrà raggiungere un futuro diverso prima che altrove, se sapremo pensarlo, progettarlo e costruirlo. Sarà importante che ciascuno di noi, con la dovuta lungimiranza, sappia investire in questo futuro».Il messaggio è più che mai attuale. Arriva proprio nel momento di attrito tra l’Italia e Bruxelles sul «pacchetto clima». «Il 2008 è pe ril Piemonte l’anno per l’energia - ricorda Bresso - attraverso u nfrote imepgno di risorse materiali e umane vogliamo avviare il processo per sviluppare energie rinnovabili e trasformare quelli che oggi sono i conti derivanti dall’importazione di petrolio e gas in risparmi e occasioni di sviluppo, crescita e creazione di posti di lavoro per il nostro territorio». Il Piemonte, insomma, tira dritto per la sua strada. L’obiettivo è di aumentare del 20% la produzione di energia da fonti rinnovabili e ridurre del 20% le emissioni di anidride carbonica e i consumi energetici regionali. Traguardi che l’Ue ha chiesto di raggiungere entro il 2020. Attualmente il Piemonte importa 9 miliardi di euro di fonti fossili (tutta l’Italia 70 miliardi) e l’89% per cento dell’energia che utilizza. Ed è anche la regione in Europa che ha impegnato, per lo sviluppo di fonti energetiche rinnovabili, la quota massima dei fondi, circa un quarto di quelli assegnati attraverso il Fondo europeo di sviluppo regionale (270 milioni di euro complessivi).L’area espositiva ospita i gazebo di aziende, enti e associazioni che operano nel settore specifico, dell’innovazione tecnologica legata alla salvaguardia dell’ambiente e del risparmio energetico. Il padiglione ospita anche la mostra «Di che energia sei?», percorso guidato con pannelli esplicativi, video, simulazioni e postazioni interattive consentono al visitatore di scoprire a quale profilo energetico corrispondono le proprie abitudini e conoscenze sul tema.

mercoledì 22 ottobre 2008

«Kyoto? Come svuotare il mare»

«Ho sempre pensato che il protocollo di Kyoto sia come vuotare il mare con il secchiello», perché «non risolve il problema, è una soluzione più emblematica che reale, serve più a dare l'esempio». Così Paolo Scaroni, amministratore delegato dell'Eni, ha commentato il dibattito sul pacchetto clima-energia dell'Ue e gli obiettivi di Kyoto. Scaroni ha criticato i negoziati che hanno definito l'attuale posizione dell'Italia e in particolare il fatto che «i virtuosi vengano puniti» e il nostro Paese abbia «gli stessi obiettivi di riduzione di chi ha le emissioni maggiori di CO2». (dal Corriere della Sera)

Petrolio, i Paesi dell’Opec capitanati dall’Iran vogliono un taglio della produzione

Da L'Opinione

Chi si fregava le mani constatando la discesa dei prezzi del greggio, e sperava in un calo anche dei listini presso i distributori, non gioirà ancora a lungo visto che, da quanto è trapelato, sarà “importante” la reazione dei Paesi produttori di petrolio al calo del prezzo al barile, scivolato dal picco di 147 dollari dello scorso luglio ai circa 72 dollari della chiusura delle contrattazioni di venerdì 17 ottobre. I Paesi petroliferi non ci stanno e hanno in animo di garantirsi anche in negli attuali frangenti di crisi finanziaria mondiale le loro cospicue entrare “riequilibrando” il mercato con un drastico taglio della produzione per far alzare i prezzi. L’algerino Chakib Khelil, il presidente dell’Opec, lo ha preannunciato senza mezzi termini: nella riunione straordinaria prevista a Vienna per il prossimo 24 ottobre l’organizzazione deciderà “una riduzione della produzione”. E, ha specificato che “deve essere una riduzione importante per riequilibrare la domanda e l’offerta”. Non ci saranno tentennamenti: “Se la riduzione deve essere di 1,5 milioni di barili al giorno sarà di 1,5 milioni di barili. Se deve essere di 2 milioni sarà di 2 milioni”. I prezzi del barile sono scesi giovedì 16 ottobre sotto i 70 dollari, il livello più basso da giugno 2007, per poi recuperare nelle contrattazioni di domenica con acquisiti sostenuti proprio dalle aspettative per un taglio della produzione. Dall’Opec è poi arrivata la conferma che questa sarà la linea su cui si compatteranno i Paesi aderenti all’organizzazione. Se, come sembra, il pressing di diversi Paesi produttori non resterà inascoltato, le preoccupazioni legate alla violenta oscillazione dei prezzi (dimezzati in meno di quattro mesi, con una inversione di marcia dopo una netta corsa al rialzo) porteranno ad un taglio della produzione per riequilibrare domanda e offerta spingendo nuovamente all’insù il costo del barile

martedì 21 ottobre 2008

Al via gara per l'elettricità kazakha

Samruk-Energo, sussidiaria della holding Samruk controllata dal Governo kazakho, ha avviato una gara per la costruzione della centrale elettrica di Balkhashm, nella regione di Almaty (l'ex Alma-Ata). Il costo stimato dell'opera è di circa 4,7 miliardi di dollari. Le proposte di partecipazione verranno accettate sino al prossimo 13 novembre. La centrale dovrà fornire corrente alla parte meridionale del Kazakhstan e garantire una maggiore continuità del servizio all'interno del sistema elettrico unificato del Paese.I lavori porteranno alla realizzazione di un impianto che avrà due blocchi da 1.320 megawatt. Il primo è previsto che entri in servizio nel 2013 e il secondo nel 2016. La produzione annua complessiva dell'impianto a pieno regime raggiungerà i 17 miliardi di kilowatt-ora. Il modello proprietario studiato dai funzionari kazakhi sarà di partnership pubblicoprivato, una scelta sinora inedita nel Paese.S amruk-Energo, costituita nel 2007 per consolidare le attività energetiche del Paese, opera già in Kazakhstan con 6 grandi centrali ed altri impianti minori, concentrati questi ultimi nella regione di Almaty.Adbg finanzia una centrale elettrica in Ghana. L'African Development Bank Group ha approvato un prestito da 32 milioni di dollari per Tema Osonor Plant Ltd, azienda speciale costituita in Ghana per finanziare la costruzione dell'impianto di energia termoelettrica di Tema, vicino alla capitale Accra. La centrale, che avrà una capacità di 126 megawatt, utilizzerà come combustibili gas naturale e petrolio. Il gas verrà fornito dalla Nigeria attraverso il gasdotto dell'Africa occidentale. Il costo finale previsto sarà di 140 milioni di dollari, che verranno ottenuti con iniezioni di capitali per 44 milioni e prestiti di organismi internazionali per altri 96.Sostegno Bei al riciclo delle acque in Galles. Un finanziamento da 100 milioni di sterline (128,7 milioni di euro) è stato assegnato dalla Banca europea per gli investimenti a Dwr Cymru Welsh Water per la seconda fase della realizzazione di una serie di impianti per l'acqua potabile e il riciclo delle acque reflue nel Paese. (Dal Sole 24 Ore)

Eni ed Enel alleati per isolare la CO2 nei giacimenti

Dal Sole 24 Ore

Dai fumi della centrale Enel a carbone di Brindisi sarà estratta l'anidride carbonica. Un impianto sperimentale la liquefarà. E la CO2 liquefatta sarà immagazzinata nel vecchio e storico giacimento vuoto che l'Eni ha a Cortemaggiore (Piacenza). Così sarà declinato nella pratica un accordo strategico di cooperazione per lo sviluppo delle tecnologie di cattura, trasporto e stoccaggio dell'anidride carbonica (CO2) e per la realizzazione congiunta del primo progetto italiano in questo campo, accordo che sarà firmato questo pomeriggio al ministero dell'Ambiente, alla presenza del ministro Stefania Prestigiacomo, dagli amministratori delegati dell'Enel e dell'Eni, Fulvio Conti e Paolo Scaroni. Al tempo stesso, l'Eni, l'Enel e il ministero firmeranno un protocollo d'intesa finalizzato alla verifica e diffusione delle tecniche di cattura della CO2 e alla promozione delle fonti rinnovabili.Una delle tecnologia più dibattute nel mondo è la cattura e il sequestro dell'anidride carbonica, il gas che si sviluppa dai processi di combustione e che è accusato di cambiare il clima del mondo. La cattura significa che l'anidride carbonica va separata dai fumi ( già nel processo di combustione); sequestro è l'immagazzinamento sicuro, in modo che non si diffonda nell'aria.Diverse sono le tecnologie allo studio. Per esempio in Germania si sta provando a iniettare in vecchie miniere abbandonate anidride carbonica compressa. Si parla anche di posare anidride carbonica liquefatta sul fondo degli oceani, dove la pressione dell'acqua soprastante forma un mantello impenetrabile.Le due maggiori imprese energetiche italiane stanno lavorando su tecnologie proprie. A Brindisi c'è già un piccolo impianto pilota, mentre ancora in Puglia, a Gioia del Colle, l'Enel con l'Ansaldo sta sperimentando una forma di combustione in atmosfera controllata che permette di ottenere CO2 purissima e già separata. Se le sperimentazioni daranno il risultato cercato, a Brindisi potrà essere costruito un primo impianto semindustriale, ma su scala più grande la tecnologia potrebbe essere adottata nella grande centrale polesana di Porto Tolle, sulla punta estrema del delta del Po. È una centrale a olio combustibile ad alte emissioni di carbonio ma l'Enel ha in programma di chiudere il vecchio grande impianto e di sostituirlo con una moderna centrale a carbone, in analogia con quanto è avvenuto con la centrale di Civitavecchia.Intanto nei mesi scorsi sono stati esaminati i diversi giacimenti abbandonati nelle vicinanze dei grandi impianti che producono anidride carbonica. Per la centrale di Brindisi – la ciminiera che in Italia ha il primato di emissioni di CO2 – sono stati vagliate le diverse riserve vuote di metano nel basso Adriatico e nel mar Ionio, mentre al largo di Civitavecchia sotto alcuni tratti di fondale si nasconderebbero spazi opportuni per immagazzinarvi l'anidride carbonica.Il mare, che non è abitato, suscita meno preoccupazioni nelle popolazioni. L'anidride carbonica non è di per sé velenosa, ma asfissia quando si sostituisce all'aria respirabile. Quindi i depositi nelle zone popolate suscitano apprensioni tra chi vive nelle vicinanze. Per esempio tempo fa a Tarantoc'erano state polemiche perché il mare gorgogliava bolle di gas. Nel caso dei giacimenti, questo pericolo non esiste poiché sono luoghi del tutto sicuri che hanno saputo conservare il metano ( anch'esso pericoloso) per milioni d'anni, senza alcun fastidio per chi vi abita la superficie.