Dal Sole 24 Ore
Dai fumi della centrale Enel a carbone di Brindisi sarà estratta l'anidride carbonica. Un impianto sperimentale la liquefarà. E la CO2 liquefatta sarà immagazzinata nel vecchio e storico giacimento vuoto che l'Eni ha a Cortemaggiore (Piacenza). Così sarà declinato nella pratica un accordo strategico di cooperazione per lo sviluppo delle tecnologie di cattura, trasporto e stoccaggio dell'anidride carbonica (CO2) e per la realizzazione congiunta del primo progetto italiano in questo campo, accordo che sarà firmato questo pomeriggio al ministero dell'Ambiente, alla presenza del ministro Stefania Prestigiacomo, dagli amministratori delegati dell'Enel e dell'Eni, Fulvio Conti e Paolo Scaroni. Al tempo stesso, l'Eni, l'Enel e il ministero firmeranno un protocollo d'intesa finalizzato alla verifica e diffusione delle tecniche di cattura della CO2 e alla promozione delle fonti rinnovabili.Una delle tecnologia più dibattute nel mondo è la cattura e il sequestro dell'anidride carbonica, il gas che si sviluppa dai processi di combustione e che è accusato di cambiare il clima del mondo. La cattura significa che l'anidride carbonica va separata dai fumi ( già nel processo di combustione); sequestro è l'immagazzinamento sicuro, in modo che non si diffonda nell'aria.Diverse sono le tecnologie allo studio. Per esempio in Germania si sta provando a iniettare in vecchie miniere abbandonate anidride carbonica compressa. Si parla anche di posare anidride carbonica liquefatta sul fondo degli oceani, dove la pressione dell'acqua soprastante forma un mantello impenetrabile.Le due maggiori imprese energetiche italiane stanno lavorando su tecnologie proprie. A Brindisi c'è già un piccolo impianto pilota, mentre ancora in Puglia, a Gioia del Colle, l'Enel con l'Ansaldo sta sperimentando una forma di combustione in atmosfera controllata che permette di ottenere CO2 purissima e già separata. Se le sperimentazioni daranno il risultato cercato, a Brindisi potrà essere costruito un primo impianto semindustriale, ma su scala più grande la tecnologia potrebbe essere adottata nella grande centrale polesana di Porto Tolle, sulla punta estrema del delta del Po. È una centrale a olio combustibile ad alte emissioni di carbonio ma l'Enel ha in programma di chiudere il vecchio grande impianto e di sostituirlo con una moderna centrale a carbone, in analogia con quanto è avvenuto con la centrale di Civitavecchia.Intanto nei mesi scorsi sono stati esaminati i diversi giacimenti abbandonati nelle vicinanze dei grandi impianti che producono anidride carbonica. Per la centrale di Brindisi – la ciminiera che in Italia ha il primato di emissioni di CO2 – sono stati vagliate le diverse riserve vuote di metano nel basso Adriatico e nel mar Ionio, mentre al largo di Civitavecchia sotto alcuni tratti di fondale si nasconderebbero spazi opportuni per immagazzinarvi l'anidride carbonica.Il mare, che non è abitato, suscita meno preoccupazioni nelle popolazioni. L'anidride carbonica non è di per sé velenosa, ma asfissia quando si sostituisce all'aria respirabile. Quindi i depositi nelle zone popolate suscitano apprensioni tra chi vive nelle vicinanze. Per esempio tempo fa a Tarantoc'erano state polemiche perché il mare gorgogliava bolle di gas. Nel caso dei giacimenti, questo pericolo non esiste poiché sono luoghi del tutto sicuri che hanno saputo conservare il metano ( anch'esso pericoloso) per milioni d'anni, senza alcun fastidio per chi vi abita la superficie.
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