venerdì 31 ottobre 2008

Eni, su Kashagan firma in arrivo

Oggi potrebbe essere il giorno decisivo per l'Eni sul giacimento gigante di Kashagan, in Kazakhstan. Ieri sera l'amministratore delegato Paolo Scaroni – dopo avere incontrato a Roma il presidente della moscovita Gazprom, Aleksei Borisovic Miller,insieme con l'amministratore delegato dell'Enel, Fulvio Conti – è partito per il Kazakhstan.Scaroni potrebbe firmare già oggi ad Astana l'intesa tra il consorzio Agip Kco, guidato dall'Eni, e il Governo kazaco. Il nuovo accordo, dopo quello siglato in gennaio, dovrebbe raddoppiare la partecipazione della compagnia statale kazaca KazMunaiGaz nel giacimento di Kashagan fino al 16,8%, alla pari di Eni, ExxonMobil, Shell e Total, mentre la ConocoPhilips dovrebbe scendere dal 9,3 all'8,33% del consorzio Agip Kco. Inoltre l'Eni,appena partirà l'estrazione, cederà alla Shell e alla KazMunaiGaz il ruolo di capogruppo. Il primo greggio di Kashagan sarà estratto probabilmente verso la fine del 2012 o i primi del 2013, con 150mila barili al giorno.Qualche giorno fa il ministro kazaco dell'Energia, Sauat Mynbaev, si aspettava la firma dell'accordo per oggi: «Abbiamo coordinato tutte le questioni», aveva detto. «Ci sono quattro grandi progetti, sono tutti stati perfezionati e impostati». Mynbaev ha confermato che l'Eni resterà l'operatore principale di Kashagan solamente fino all'inizio della produzione, il cosiddetto "first-oil".Ieri Scaroni e Conti hanno parlato a lungo con Miller sugli sviluppi dell'accordo a tre sui giacimenti siberiani dell'Arktik Gaz e Urengoil.Sono state firmate le intese che impegnano la Gazprom a entrare nel capitale della SeverEnergia. L'incontro «è andato molto bene» ha detto Scaroni, ma «non si è parlato né di Libia né di Elephant», il gigantesco giacimento scoperto nel deserto libico che è oggetto di negoziato con la Gazprom. «Con la Libia serve anche un accordo politico – ha aggiunto. – Senza un rapporto fluido, di amicizia e collaborazione tra Italia e Libia, che non può che arrivare dalla politica, quello che noi facciamo, e i 28 miliardi di dollari che abbiamo messo sul tavolo come investimenti previsti, non basterebbero a realizzare quello che abbiamo in mente». L'Eni ha accordi per il petrolio ma vanno ricordate anche le recenti intese nel gas, con investimenti previsti e accordi che hanno portato al 2042 la presenza dell'Eni in Libia per il petrolio e al 2047 nel gas.Rimanendo al tema della Libia, ieri la Foster Wheeler Italiana ha acquisito dalla Tamoil un contratto per costruire una raffineria a Zuara, in Tripolitania: gli impianti lavoreranno il greggio estratto dai giacimenti nel deserto. Il completamento è previsto per il 2014. La raffineria prevede un investimento di circa 4 miliardi di dollari. «Siamo molto soddisfatti per l'acquisizione di questo prestigioso progetto», commenta l'amministratore delegato della Foster Wheeler Italiana, Marco Moresco.

Biocombustibili dai noccioli delle olive

Da Le Scienze - Il nocciolo rappresenta circa un quarto del peso totale del frutto ed è ricco di polisaccaridi (cellulosa ed emicellulosa) che possono essere scissi in zuccheri più semplici.

I noccioli delle olive possono essere convertiti in bioetanolo, indicato da molti come un possibile, anche se parziale, sostituto dei combustibili fossili e in particolare del petrolio. Il nuovo processo di conversione chimica su scala industriale descritto dai ricercatori delle università spagnole di Jaén e di Granada sulla rivista “Journal of Chemical Technology & Biotechnology”, organo della Society of Chemical Industry's (SCI), offrirebbe così un’opportunità per rendere sfruttabili gli oltre quattro milioni di tonnellate di scarti di olive generati ogni anno in quel paese.

giovedì 30 ottobre 2008

Nuove minacce dal petrolio

Forti ribassi del petrolio rappresentano una mi-naccia anche per i Paesi importatori, non solo per i produttori o per quegli speculatori che si sono fatti sorprendere dalla parte sbagliata del mercato. Le quotazioni sono dimezzate in poco più di tre mesi e hanno messo in dubbio anche il leitmotiv dell'Agenzia internazionale dell'energia, che rappresenta gli interessi dei Paesi industrializzati. Fino a lunedì 20 ottobre, il suo direttore esecutivo Nobuo Tanaka tuonava contro eventuali tagli produttivi dell'Opec: «Causerebbero rincari e quindi negative conseguenze sulla ripresa economica ». Due giorni dopo, una dichiarazione più generica, sulla «necessità di una maggior produzione». Venerdì il Cartello ha deciso di ridurre l'estrazione, senza però arrestare i ribassi, almeno fino al rimbalzo di ieri. Ma Tanaka ha cambiato obiettivo: «Siamo preoccupati dei prezzi troppo bassi, che frenano gli investimenti nel settore». Forse è il momento buono per mettersi d'accordo con l'Opec e studiare una fascia di prezzo (60-80 dollari al barile?) che consenta di investire senza strozzare l'economia. (Dal Sole 24 Ore)

Nucleare e fonti rinnovabili: un doppio binario per l’Italia

Nuclearee fonti rinnovabili: un doppio binario per portare l’Italia fuori dalla dipendenza energetica, per scongiurare nuovi rischi di black-out, ma anche per rimettere in pista l’economia. Ne è convinto Salvatore Zecchini, presidente del Gme (Gestore del mercato elettrico) e dell’Ipi (Istituto per la promozione industriale). «Le politiche energetiche del governo vanno nella giusta direzione – dice al Messaggero – ma ogni intervento non può viaggiare separato da misure a sostegno dell’industria e dell’innovazione tecnologica».Perchè dice che il governo è sulla buona strada?«Perché sono convinto che durante questa legislatura partiranno i lavori per la realizzazione del primo impianto nucleare in Italia».Che potrà entrare in funzione tra anni e anni, però...«Anche se si cominciasse a costruire domani ci vorrebbero almeno dieci o quindici anni prima che possa essere operativo, non c’è dubbio»Ma lo sa che c’è ancora molta gente contraria al nucleare?«Sì lo so, perciò bisogna avviare una campagna informativa per spiegare che, con adeguate misure di sicurezza, i rischi del nucleare sono minori di quelli che possono derivare da altri tipi di impianti».Intanto resta il cappio della dipendenza energetica. Bisogna temere il pericolo di nuovi black-out?«L’Italia è legata a due fonti principali, petrolio e gas naturale, e a due principali fornitori, che sono Russia e Algeria. Paesi che si trovano in zone con alto rischio di tensioni politiche. Se decidessero di chiudere i rubinetti sarebbero guai seri per noi».Quindi bisogna diversificare i fornitori e le fonti...«Proprio così. Bisogna puntare anche sull’energia rinnovabile, come la geotermia, l’eolico e il solare».Ma adesso il prezzo del petrolio è sceso, quindi è meno conveniente investire in impianti di nuova generazione, non è così?«Il petrolio è passato in un anno da 80 dollari al barile a 140, per poi tornare al punto di partenza. Il governo con la tassazione dovrebbe rendere meno variabile il prezzo dei derivati dal greggio, per consentire a chi vuole investire in produzioni alternative di avere un quadro più stabile sui rapporti di prezzo tra le varie fonti».L’Italia fa bene a chiedere a Bruxelles di rivedere tempi e costi del pacchetto clima-energia?«Sì, perché noi siamo tra i paesi europei con la più bassa intensità di consumo energetico e in passato abbiamo ridotto le emissioni di anidride carbonica più di altri. Quindi bisogna usare il buon senso e ripartire i costi tenendo conto di tutti questi fattori».Qualche partner europeo, però, non è d’accordo...«Di cosa si stupisce? Ognuno, in fondo, tutela i propri interessi particolari». (Dal Messaggero)

mercoledì 29 ottobre 2008

Una nuova geografia disegnata dalla crisi

B llettino di guerra o quasi dai Paesi emergenti. La crescita cinese rallenta. I produttori di petrolio e gas faticano a fronteggiare l'improvviso calo dei prezzi. La borsa russa chiude i battenti a intermittenza. Il campanello alla porta del Fondo monetario internazionale, arrugginito da anni di crescita globale, riprende a suonare. La marea della crisi finanziaria, insomma, ha raggiunto le coste lontane dei Paesi in rapido sviluppo. Le ultime locomotive con ancora un po' di vapore rallentano: con quali implicazioni per la soluzione della crisi stessa e soprattutto per le sue ricadute sull'economia reale? Giustamente la settimana scorsa il Governatore Mario Draghi ha aperto la sua relazione al Senato sulla crisi finanziaria ricordando come questa abbia origine «nei cambiamenti strutturali che hanno caratterizzato negli ultimi anni l'economia globale», nella straordinaria crescita dei Paesi emergenti accompagnata da profondi squilibri macroeconomici, soprattutto «una cronica carenza di risparmio, particolarmente negli Stati Uniti». Capire il ruolo di questi Paesi nella nuova economia globale ci aiuta anche a far luce sugli effetti del loro rallentamento.I punti essenziali sono tre. Il primo è il loro contributo alla crescita. Se ancora nel 2007 il prodotto interno lordo reale mondiale è cresciuto del 5%, questo è in gran parte riconducibile all'espansione della Cina (da sola vale il 10% del Pil globale) e delle altre economie emergenti. Il secondo è che per molti di questi Paesi la crescita è stata trainata dalle esportazioni e dunque ha generato straordinari surplus di bilancia commerciale e accumuli di riserve, in gran parte confluite a finanziare il deficit di risparmio, soprattutto americano. A fine agosto 2008 il 46% dei titoli del Tesoro Usa detenuti da stranieri era nelle mani dei Paesi emergenti: un controvalore di 541 miliardi di dollari per la sola Cina (307 per la Gran Bretagna e 41 per la Germania, per avere un paragone). (Dal Sole 24 Ore)

Scaroni: la cedola Eni non dipende dal prezzo del greggio

Il dividendo Eni non dipende dal prezzo del greggio e si annuncia sostenibile anche se il petrolio dovesse scendere a 40 dollari al barile. Lo ha confermato ieri l'amministratore delegato dell'Eni, Paolo Scaroni

martedì 28 ottobre 2008

Petrolio, ma ora la crisi tocca i Paesi del Golfo

La seconda banca del Kuwait accusa forti perdite sui derivati e gli operatori di mercato protestano contro l'emiro Una manifestazione contro l'emiro del Kuwait. Ci voleva la peggiore crisi finanziaria dal 1929 per assistere a una scena del genere. Tutto nasce dalle difficoltà della Gulf Bank, la seconda banca del Paese invaso nel 1990 dall'Iraq di Saddam Hussein, che ha perso una somma imprecisata, ma certo consistente (si parla di 700 milioni di dollari), operando sui derivati a causa del repentino indebolimento dell'euro nei confronti del dollaro. La Banca Centrale del Kuwait ha reagito immediatamente, annunciando che garantirà tutti i depositi bancari, mossa già adottata dagli Emirati Arabi Uniti all'inizio del mese. La misura deve tuttavia essere prima approvata dal parlamento. Non ci sono dubbi che lo faccia, ma devono essere rispettati i tempi tecnici. Questione di pochi giorni, ma molti clienti di Gulf Bank, in preda al panico, non hanno avuto la forza di aspettare e così si sono messi in coda davanti agli sportelli per ritirare i loro depositi. E per il terzo giorno consecutivo circa 500 trader di borsa sono scesi in piazza per protesta. Stavolta alcuni di loro volevano dirigersi verso il palazzo del governo, dove l'emiro Sheik Sabah Al Ahmed Al Sabah stava consultando le autorità economiche per passare in rassegna le misure finora approntate. Dopo vari conciliaboli, i manifestanti hanno prudentemente scelto di limitarsi a inviare una delegazione per chiedere misure che blocchino la caduta del mercato azionario. «Il Kuwait aiuta gli altri Paesi, ma non noi che siamo in crisi», ha dichiarato Abdullah al-Ajmi, uno dei manifestanti. E qui sorge il vero problema. Pur con le dovute cautele, molte società occidentali aspettano che arrivino gli investitori arabi a toglierli le castagne dal fuoco. Ma se le economie dei Paesi del Golfo cominciano a traballare, addio ai cavalieri bianchi.
Come se non bastasse il prezzo del petrolio sta crollando e a New York ieri ha chiuso in calo dell'1,9%, a 62,95 dollari al barile, nonostante le voci di un prossimo nuovo taglio della produzione da parte dell'Opec. È vero che, secondo il Fmi, con il petrolio sopra i 47 dollari i bilanci dei Paesi del Golfo restano comunque in pareggio. Ma la Libia ha già preparato il suo budget per il 2009 ipotizzando un prezzo medio di 45 dollari. La borsa del Kuwait ieri ha limitato i danni, chiudendo in ribasso del 2,2%, ma dall'inizio del mese ha ceduto il 23%. E peggio ha fatto l'Arabia Saudita, con un calo del 3,5%, ai minimi da quattro anni. Per non parlare delle borse del Dubai (-5,8%) e dell'Oman (-7,5%). Il Golfo non è quindi immune dalla crisi. E per capire di quale umore siano i loro più ricchi abitanti bisognerà vedere come andrà l'asta di arte contemporanea che Christie's terrà giovedì prossimo a Dubai. (Da Mf)

Mosca apre a Pechino le riserve di greggio

Il premier cinese Wen Jiabao incontrerà oggi a Mosca il primo ministro russo Vladimir Putin per discutere,tra l'altro,della crisi finanziaria. Sarà inoltre siglato un accordo che aprirà alla Cina l'accesso a 300 milioni di tonnellate di petrolio russo per i prossimi 20 anni,pari al 4%dei suoi consumi annuali.Come parte dell'intesa,le imprese russe avranno prestiti per 20-25 miliardi di dollari. (fonte Reuters)

lunedì 27 ottobre 2008

Saipem, contratto da 700 milioni di dollari in Nigeria

Saipem ha acquisito un nuovo contratto nelle costruzioni onshore in Nigeria, per un valore di circa 700 milioni di dollari (quota appartenente a Saipem).

Il contratto è stato assegnato da Total Exploration and production Nigeria - Tepng al consorzio costituito da Saipem, Ponticelli e Desicon per il progetto Oml 58 upgrade phase 1.
La quota Saipem è del 60 per cento.
In Borsa il titolo ha comunque mantenuto la retromarcia, arrivando a perdere fino all’11% prima di terminare in calo del 4 per cento.

La controllante Eni, guidata da Paolo Scaroni, sull’onda della ripresa del barile ha invece guadagnato il 2,97 per cento.

(da finanza & Mercati)

McCain vuole introdurre nuove licenze di esplorazione per il petrolio

McCain vuole introdurre nuove licenze di esplorazione per il petrolio, anche off-shore. Sì a 45 nuovi impianti nucleari, e allo sviluppo di energia con fonti alternative. Ma senza ricorrere a onerosi incentivi per il governo, e senza autorizzare trivellazioni nel Parco naturale Artico in Alaska, come vorrebbe la sua vice, Sarah Palin. (Da Il Messaggero)

venerdì 24 ottobre 2008

L'Opec pronta a una riduzione

Dal Sole 24 Ore

Tagliare! Con il barile ancora sotto i 70 dollari sembrano tutti, o quasi, d'accordo. Il 150Ú vertice dell'Opec dovrebbe concludersi con una riduzione della produzione petrolifera. Una decisione del genere era nell'aria da tempo,eppure nonè la cronaca di un vertice annunciato. Perché l'entità della riduzione sarà decisiva.Il partito dei falchi, guidato da Iran, Venezuela e Libia, non è mai stato così determinato. L'Iran preme per una vigorosa riduzione, anche 2-2,5 milioni di barili al giorno (mbg), altri Paesi membri preferiscono un milione, ma c'è anche chi prospetta una manovra morbida, eventualmente da correggere in due round.Dunque, tagliare sì, ma di quanto? Se di poco, l'impatto potrebbe essere insignificante. Anzi, i prezzi, che hanno già perduto il 50% dal picco toccato l'11 luglio (147 dollari), potrebbero scivolare ancora. Se di tanto, il barile potrebbe impennarsi, ma al contempo la crisi finanziaria mondiale potrebbe peggiorare e la domanda di greggio erodersi ancora. Una politica dunque poco lungimirante nel medio-lungo termine, anche per l'Opec.Se prima l'ipotesi di un normale taglio aveva lasciato indifferenti i mercati, la proposta iraniana un effetto lo ha avuto: a New York i futures sul greggio Wti hanno guadagnato 1,09 dollari, chiudendo a 67,84. A Londra il Brent è salito a 66,16. Un taglio di «due milioni stabilizzerà il mercato», ha detto il ministro del petrolio iraniano, Gholam Nozari. Difficile però che, con lo spettro della recessione dietro l'angolo, prevalgano i falchi. Il dilemma su quanto stringere i rubinetti lo si vede nei volti corrucciati dei ministri, accorsi per un vertice di emergenza in una Vienna stretta nella morsa del freddo. La posizione interlocutoria l'ha assunta il presidente dell'Opec, l'algerino Chakib Khelil: «Taglieremo la produzione, non so di quanto. Questo lo decideremo domani (oggi, ndr), ma ci preoccupa ha spiegato Khelil - il fatto che possiamo peggiorare la crisi finanziaria con un taglio troppo consistente. La decisione non avrà un impatto negativo sull'economia mondiale, già in cattivo stato». Criptico Ali alNaimi, il ministro dell'Arabia Saudita, peso massimo dell'Opec. «E chi ha parlato di taglio? I prezzi saranno determinati dal mercato». Mercato che tuttavia versa in uno stato di surplus d'offerta. Il Qatar considera la riduzione di un milione la via più percorribile.

Com'è verde la Silicon Valley

L'area della California dov'è nato l'high tech ora si è buttata nel business dell'ecologia. Attraverso decine di start up e investimenti nelle energie pulite. Lo spiega L'espresso

Potrebbe essere la rivoluzione che cambierà la nostra vita. O potrebbe essere la più cocente delusione di questo nuovo affaccio di secolo. Sta di fatto che nella valle che pochi anni fa lanciò i nuovi colossi industriali dell'era contemporanea, da Google a Yahoo!, i geni della tecnologia e i patiti del capitalismo, complice la crisi economica che sta deprimendo i crediti alle imprese, i consumi tecnologici e le quotazioni azionarie, si sono riconvertiti a un obiettivo ancora più ambizioso: l'energia verde. La capitalizzazione di mercato di 15 delle principali aziende di Silicon Valley ha perso 570 miliardi di dollari nell'ultimo anno, con Google ed eBay in calo di circa la metà del valore. Ebay ha annunciato che licenzierà il 10 per cento della sua forza lavoro e Microsoft ha fatto sapere che sarà molto cauta con le assunzioni perché, come ha detto ai venture capitalist della valle Steve Ballmer in settembre, nessuno è completamente immune dalla crisi economica. Ma grazie alla contemporanea ascesa del prezzo del petrolio e dell'ansia da riscaldamento globale, gli imprenditori di Silicon Valley hanno tinto le loro imprese di verde e, bussando alla porta dei venture capitalist, il cuore finanziario della Costa occidentale, sono riusciti a racimolare miliardi di dollari da investire in energia solare, automobili elettriche, fattorie eoliche e combustibili bio. "Silicon Valley è al centro della rivoluzione verde", spiega Alfonso Velosa, analista della società di consulenza Gartner: "Non è l'unico luogo negli Usa dove si lavora sulle energie rinnovabili, ma ha un mix formidabile di caratteristiche: entusiasmo per l'energia alternativa, una terra inondata dal sole, il sostegno delle aziende di pubblica utilità, veterani del settore dei semiconduttori convertiti al solare e migliaia di start up fortemente motivate", aggiunge Velosa.

giovedì 23 ottobre 2008

Un premio ai batteri mangia-oli

Dal Sole 24 Ore

È entrata nella top 50 dei prodotti che più rivoluzioneranno l'industria del futuro, BioTiger, la famiglia di batteri mangia- oli frutto di otto anni di ricerche e sperimentazioni condotte dai ricercatori del Savannah River National Laboratory inizialmente su una laguna polacca altamente contaminata (nella quale ora è tornata la fauna selvatica), e poi estese a molti altri ambienti.I BioTiger, ormai brevettati, che saranno premiati il 12 novembre nell'ambito della quarta National Nano Engineering Conference di Boston da Nanotech Briefs, riescono infatti a spezzare le catene degli oli liberando anidride carbonica e altri prodotti non tossici; anzi, alcuni di essi possono essere riutilizzati in lavorazioni industriali quali l'estrazione di petrolio da sabbie bituminose, processo oggi assai poco efficiente, che richiede enormi quantità di acqua, energia e solventi chimici.I ricercatori statunitensi hanno sperimentato i BioTiger in Canada, dove il 40% della produzione nazionale è rappresentato da questo tipo di fonti (mentre negli Stati Uniti non superano il 20%), e aumentato l'efficienza del processo del 50% su quattro ore, e di cinque volte su 25 ore. I BioTiger ci riescono perché si attaccano alle sabbie, staccandone la parte oleosa e permettendo così una separazione molto più conveniente e biocompatibile. Non a caso una delle altre applicazioni sulle quali si punta molto è proprio la pulitura di bacini, sedimenti e terreni (compresi quelli edificabili) contaminati da vari tipi di scarichi industriali.

Nel grande villaggio della sfida energetica

Da La Stampa

Ecopiemonte non è solo uno slogan. La grande sfida dello sviluppo ecosostenibile comincia dal «Villaggio dell’energia» che da questa mattina a domenica apre sull’Allea di Viale Turati. Cinquecento metri quadrati di padiglioni allestiti dalla Regione per divulgare le politiche attivate a favore delle piccole e medie imprese e per la promozione di quelle iniziative finalizzate alla riduzione dei consumi energetici e lo sviluppo delle cosiddette «rinnovabili». Come dire: tutto quello che c’è da sapere in fatto di impianti alternativi di produzione e mezzi di trasporto puliti.La provincia di Novara, su questo fronte, non è seconda a nessuno. Si sono già cimentate aziende all’avanguardia nella realizzazione di impianti (Lago d’Orta), sono state avviate iniziative specifiche (a Oleggio) per lo sfruttamento del fotovoltaico. Ieri all’Associaizone Industriali si è tenuto il convegno «Uso razionale dell’energia e sfruttamento delle fonti rinnovabili: nuove leve competitive e nuovi business». Come dire: Novara c’è, e si fa sentire.Il Villaggio dell’energia della Regione non è solo una «showroom», ma un momento d’incontro per esplorare e sensibilizzare la gente. La Regione ha iniziato un viaggio nelle province piemontesi per diffondere il messaggio e le numerose opportunità. In testa alla sfida la presidente della Regione, Mercedes Bresso: «Penso che il Piemonte potrà raggiungere un futuro diverso prima che altrove, se sapremo pensarlo, progettarlo e costruirlo. Sarà importante che ciascuno di noi, con la dovuta lungimiranza, sappia investire in questo futuro».Il messaggio è più che mai attuale. Arriva proprio nel momento di attrito tra l’Italia e Bruxelles sul «pacchetto clima». «Il 2008 è pe ril Piemonte l’anno per l’energia - ricorda Bresso - attraverso u nfrote imepgno di risorse materiali e umane vogliamo avviare il processo per sviluppare energie rinnovabili e trasformare quelli che oggi sono i conti derivanti dall’importazione di petrolio e gas in risparmi e occasioni di sviluppo, crescita e creazione di posti di lavoro per il nostro territorio». Il Piemonte, insomma, tira dritto per la sua strada. L’obiettivo è di aumentare del 20% la produzione di energia da fonti rinnovabili e ridurre del 20% le emissioni di anidride carbonica e i consumi energetici regionali. Traguardi che l’Ue ha chiesto di raggiungere entro il 2020. Attualmente il Piemonte importa 9 miliardi di euro di fonti fossili (tutta l’Italia 70 miliardi) e l’89% per cento dell’energia che utilizza. Ed è anche la regione in Europa che ha impegnato, per lo sviluppo di fonti energetiche rinnovabili, la quota massima dei fondi, circa un quarto di quelli assegnati attraverso il Fondo europeo di sviluppo regionale (270 milioni di euro complessivi).L’area espositiva ospita i gazebo di aziende, enti e associazioni che operano nel settore specifico, dell’innovazione tecnologica legata alla salvaguardia dell’ambiente e del risparmio energetico. Il padiglione ospita anche la mostra «Di che energia sei?», percorso guidato con pannelli esplicativi, video, simulazioni e postazioni interattive consentono al visitatore di scoprire a quale profilo energetico corrispondono le proprie abitudini e conoscenze sul tema.

mercoledì 22 ottobre 2008

«Kyoto? Come svuotare il mare»

«Ho sempre pensato che il protocollo di Kyoto sia come vuotare il mare con il secchiello», perché «non risolve il problema, è una soluzione più emblematica che reale, serve più a dare l'esempio». Così Paolo Scaroni, amministratore delegato dell'Eni, ha commentato il dibattito sul pacchetto clima-energia dell'Ue e gli obiettivi di Kyoto. Scaroni ha criticato i negoziati che hanno definito l'attuale posizione dell'Italia e in particolare il fatto che «i virtuosi vengano puniti» e il nostro Paese abbia «gli stessi obiettivi di riduzione di chi ha le emissioni maggiori di CO2». (dal Corriere della Sera)

Petrolio, i Paesi dell’Opec capitanati dall’Iran vogliono un taglio della produzione

Da L'Opinione

Chi si fregava le mani constatando la discesa dei prezzi del greggio, e sperava in un calo anche dei listini presso i distributori, non gioirà ancora a lungo visto che, da quanto è trapelato, sarà “importante” la reazione dei Paesi produttori di petrolio al calo del prezzo al barile, scivolato dal picco di 147 dollari dello scorso luglio ai circa 72 dollari della chiusura delle contrattazioni di venerdì 17 ottobre. I Paesi petroliferi non ci stanno e hanno in animo di garantirsi anche in negli attuali frangenti di crisi finanziaria mondiale le loro cospicue entrare “riequilibrando” il mercato con un drastico taglio della produzione per far alzare i prezzi. L’algerino Chakib Khelil, il presidente dell’Opec, lo ha preannunciato senza mezzi termini: nella riunione straordinaria prevista a Vienna per il prossimo 24 ottobre l’organizzazione deciderà “una riduzione della produzione”. E, ha specificato che “deve essere una riduzione importante per riequilibrare la domanda e l’offerta”. Non ci saranno tentennamenti: “Se la riduzione deve essere di 1,5 milioni di barili al giorno sarà di 1,5 milioni di barili. Se deve essere di 2 milioni sarà di 2 milioni”. I prezzi del barile sono scesi giovedì 16 ottobre sotto i 70 dollari, il livello più basso da giugno 2007, per poi recuperare nelle contrattazioni di domenica con acquisiti sostenuti proprio dalle aspettative per un taglio della produzione. Dall’Opec è poi arrivata la conferma che questa sarà la linea su cui si compatteranno i Paesi aderenti all’organizzazione. Se, come sembra, il pressing di diversi Paesi produttori non resterà inascoltato, le preoccupazioni legate alla violenta oscillazione dei prezzi (dimezzati in meno di quattro mesi, con una inversione di marcia dopo una netta corsa al rialzo) porteranno ad un taglio della produzione per riequilibrare domanda e offerta spingendo nuovamente all’insù il costo del barile

martedì 21 ottobre 2008

Al via gara per l'elettricità kazakha

Samruk-Energo, sussidiaria della holding Samruk controllata dal Governo kazakho, ha avviato una gara per la costruzione della centrale elettrica di Balkhashm, nella regione di Almaty (l'ex Alma-Ata). Il costo stimato dell'opera è di circa 4,7 miliardi di dollari. Le proposte di partecipazione verranno accettate sino al prossimo 13 novembre. La centrale dovrà fornire corrente alla parte meridionale del Kazakhstan e garantire una maggiore continuità del servizio all'interno del sistema elettrico unificato del Paese.I lavori porteranno alla realizzazione di un impianto che avrà due blocchi da 1.320 megawatt. Il primo è previsto che entri in servizio nel 2013 e il secondo nel 2016. La produzione annua complessiva dell'impianto a pieno regime raggiungerà i 17 miliardi di kilowatt-ora. Il modello proprietario studiato dai funzionari kazakhi sarà di partnership pubblicoprivato, una scelta sinora inedita nel Paese.S amruk-Energo, costituita nel 2007 per consolidare le attività energetiche del Paese, opera già in Kazakhstan con 6 grandi centrali ed altri impianti minori, concentrati questi ultimi nella regione di Almaty.Adbg finanzia una centrale elettrica in Ghana. L'African Development Bank Group ha approvato un prestito da 32 milioni di dollari per Tema Osonor Plant Ltd, azienda speciale costituita in Ghana per finanziare la costruzione dell'impianto di energia termoelettrica di Tema, vicino alla capitale Accra. La centrale, che avrà una capacità di 126 megawatt, utilizzerà come combustibili gas naturale e petrolio. Il gas verrà fornito dalla Nigeria attraverso il gasdotto dell'Africa occidentale. Il costo finale previsto sarà di 140 milioni di dollari, che verranno ottenuti con iniezioni di capitali per 44 milioni e prestiti di organismi internazionali per altri 96.Sostegno Bei al riciclo delle acque in Galles. Un finanziamento da 100 milioni di sterline (128,7 milioni di euro) è stato assegnato dalla Banca europea per gli investimenti a Dwr Cymru Welsh Water per la seconda fase della realizzazione di una serie di impianti per l'acqua potabile e il riciclo delle acque reflue nel Paese. (Dal Sole 24 Ore)

Eni ed Enel alleati per isolare la CO2 nei giacimenti

Dal Sole 24 Ore

Dai fumi della centrale Enel a carbone di Brindisi sarà estratta l'anidride carbonica. Un impianto sperimentale la liquefarà. E la CO2 liquefatta sarà immagazzinata nel vecchio e storico giacimento vuoto che l'Eni ha a Cortemaggiore (Piacenza). Così sarà declinato nella pratica un accordo strategico di cooperazione per lo sviluppo delle tecnologie di cattura, trasporto e stoccaggio dell'anidride carbonica (CO2) e per la realizzazione congiunta del primo progetto italiano in questo campo, accordo che sarà firmato questo pomeriggio al ministero dell'Ambiente, alla presenza del ministro Stefania Prestigiacomo, dagli amministratori delegati dell'Enel e dell'Eni, Fulvio Conti e Paolo Scaroni. Al tempo stesso, l'Eni, l'Enel e il ministero firmeranno un protocollo d'intesa finalizzato alla verifica e diffusione delle tecniche di cattura della CO2 e alla promozione delle fonti rinnovabili.Una delle tecnologia più dibattute nel mondo è la cattura e il sequestro dell'anidride carbonica, il gas che si sviluppa dai processi di combustione e che è accusato di cambiare il clima del mondo. La cattura significa che l'anidride carbonica va separata dai fumi ( già nel processo di combustione); sequestro è l'immagazzinamento sicuro, in modo che non si diffonda nell'aria.Diverse sono le tecnologie allo studio. Per esempio in Germania si sta provando a iniettare in vecchie miniere abbandonate anidride carbonica compressa. Si parla anche di posare anidride carbonica liquefatta sul fondo degli oceani, dove la pressione dell'acqua soprastante forma un mantello impenetrabile.Le due maggiori imprese energetiche italiane stanno lavorando su tecnologie proprie. A Brindisi c'è già un piccolo impianto pilota, mentre ancora in Puglia, a Gioia del Colle, l'Enel con l'Ansaldo sta sperimentando una forma di combustione in atmosfera controllata che permette di ottenere CO2 purissima e già separata. Se le sperimentazioni daranno il risultato cercato, a Brindisi potrà essere costruito un primo impianto semindustriale, ma su scala più grande la tecnologia potrebbe essere adottata nella grande centrale polesana di Porto Tolle, sulla punta estrema del delta del Po. È una centrale a olio combustibile ad alte emissioni di carbonio ma l'Enel ha in programma di chiudere il vecchio grande impianto e di sostituirlo con una moderna centrale a carbone, in analogia con quanto è avvenuto con la centrale di Civitavecchia.Intanto nei mesi scorsi sono stati esaminati i diversi giacimenti abbandonati nelle vicinanze dei grandi impianti che producono anidride carbonica. Per la centrale di Brindisi – la ciminiera che in Italia ha il primato di emissioni di CO2 – sono stati vagliate le diverse riserve vuote di metano nel basso Adriatico e nel mar Ionio, mentre al largo di Civitavecchia sotto alcuni tratti di fondale si nasconderebbero spazi opportuni per immagazzinarvi l'anidride carbonica.Il mare, che non è abitato, suscita meno preoccupazioni nelle popolazioni. L'anidride carbonica non è di per sé velenosa, ma asfissia quando si sostituisce all'aria respirabile. Quindi i depositi nelle zone popolate suscitano apprensioni tra chi vive nelle vicinanze. Per esempio tempo fa a Tarantoc'erano state polemiche perché il mare gorgogliava bolle di gas. Nel caso dei giacimenti, questo pericolo non esiste poiché sono luoghi del tutto sicuri che hanno saputo conservare il metano ( anch'esso pericoloso) per milioni d'anni, senza alcun fastidio per chi vi abita la superficie.

lunedì 20 ottobre 2008

Deforestazione, un fenomeno a due facce

Tra il 1990 e il 2005, il pianeta ha visto sparire il 3% delle sue foreste, a un tasso di decremento dello 0,2% annuo. La deforestazione è imputabile in primo luogo alla trasformazione delle foreste in terreni agricoli nei Paesi in via di sviluppo, che prosegue al ritmo allarmante di 13 milioni di ettari all'anno. La perdita di superficie alberata è stata particolarmente rapida proprio nelle aree del globo con maggiore biodiversità: Asia sud-orientale, Oceania, America Latina, Africa Subsahariana. Oltre alla perdita di biodiversità, un costo aggiuntivo della deforestazione è il suo contributo ai mutamenti climatici: l'impatto della deforestazione è calcolato tra il 18 e il 25% sul totale delle emissioni di gas serra. Negli ultimi anni, in altre regioni del mondo (Europa, Nord America ed Estremo Oriente) la riforestazione, il recupero di terreni degradati e la naturale espansione dei boschi hanno parzialmente controbilanciato il fenomeno, portando a un incremento delle foreste sul piano locale. Il bilancio complessivo, su scala planetaria, nel periodo 2000-2005 è quindi un calo netto di 7,3 milioni di ettari di foresta l'anno, rispetto agli 8,9 milioni di ettari l'anno nel periodo 1990-2000. Ciò significa che ogni giorno scompaiono 200 chilometri quadrati di foreste, una superficie doppia rispetto all'intera area metropolitana di Parigi.Segnali promettenti arrivano da aree a rischio come il Brasile o il Sahel africano, dove il decentramento alle autorità locali in fatto di lotta alla desertificazione ha dato positivi riscontri.
(Da Unicef.it)

Benzina: in vista un calo sostanziale dei prezzi

Da ilsole24ore.com


Dopo il crollo dei prezzi del greggio, anche la benzina cala, ma non abbastanza. Nonostante i ribassi degli ultimi giorni resta infatti su livelli più alti rispetto a quelli ai quali dovrebbe attestarsi in base al prezzo del petrolio. Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia, al microfono di Maria Chiara Grandis di Radio 24 spiega «ciò accade sempre nell'industria, ma eusta volta la lentezza è un pò esagerata». Rispetto ai picchi dell'estate scorsa, il prezzo dei carburanti è diminuito già di una ventina di centesimi, (10 euro in meno il costo medio di un pieno) ma secondo l'esperto «c'è spazio per un calo di almeno altri 5 centesimi» nei prossimi giorni, con risparmi di 2-3 euro a pieno rispetto a oggi. Aspettate, dunque, prima di correre al distributore.

giovedì 16 ottobre 2008

Congo, rischio balcanizzazione per le risorse naturali

Da l'Avvenire

Quello che sta vivendo la Repubblica democratica del Congo è «un vero dramma umano che avviene sotto i nostri occhi e non può lasciare indifferente nessuno». Con questo appello la Conferenza episcopale congolese (Cenco) invoca la fine delle violenze nel Paese africano, riprese soprattutto nella regione orientale del Nord Kivu. «Ancora migliaia di morti, popolazioni condannate ad errare in condizioni inumane, rapimenti di bambini arruolati a forza nei gruppi armati», scrivono i vescovi in una nota intitolata riportata dall’agenzia Fides. La Cenco «condanna con forza la maniera ignobile di considerare la guerra come un mezzo per risolvere i problemi o appagare ambizioni inconfessate» e non esita a denunciare «tutti i crimini commessi contro dei pacifici abitanti e condanna nella maniera più assoluta, il reclutamento dei bambini al fine di costringerli a forza a combattere». Inoltre condanna «la presa in ostaggio della popolazione civile e il suo utilizzo come scudi umani». Con grande lucidità, i vescovi sottolineano inoltre di temere che gli scontri che si susseguono nell’est e nel nord-est del Congo non siano che «un paravento per coprire il saccheggio delle risorse naturali», perché «si combatte là dove vi sono delle ricchezza che si sfruttano e si vorrebbe continuare a sfruttarle illegalmente». Quello che l’episcopato congolese teme, insomma, è che queste guerra «non siano che un modo, appena velato, di attuare il piano di balcanizzazione del Paese attraverso la creazione di “Stati nani”». L’integrità territoriale, l’intangibilità delle frontiere e l’unità nazionale della Repubblica Democratica del Congo, ribadisce ancora la nota riportata dalla Fides, sono per i rappresentanti della Chiesa locale elementi «non negoziabili» Un grande appello è rivolto poi alle autorità centrali, perché diano «la massima priorità alla questione dell’est del Paese», ma a esser chiamata in causa è anche la comunità internazionale «perché aumenti gli sforzi per riportare la pace in quelle tormentate regioni». Tutto il mondo – si sottolinea – ha da guadagnare con un Congo in pace piuttosto che con un Congo in guerra». Oltre alla guerra nel nord Kivu, scatenata dal generale ribelle Nkunda, continuano anche gli scontri nell’Ituri tra l’esercito congolese e i ribelli ugandesi dell’Esercito di resistenza del signore (Lra), che non esitano a infierire sulla popolazione civile. Scontri e incursioni oltreconfine – per il sequestro dei minori – ripresi con intensità dopo il “naufragio”, a giugno, dell’accordo di pace tra i ribelli e il governo di Kampala.

Il petrolio precipita sotto 75 dollari

A dimostrazione che stanno crescendo i timori di una recessione globale, ieri il prezzo del petrolio è sceso sotto i 75 dollari al barile per la prima volta dal settembre dell'anno scorso, per chiudere a New York a 74,60, in calo di 4,03 dollari. Il greggio è ormai sceso del 48% rispetto al record assoluto di 147,27 dollari, toccato l'11 luglio scorso. Come ha sottolineato Bespoke Investment Group, si tratta di «un ribasso più forte di quello dei mercati azionari, ma nessuno si lamenta dei cattivi venditori allo scoperto e nemmeno implora drastici tagli alla produzione per fermare la caduta dei prezzi». Nei giorni scorsi, Goldman Sachs ha previsto che nelle prossime settimane il barile potrebbe scendere addirittura fino a 50 dollari. Mentre ieri l'Opec, che controlla circa il 40% della produzione mondiale, ha tagliato le stime sulla domanda globale per il 2008 di 330 mila barili al giorno e per il 2009 di 100 mila a causa degli effetti della crisi finanziaria sulla crescita economica mondiale. Il cartello ha pertanto stimato per l'anno in corso una crescita della domanda di 550 mila barili al giorno a 86,5 milioni, mentre per l'anno prossimo la domanda è stata rivista al ribasso a 87,2 milioni di barili al giorno (Da Mf)

mercoledì 15 ottobre 2008

Nuova scoperta Eni in Angola

L'Eni guidata dall' ad Paolo Scaroni ha effettuato una nuova scoperta di petrolio nelle acque profonde dell’Angola, a circa 350 km da Luanda. Il pozzo ha evidenziato una colonna di olio di 127 metri in sabbie ad alta permeabilità del miocene. Eni è operatore del blocco 15/06 con una quota del 35%, mentre Sonangol è la concessionaria.

Petrolio, i timori di recessione spingono i ribassi

È tornato a calare il prezzo del petrolio. Nel dopo mercato elettronico che fa riferimento al Nymex, la Borsa merci di New York, a Singapore il greggio per consegna a novembre è stato trattato oggi a mezzogiorno (ora locale) a 77,91 dollari a barile, con un calo di 0,72 dollari rispetto a New York, dove ieri sera aveva fatto registrare un calo di 2,56 dollari a barile portando il prezzo a 78,63 dollari. I timori degli operatori per una recessione globale supera quindi l'ottimismo per un recupero dell'economia innescato dalle misure di intervento adottate nei confronti delle banche. Il future sul Brent, sempre consegna novembre, mostra una flessione di 33 centesimi a 74,20 dollari.

martedì 14 ottobre 2008

Ondata di ribassi per diesel e benzina

Nuova ondata di ribassi nel fine settimana per i prezzi dei carburanti: in linea con le continue limature dei prezzi del petrolio, le compagnie petrolifere hanno provveduto a ritoccare i propri listini, ma potrebbe esserci spazio per ulteriori ribassi. Un anno fa, con il petrolio intorno a 81 dollari, i listini consigliati della benzina andavano da un minimo di 1,324 euro a un massimo di 1,332. Oggi si oscilla tra gli 1,359-1,380. Una differenza ancor più rilevante c'è per il gasolio: da una forbice compresa tra 1,222 euro al litro e 1,229 di ottobre 2007 si passa agli odierni 1,299-1,339 euro al litro: in questo caso potrebbe esserci spazio per ulteriori limature fino a oltre 10 centesimi di euro.

Dal seme alla benzina, ecco il futuro dell’energia

I nuovi carburanti, articolo dell'Opinione

Il 20 ottobre prossimo si compirà un altro importante passo in avanti nel cammino verso la diffusione di una informazione chiara e oggettiva in materia di fonti rinnovabili, in modo particolare di carburanti e combustibili da fonti biologiche. Di tale argomento negli ultimi mesi si è fatto un gran parlare, soprattutto in coincidenza con il vertice della Fao tenutosi a Roma durante il mese di giugno. Che cosa ci possiamo aspettare dallo sviluppo di tali prodotti, una possibile soluzione al problema dell’approvvigionamento energetico o un incremento incontrollabile della fame nel mondo? La risposta, in un senso o nell’altro, a questa domanda produce conseguenze di rilevanza planetaria nel bene o nel male e, pertanto, giustamente si susseguono dibattiti e prese di posizione a livello internazionale da parte di autorità scientifiche e politiche, nonché del mondo industriale. Una cosa è certa: come tutti i beni economici, anche i biocarburanti sono soggetti alle spietate regole del mercato, trattandosi di prodotti che subiscono un rilevante accrescimento di valore durante il ciclo di trasformazione, in grado di far mutare un piccolo seme in energia. Ma se la realtà sta in questi termini, come può essere criticato un progetto destinato a contribuire a risolvere il problema energetico partendo da un prodotto agricolo, quindi, per sua stessa natura, completamente rinnovabile? Al pari di molti altri esempi in cui la società, di fronte ad una scelta criticabile dei metodi utilizzati per assicurare la soluzione di un problema, tende a ricomprendere nell’oggetto della critica la stessa soluzione che di per sé, invece, era ottimale, anche nel settore agroenergetico l’aspra critica nei confronti delle strategie seguite per garantire un adeguato approvvigionamento delle materie prime vegetali ai produttori di biocarburanti ha finito per coinvolgere la stessa proposta di soluzione, la bioenergia, unica vera alternativa, al momento, ai carburanti e ai combustibili fossili

lunedì 13 ottobre 2008

Operazione fiducia, il Ceo in prima fila

Da Profumo a Conti, dice il Corriere della Sera

D irigenti a caccia di azioni delle aziende in cui lavorano per rincuorare il mercato. Una forte iniezione di fiducia difende risparmiatori, imprese e banche dalla crisi del credito. Il messaggio politico è talmente forte che, per aumentare di incisività, si moltiplicano le iniziative per l'acquisto,da parte dei top manager,di azioni. Francamente, il mercato non sembra finora avere ascoltato l'appello, carico di valore simbolico. In prima linea, questa volta, abbiamo trovato il Ceo di Unicredit, Alessandro Profumo, che lunedì 6 ottobre ha comprato (proprio all'indomani della maxicapitalizzazione) 150mila azioni della banca per un esborso complessivo di circa 414mila euro.Il chip di Profumo, che rappresenta poco più dello 0,001% del capitale dell'istituto italiano più colpito dalla bufera finanziaria, è avvenuto in tre pacchetti a 2,76 euro, 2,7625 euro e 2,7575. Per adesso l'a.d. ha lasciato sul tavolo in pochi giorni parecchi quattrini. Il gesto è stato subito seguito anche dagli altri top manager di Unicredit, i deputy Ceo Roberto Nicastro, Sergio Ermotti e Paolo Fiorentino ( anche loro in perdita, per adesso).Motivazioni certo differenti da quelle del finanziere americano Warren Buffett che, annunciando attraverso la Berkshire Hathaway un investimento di cinque miliardi di dollari in Goldman Sachs, è riuscito un'altra volta a dimostrare come ogni crisi si possa trasformare in un'opportunità d'investimento (non per niente è diventato l'uomo più ricco del mondo).Decisamente più vicino agli obiettivi di Profumo, il numero uno di Eni, Paolo Scaroni. Il manager italiano, non escludendo un ulteriore calo del prezzo del greggio, nel tentativo di ridare fiducia al mercato dopo il recente scivolone del titolo, giovedì 8 ottobre ha acquistato, per un controvalore di un centinaio di migliaia di euro, 6.250 azioni di Eni a un prezzo unitario di 16,04 euro (anche lui, per adesso, in perdita). Mossa analoga per Fulvio Conti, a capo di Enel, che ha comprato 109mila azioni della società elettrica per un controvalore complessivo di 687mila euro (oggi già depauperato).

La questione energetica

Nucleare, gas e petrolio, emergenza ambientale. Se ne parla alla presentazione del libro «Il prezzo da pagare» (Baldini Castoldi Dalai) di Stefano Agnoli e Giancarlo Pireddu.Con Giulio Sapelli, Bruno Tabacci e altri.Casa della Cultura, via Borgogna 3, ore 18.30

venerdì 10 ottobre 2008

Petrolio, ora Chavez pensa alla banca dell'Opec

Una banca dei Paesi Opec.E' ciò che proporrà il vulcanico presidente venezuelano Hugo Chavez ai Paesi membri del cartello petrolifero. Una banca di loro proprietà, in cui ciascuno di essi possa depositare le rispettive riserve. In una conferenza stampa durante la quale ha affrontato i problemi della crisi finanziaria mondiale, Chavez ha ricordato che già nel 2000 l'Opec esaminò l'iniziativa, che fu però accantonata perché non tutti furono d'accordo.«Non ci fu il consenso di due Paesi» ha specificato.«Ora però mi propongo di presentarla e, qualora non venisse accettata, il Venezuela cercherà di creare lo stesso una banca petrolifera internazionale».

Petrolio ancora giù. Il greggio adesso sotto gli 87 dollari

Il prezzo del petrolio cala ai minimi dell'anno, con il barile a 86,59 dollari.La crisi della domanda ha portato alcuni membri dell'Opec (che ha annunciato una riunione straordinaria per il 18 novembre) a parlare di un taglio della produzione.

giovedì 9 ottobre 2008

«Il mercato del gas ha bisogno di più deregulation»

Prolungare oltre il 2010 i tetti antitrust imposti all'Eni per favorire l'apertura del mercato del gas; obbligare il gigante energetico nazionale a cedere quote aggiuntive delle importazioni direttamente ai consorzi tra grandi consumatori; favorire dunque la creazione di nuove aggregazioni di imprese energivore rivedendo anche a loro vantaggio le tariffe di trasporto del metano, privilegiando lo schema della regressività. Con pochi pudori per le frizioni interne alla Confindustria il Consorzio di imprese confindustriali "Gas Intensive" (dai laterizi al vetro, dalla ceramica all'acciaio, dalla carta alla calce) morde l'Eni e fa appello al Governo e al Parlamento perché diano nuovo ossigeno alla concorrenza nel settore. Lo fa "in diretta" presentando le sue richieste in una conferenza stampa alla presenza di Enrico Letta (l'ex ministro dell'Industria artefice della liberalizzazione del gas del 2000), Enzo Raisi (uno dei manovratori per la maggioranza del dibattito energetico alla Camera) e di Antonio Costato, vicepresidente di Confindustria con delega all'energia.«Dobbiamo essere realisti e prendere atto del fatto che il mercato italiano del gas è assolutamente imperfetto e comportarci di conseguenza: nel nostro mercato c'è troppa poca concorrenza lato offerta, come spesso hanno sottolineato l'Antitrust e l'Autorità per l'Energia » incalza Alfonso Panzani, Presidente di Gas Intensive. (Dal Corriere della Sera)

Partnership Eni-Papua Nuova Guinea

L'Eni e lo stato indipendente di Papua Nuova Guinea hanno firmato ieri un Partnership Agreement per lo sviluppo sostenibile delle risorse di idrocarburi nel paese dell'Oceania. Per l'amministratore delegato di Eni, Paolo Scaroni, l'intesa «è la dimostrazione che guardiamo avanti e continuiamo ad essere ottimisti poiché ci preoccupiamo del nostro futuro da qui a 10-20 anni». L'accordo ruota intorno alla costruzione di impianti per il gas naturale liquefatto.

mercoledì 8 ottobre 2008

Mosca segue il destino del petrolio

Siderurgia, banche e grande distribuzione: la crisi finanziaria inizia a colpire in Russia l'economia reale, con le aziende costrettea licenziare migliaia di dipendenti.«In un momento di rallentamento economico globale,l'economia russa cadrà due volte più velocemente a causa della riduzione della bilancia commerciale», avverte un rapporto di una delle maggiori banche, Rosbank, riferendosi alla dipendenza della Russia dal settore energetico. La Magnitogorsk Iron and Steel Works sta considerando di tagliare 3.000 posti nel più grande impianto siderurgico del Paese.

Benzina, ribassi a raffica per verde e gasolio

Il forte calo del petrolio delle ultime settimane, frutto dell’appesantirsi della crisi economica e finanziaria mondiale, comincia a produrre effetti - questa volta benvenuti - anche sul prezzo alla pompa di benzina e gasolio. Da ieri mattina tutti i listini delle compagnie sono in calo. Con punte fino a 1,8 centesimi al litro in meno all'Api-Ip sulla benzina verde che scende a 1,419 euro al litro. In calo - secondo i dati di Quotidiano Energia - anche l'Agip che è tornata a tagliare il prezzo della verde di 1 centesimo a 1,409 euro portando il ribasso complessivo degli ultimi giorni a 2,5 centesimi di euro (venerdì il prezzo era a 1,437). Ed ha ridotto di 2 centesimi al litro il gasolio a quota 1,365 euro-litro.

martedì 7 ottobre 2008

Anche euro e petrolio vanno in retromarcia

Petrolio in retromarcia. Ieri il greggio è sceso sotto gli 89 dollari al barile a New York, proseguendo un calo molto accentuato in atto da diverse settimane. A sua volta provocato dalla recessione e dal fatto che l’ euro perde colpi nei confronti del dollaro. Anche l’ inflazione è quindi in discesa, ma non certo per la politica intransigente seguita finora dalla Bce (che anzi, con il mancato taglio dei tassi ha sostenuto nei mesi scorsi l’ euro, con la conseguenza di far salire il petrolio). Nella giornata caratterizzata dal panico generale su tutti i mercati mondiali, l’euro ha perso ulteriori posizioni contro il dollaro scendendo sotto 1,35, il che non succedeva dall’ agosto del 2007. In rapporto allo yen, la valuta unica è arrivata a 135,75 che rappresenta il minimo dal marzo del 2006. (Dal Giorno)

Carbone per l'Africa?

L'Africa Sub-sahariana è spenta, dal punto di vista dell'energia elettrica. Solo due abitanti su dieci vi hanno accesso, e secondo un recente rapporto del Regional Economic Outlook for Sub-Saharan African (del Fondo monetario internazionale), solo nel 2007 quasi due terzi dei paesi della regione hanno avuto a che fare con una crisi energetica acuta, caratterizzata da frequenti e prolungati black-out. Come accendere la luce, e i frigoriferi, e servizi importanti per migliorare le condizioni di vita e ridurre la fatica, in Africa? Certo, ci sarebbe l'energia idroelettrica. Di dighe ce n'è abbastanza, in Africa. Ma oltre ai danni ecologici e sociali di cui si sono rese colpevoli gli impianti più grandi, l'idroelettrico non è considerato in grado di tenere il passo del rapido aumento della popolazione e della crescita attesa della domanda elettrica (il 70 per cento della quale crescita avverrà nel Sud del mondo, e anche l'Africa farà la sua parte). Oltretutto, le frequenti siccità ne decurtano la potenza. E sempre più l'acqua servirà anche per l'aricoltura.
Per la produzione di energia elettrica esistono numerose altre fonti: il petrolio, il gas, l'energia solare; ma nel giudizio di molti - come riporta un articolo dell'organo di informazione alternativo Alternet: http://www.other-net.info/index.php) gli impianti necessari costano troppo. Già: finché le risorse finanziarie disponibili al mondo saranno messe negli armamenti e nel salvataggio delle borse, nessuno o pochi sosterranno il solare in Africa...
C'è dunque chi propone di ricorrere alla più abbondante (ancora per decenni e decenni) ed economica delle fonti fossili: il carbone. L'Africa avrebbe riserve di carbone per 50 miliardi di tonnellate, degli 850 miliardi di tonnellate mondiali. Il carbone è visto come combustibile fossile d'elezione - obtorto collo - nello sviluppo economico di paesi come Cina e India. Se anche in molti paesi «sviluppati» è una quota importante nella produzione di energia elettrica, è scontato che i paesi in via di sviluppo esplorino le proprie abbondanti risorse carbonifere. L'Africa, è da prevedersi, userà il carbone anche, ad esempio per la produzione di cemento e acciaio: l'alternativa della legna contribuisce alla deforestazione. Inoltre c'è una domanda significativa di mattoncini di carbone per la cottura dei cibi e altri usi domestici.
(Dal manifesto)

lunedì 6 ottobre 2008

Scaroni: il prezzo del petrolio può scendere ancora

C'e' ancora spazio per un'ulteriore discesa dei prezzi del petrolio". Ne e' convinto l'amministratore delegato di Eni, Paolo Scaroni, che, a margine del meeting dei Giovani industriali in corso a Capri, ha sottolineato come le quotazioni del greggio "dipendono da un lato dall'economia reale e dall'altro dalla situazione internazionale". "Tendenzialmente - ha aggiunto - il prezzo, che oggi e' a 90 dollari al barile, lo vedo in discesa piu' che in salita".
La crisi dei mercati finanziari avra' sul sistema bancario italiano ripercussioni minori che negli altri paesi europei, ma i cittadini potrebbero esserne colpiti, ha dichiarato ancora l'Ad di Eni. "Credo che sotto il profilo finanziario, inteso come sistema bancario - ha detto Scaroni - l'Italia rischi meno che altri paesi europei. Sotto il profilo dei cittadini, e' presto per dirlo, ma sospetto che di prodotti tossici nel loro portafoglio ce ne siano e che qualche perdita l'avranno".

Petrolio, per l'Opec c'è un eccesso di offerta

Sui mercati petroliferi c'e' un eccesso di offerta, che potrebbe triplicarsi nel primo trimestre del 2009 se i paesi dell'Opec non si atterranno strettamente agli obiettivi produttivi stabiliti. Lo ha dichiarato il ministro del Petrolio iraniano, Gholamhossein Nozari. Il ministro ha poi escluso che l'Opec possa riunirsi prima del vertice straordinario che si terra' a Oran, in Algeria, il 17 dicembre. (Fonte: Agi)

venerdì 3 ottobre 2008

Gazprom punta alla crescita globale

Adoperarsi per aumentare e migliorare l'efficienza di Gazprom nelle attività di esplorazione, estrazione di petrolio e di gas al di fuori della Russia e della Csi. Il cda di Gazprom, riunitosi ieri, dovrà portare avanti una strategia volta a trasformare il colosso dell'oro blu in una società globale, leader mondiale nel settore energia.Lo si apprende dal quartier generale di Gazprom a Mosca, che in una nota annovera tra le opportunità di diversificazione, anche la possibilità di «ottenere quote di partecipazione in progetti all'estero nel segmento esplorazione e produzione nella realizzazione del partenariato strategico con l'Eni di Paolo Scaroni e altre società». Gazprom già nel 2006, ha intensificato gli sforzi per cercare opportunità di diversificare la base di risorse e l'espansione all'estero nel segmento esplorazione e produzione. Tra i progetti futuri investimenti sul blocco 26, India nel Golfo del Bengala; blocco 112, Vietnam nel Golfo di Bac Bo, Mar Cinese Meridionale; blocco Urumako-I e II Urumako. Inoltre, attualmente in fase di negoziato l'adesione di Gazprom a un certo numero di progetti in Venezuela. (da Finanza & Mercati)

Caccia al tesoro degli abissi

Nei fondali più profondi ci sono immensi giacimenti da sfruttare. E per trovarli parte la corsa al super sottomarino hi-tech, dice L'espresso.

Pochi luoghi del sistema solare sono più misteriosi dei fondali oceanici del nostro pianeta: ci sono forme di vita ancora ignote, vulcani esplosivi, enormi fratture che originano le placche terrestri. E, soprattutto, ci sono immensi giacimenti di petrolio o di gas che attendono ancora di essere scoperti. Ma questi giacciono a profondità difficilissime da raggiungere: la maggior parte dei fondali oceanici infatti, si distende tra i 6 mila e i 7 mila metri di profondità, e al momento esiste un solo batiscafo, il giapponese Shinkai 6.500, in grado di trasportare persone fin laggiù. In tempi in cui queste ricchezze subacquee fanno gola è quindi inevitabile che imprese pubbliche e private cerchino un sistema per andarle a cercare, con sottomarini sempre più tecnologici e robusti. Ecco perché gli Stati Uniti hanno dato il via alla costruzione di un nuovo sommergibile scientifico in grado di esplorare la maggior parte degli abissi oceanici. è nato così il progetto di Alvin 2, il batiscafo che sostituirà il 'vecchio' Alvin, divenuto famoso soprattutto per essere stato il primo ad aver illuminato i resti del Titanic, a 3.800 metri di profondità.

giovedì 2 ottobre 2008

Le materie prime perdono il ruolo di «rifugio sicuro»

Dovevano essere la panacea di tutti i mali, uno di quei pochi investimenti in grado di garantire un porto sicuro ai risparmiatori disorientati dal terremoto finanziario. Oggi invece anche le materie prime hanno perso gran parte dell'appeal (e dei guadagni) conquistati nell'ultimo anno di quotazioni. Basti pensare che, tra giugno e settembre, il loro andamento è stato addirittura peggioredi quello dei principali listini azionari mondiali.I cinque indici sulle commodity che replicano l'andamento del mercato dell'energia,dei metalli e dei prodotti agricoli hanno mostrato in media un arretramento del 25,4 per cento. Anche l'indice Reuters-Jefferies Crb, che viene ponderato sull'andamento dei prezzi di 19 futures Usa delle materie prime, nel terzo trimestre è crollato del 25%. Nello stesso periodo, l'S&P 500 ha perso l'8,9%, l'Ftse il 12,86%, il Nikkei il 16,5%: cali significativi, certo, ma sempre più contenuti rispetto a quelli registrati dai metalli a Londra o dai cereali a Chicago. La débacle del resto ha gambizzato tutti i beni, dal mais (sceso del 32,74%) al rame, giù del 25,26%.Solo l'oro,e gli Etf collegati ad esso, si sono salvati, facendo registrare anzi valori tra i più alti della loro storia. (Dal Sole 24 Ore)

Petrolio, negli Stati Uniti calano i consumi e aumentano le scorte

Sui mercati del petrolio prosegue l'altalena dei prezzi, che seguono più o meno le fibrillazioni delle Borse valori, in attesa di una soluzione alla crisi della finanza. Ieri, apertura vicina ai 100 $/bbl per il Brent, nel pomeriggio sceso sui 95,50 $, con il Wti 3 dollari più in alto.Aumentano le scorte commerciali Usa, secondo i dati pubblicati ieri dal dipartimento dell'Energia: greggio +4,3 milioni di barili, benzine +0,9 mentre scendono di 2,3 milioni i distillati medi. Le raffinerie sono tornate a lavorare (dal 65 sono passate al 73% della capacità) ma pur sempre abbondantemente sotto la media stagionale.Molto sotto la media si confermano i consumi americani di combustibili, scesi mediamente del 7,3% dallo scorso anno, con un calo della benzina del 5,9% e dei distillati dell'8,8%. I numeri si spiegano meglio con l'esempio che tale diminuzione di consumi Usa corrisponde a 1,3 milioni di barili/giorno,che è all'incirca la produzione della Libia.Ma visto l'impatto delle Borse a termine sui prezzi del greggio, fa ancora più effetto la diminuzione dei volumi su Nymex e Ice da inizio luglio a questa parte. Il Nymex trattava 1milione e 300mila contratti al giorno e ora solo 440mila; l'Ice di Londra aveva toccato i 600mila contratti/giorno e ora se ne scambiano 180mila. (Dal Sole 24 Ore)