mercoledì 20 maggio 2009

Incentivi per l'energia da biomasse. Confagricoltura ringrazia

Confagricoltura ha apprezzato l’approvazione in Senato della nuova tariffa facente parte dell’emendamento incluso nella legge 1195. Si tratta di incentivi sulla produzione di energia elettrica da biomasse pari a 0,28 €/Kwh. Questa tariffa, cumulabile con gli altri incentivi pubblici, sarà una buona opportunità per gli imprenditori agricoli e per le loro attività, anche perché consentirà indubbi vantaggi per gli investimenti degli imprenditori agricoli, un consistente risparmio nella bolletta energetica nazionale a causa delle minori quantità di petrolio da importare, una minore produzione di CO2 da combustibili fossili e un migliore utilizzo dei rifiuti urbani.
Soddisfatta Confagricoltura, secondo cui le nuove energie “costituiscono una chance in più per far emergere il ruolo protagonista degli agricoltori nella green economy e nello sviluppo del Paese”.
(da Rinnovabili.it)

venerdì 10 aprile 2009

Forti rincari del petrolio, in salita riso e zucchero

Il piano di stimolo dell'economia lanciato dal Giappone, più ricco del previsto, e la buona performance delle Borse hanno generato fiducia sui mercati delle materie prime, alla vigilia della chiusura festiva per il Venerdì santo. L'effetto rialzista si è visto soprattutto sul petrolio, che in una sola seduta ha recuperato quasi il 6% (il Wti ha concluso a 52,24 $/barile), e sui metalli non ferrosi, tutti in forte progresso al London Metal Exchange. Il balzo più consistente l'ha fatto il piombo, che salendo del 5,2% si è portato ai massimi da ottobre. Record da 5 mesi anche per il rame, in rialzo di oltre il 3% anche grazie al nuovo calo di scorte. Hanno finito la seduta in terreno positivo anche la maggior parte delle commodities agricole. I rialzi sono stati moderati (inferiori all'1%) per caffè e cacao, mentre lo zucchero (grezzo e raffinato) ha guadagnato oltre il 2%. Al Cbot spicca il +3,9% del riso grezzo, spinto dalla previsione dell'Usda di consumi record negli Stati Uniti. I semi di soia, poco variati, si confermano ai massimi da 2 mesi, mentre frumento e mais hanno ceduto quasi il 2%. (da Il Sole 24 Ore)

Metti l'alga nel serbatoio

Un pieno di alghe. Potrebbe essere questa, tra poco, la richiesta da rivolgere al benzinaio, che magari non si chiamerà neanche più così, e che invece di fare il pieno di gasolio riempirà il serbatoio con un carburante che deriva dalle alghe. Organismo di struttura semplice, unicellulare o pluricellulare, che produce ossigeno ed era già presente in natura oltre un miliardo e mezzo di anni fa, se capita tra i piedi d'estate, l'alga fa solo ribrezzo. E invece è in grado di fornire una biomassa che non ha bisogno di terre arabili per essere prodotta, come accade invece per il mais o la soia, accusate (anche dall'Ocse) di essere causa di deforestazione e fame quando utilizzate come biocarburanti. L'alga può essere coltivata al chiuso, in serre riscaldate, oppure all'aperto, in uno stagno o in acqua marina anche inquinata, perché si nutre dei contenuti delle acque reflue e di anidride carbonica. Si moltiplica velocemente, garantendo anche 50 raccolti all'anno e può produrre, per ettaro, 15 volte più biodiesel di altre coltivazioni (come l'olio di palma). Gli ostacoli alla sua produzione sono legati alla disponibilità commerciale e ai prezzi di mercato: la sfida più grande per la ricerca è fare in modo che il processo di decomposizione della biomassa avvenga in un tempo tale da permettere alla produzione di biocarburante da alga di essere economicamente competitiva oltre che sostenibile, il tutto a un costo inferiore ai 60 dollari al barile. Ad oggi, teoricamente, si stima una resa possibile tra i 1.000 e i 20 mila litri di biocarburante per ettaro, a seconda della specie di alga coltivata. Facendo due rapidi calcoli, visto che il potenziale di produzione dei soli Stati Uniti si aggira intorno ai 16 milioni ettari, gli Usa potrebbero produrre abbastanza alghe da sostituire completamente il petrolio come carburante e lasciare all'agricoltura 180 milioni di ettari di terreni agricoli per uso alimentare. Secondo l'European biodiesel board (Ebb), che pochi giorni fa ha tenuto a battesimo l'European algae biomass association, la nuova piattaforma europea per lo sviluppo dei biocarburanti e delle bioenergie, l'Italia è uno dei paesi in cui la sperimentazione sulle alghe ha raggiunto i livelli più avanzati. Il 24 marzo scorso, il porto di Venezia, ad esempio, ha annunciato il lancio della prima centrale ad alghe italiana, che sarà operativa nei prossimi due o tre anni. «L'idea di fondo è di produrre non solo biocarburanti, ma bioenergia. Questo significa coltivare le alghe all'interno di appositi bioreattori, poi bruciarle come biomassa e recuperare la CO2 emessa per nutrire le nuove alghe nei bioreattori». Che quello delle alghe sia un business ghiotto lo dimostrano diversi esperimenti condotti da grandi compagnie petrolifere, tra cui anche l'Eni. Solo qualche giorno fa l'amministratore delegato del Cane a sei zampe, Paolo Scaroni, ha spiegato che lo sfruttamento delle alghe è la strada giusta per i biocarburanti, perché garantisce energia pulita e riduzione di emissioni e dà risultati migliori della colza su cui stanno puntando forte Brasile, Stati Uniti e l'Estremo oriente. Ma l'ultima novità nel settore viene da Shell, che ha annunciato l'avvio dei lavori per costruire alle Hawaii la prima raffineria di alghe da combustibile. Ancora, l'americana Solazyme, specializzata in biologia sintetica, ha annunciato una partnership con Chevron per produrre e distribuire, entro i prossimi tre anni, biocarburante proveniente dalle alghe in grado di sostituire il diesel tradizionale. Non solo, ha anche ricevuto un finanziamento da 45 milioni di dollari per sviluppare il progetto e ha presentato la nuova Mercedes C320, alimentata proprio ad alghe.Sempre negli Stati Uniti, Boeing e Honeywell hanno creato Users Group, un consorzio che ha l'obiettivo di testare la produzione di biodiesel da alghe per i motori degli aerei. E un'altra americana, GreenFuel, ha annunciato di star avviando, in Spagna, un progetto di coltivazione in serra di 100 ettari di alghe. L'investimento previsto è di 92 milioni di dollari e la produzione stimata di 25 mila tonnellate di alghe da destinare al biodiesel. (da Milano Finanza)

giovedì 9 aprile 2009

Greggio, scorte ancora in salita

La cura Opec non basta, per ora, a riportare l'equilibrio nel mercato petrolifero. Le scorte continuano a crescere nonostante la chiusura dei rubinetti, a dimostrazione che la crisi morde sui consumi. I prezzi, saliti sull'entusiasmo delle borse fino a 54 $/ bbl, sono scesi ieri sotto i 50$ per poi salire in chiusura a 51,59 $ per il Brent scadenza maggio e a 49,38 per il Wti. I margini di lavorazione "soffrono" e spesso mostrano il segno negativo per i raffinatori europei; perdono terreno i ricavi del gasolio, dove si sente anche la competizione del mercato orientale (l'indiana Reliance vende gasolio in Mediterraneo) e dell'olio combustibile (per i ridotti consumi di bunker).Dai dati del Dipartimento Usa dell'Energia si conferma che le raffinerie americane procedono all'82% della capacità. Negli Stati Uniti crescono le scorte di greggio (+1,6 milioni di barili, ai massimi degli ultimi 16 anni) e di benzina (+0,6) e scendono i distillati (-3,4). Ai minimi invece l'appetito dei raffinatori, con conseguente forte flessione dei differenziali e discesa record dei noli delle petroliere.....Visto che si parla di nuove regole della finanza, sarebbe il momento giusto per restringere la platea degli investitori petroliferi e per evitare che il future sia solo un veicolo per aumentare il costo dell'energia in un momento così drammatico per l'economia mondiale. Ad esempio si potrebbe imporre che per i futures petroliferi sia ben presente e accessibile l'opzione di consegna fisica del greggio. (da Il Sole 24 Ore)

Nuova zampata in Russia dell'Eni

(da "Il Mattino") Nuova zampata in Russia dell'Eni, che ieri (7 aprile) a Mosca ha siglato una serie di accordi con le principali società energetiche del Paese per collaborazioni anche all'estero e ha incassato un assegno da 4,2 miliardi di dollari (3,2 miliardi di euro) da Gazprom: il colosso russo del gas ha infatti esercitato alla fine dei due anni previsti la call option su Gazprom Neft, uno degli asset ex Yukos acquistati all'asta nell'aprile 2007. Le intese sono state firmate nell'ambito del forum italo-russo, che vede la più grande missione di sistema mai organizzata dall'Italia in Russia, con oltre mille imprenditori guidati dalla presidente di Confindustria Emma Marcegaglia: 40 di loro, il gotha dell'industria italiana, da Eni a Enel a Finmeccanica, sono stati ricevuti dal presidente Dmitri Medvedev al Cremlino. Negli ultimi tempi sembrava che Gazprom potesse rinunciare a Gazprom Neft, anche a causa della crisi mondiale e dei conseguenti problemi di liquidità, per di più in un momento svantaggioso essendo le azioni cadute ben sotto il prezzo dell'opzione. Ma, secondo fonti di stampa russe, il premier Vladimir Putin sarebbe intervenuto per realizzare l'operazione, che sarà finanziata attraverso prestiti da parte di banche statali. Eni ha inoltre firmato una serie di accordi di collaborazione in Russia e all'estero con le principali società energetiche russe (Inter Rao Ues, Rosneft, Transneft e Stroitransgas) con le quali avvierà un ampio programma di cooperazione strategica in vari ambiti. In particolare, Eni ha siglato con Rosneft un protocollo di collaborazione nei settori upstream e della raffinazione, anche in Paesi stranieri. Questi accordi, hanno sottolineato Putin e Scaroni, consolideranno ulteriormente le relazioni tra i due Paesi e rafforzeranno significativamente la sicurezza degli approvvigionamenti di gas in Italia e in Europa. «Continuiamo a essere il loro partner favorito», ha aggiunto l'amministratore delegato di Eni. Ma alcune delle operazioni ventilate nei giorni scorsi sono state rinviate a fine aprile, per definire meglio i negoziati e suggellarli con un bilaterale tra il premier italiano Silvio Berlusconi e il suo collega Putin. Si tratta del potenziamento del gasdotto South Stream e dell'acquisto da parte di Gazprom, tramite un'altra call option, del 51% di Severenergia, il consorzio di Eni ed Enel che detiene gli asset ex Yukos e nel quale le due società italiane dimezzerebbero le quote, passando rispettivamente al 30% e al 20%. «Firmeremo entro aprile. L'occasione sarà la prossima bilaterale dei presidenti del Consiglio italiano e russo», ha assicurato l'amministratore delegato dell’Enel Fulvio Conti. Anche l'ad di Eni Scaroni ha rinviato alla stessa bilaterale l'accordo sul rafforzamento della capacità del South Stream, che richiede la garanzia di una maggiore offerta di gas russo, come ha sottolineato il ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola. «Abbiamo firmato le questioni di carattere più commerciale; quelle di rilevanza più strategica ci è sembrato più opportuno siano trattate in un incontro fra Berlusconi e Putin», ha spiegato Scaroni. Il mosaico energetico è ampio e ci sono altre tessere da sistemare, come l'ingresso di Gazprom nella società che gestirà il giacimento di petrolio libico Elephant, dove Eni ha una partecipazione rilevante.

mercoledì 8 aprile 2009

E il petrolio viaggia con il made in Italy

È una scommessa iniziata nel 2005. Un progetto ambizioso: fare concorrenza ai russi a casa loro trasportando prodotti petroliferi sul Volga, Don fino al Mar Caspio e Mar Nero. Quattro anni dopo, Federica Barbaro, amministratore delegato del gruppo armatoriale Barbaro, può dichiarare vinta la scommessa: il gruppo siciliano ha conquistato la seconda posizione per quote di mercato in Russia e, con 30 dipendenti e 150 marittimi, la base operativa di Samara rappresenta uno dei principali investimenti italiani nelle ex Repubbliche sovietiche. In Russia serve il colosso Tnk-Bp, ma ha clienti in Turkmenistan, Ucraina, Kazakhstan, fino all’Iran. «Abbiamo investito 150 milioni di dollari nel progetto. Abbiamo 4 navi in costruzione in Russia, 4 in Cina e 2 in Corea — racconta la Barbaro, ottava generazione di armatori e dal 2001 amministratore delegato del gruppo di famiglia —. Si tratta di chiatte fluviali, rimorchiatori e navi fluvio-marittime per trasporto di prodotti petroliferi e olii vegetali 'classe ghiaccio'». A Mosca, nel corso della missione Italia-Russia, la Barbaro ha annunciato un nuovo investimento da 80 milioni di euro, finanziato da Intesa Sanpaolo, e la firma di due ordini per nuovi rimorchiatori. «Si tratta di una nicchia di business — precisa l’amministratore delegato del gruppo, a cui fa capo una flotta di 30 navi, e 160 milioni di dollari di fatturato l’anno —.Ma in tempi di crisi garantisce buoni margini e in cui continuiamo a investire. Oggi realizziamo qui il 20% del fatturato ma contiamo di portare la quo ta al 35%». ( da Il Corriere della Sera)

ENI E GAZPROM, ACCORDO DA 4,2 MILIARDI

Eni e Gazprom hanno firmato oggi a Mosca un accordo per la cessione del 20% di Gazpromneft da Eni a Gazprom. Ad annunciarlo e' stato l'ad di Eni, Paolo Scaroni, che ha precisato: "Gazprom ha esercitato l'opzione e ci paghera' 4,2 miliardi di dollari che e' esattamente il prezzo da noi pagato piu' gli interessi". Il top manager ha aggiunto che oggi sono stati firmati "gli accordi piu' commerciali, quelli piu' strategici saranno siglati tra due-tre settimane". Si tratta di "importanti accordi che rappresentano un ulteriore passo in avanti della cooperazione strategica in campo energetico tra Italia e Federazione Russa", spiega la nota, precisando che in particolare "le parti svilupperanno progetti congiunti in Russia e fuori dalla Russia, sulla base del principio di reciprocita', in linea con la nuova politica energetica russa". Piu' nel dettaglio, "Eni inoltre ha firmato sotto il patrocinio del governo russo una serie di accordi di collaborazione in Russia e all'estero con le principali societa' energetiche russe (Inter Rao UES, Rosneft, Transneft e Stroytransgas) con le quali avviera' un ampio programma di cooperazione strategica che riguardera' vari ambiti del settore energetico". In particolare, Enipower e Inter Rao UES hanno firmato un accordo per analizzare progetti congiunti in Russia e paesi terzi. Eni ha inoltre firmato con Rosneft un protocollo di collaborazione nei settori upstream e della raffinazione, sempre in Russia e all'estero. Questi accordi, si legge sempre nella nota, "consolideranno ulteriormente le relazioni tra i due Paesi e rafforzeranno significativamente lasicurezza degli approvvigionamenti di gas in Italia e in Europa". Scaroni, nel corso dellaconferenza stampa nell'ambito del vertice Italia-Russia, ha precisato che oggi sono stati firmati "gli accordi piu' commerciali, quelli piu' strategici saranno siglati tra due-tre settimane quando ci sara' incontro tra Berlusconi e Putin". L'ad di Eni ha aggiunto che il Cane a sei zampe ha iniziato ad ampliare i rapporti con le altre aziende del settore energetico russo. Secondo Scaroni i memorandum sottoscritti dall'azienda eneregtica italiana "prevedono la possibilita' di collaborazione in Russia e fuori della Russia". Marco Alvera',responsabile per la Russia della divisione E&p di Eni, intervendo all'incontro con i giornalisti ha affermato che con Rosneft, l'equivalente di Gazprom nel petrolio, vi sono accordi per "cooperazione nei settori upstream e downstream". Il memorandum con Trasnfet riguarda la "creazione di gruppi di lavoro per possibilita' di collaborazione tra le due aziende". Per il settore elettrico due memorandum con InterRao danno il via a gruppi di lavoro su comuni in Russia e paesi terzi. (Agi)

martedì 7 aprile 2009

La denuncia delle imprese: la bolletta elettrica non cala

Ancora in caduta i consumi elettrici: Terna ha rilevato che in marzo la domanda è scesa del 7% (-8% in febbraio). Non scendono invece i prezzi della corrente industriale: moltissime imprese sono vincolate a contratti a lungo termine e a tariffa bloccata, stipulati quando il petrolio era al massimo. I prezzi industriali secondo l'Istat sono invece scesi dello 0,6% mensile e del 2,8% rispetto a febbraio 2008. (Da Il Sole 24 Ore)

Gazprom: «Gas, il patto tra Ue e Kiev è un errore»

L'idea di un consorzio di compagnie energetiche occidentali coinvolte nel transito del gas russo attraverso l'Ucraina, emersa nei giorni della crisi di gennaio, torna alla ribalta. Ne aveva parlato nei giorni scorsi Paolo Scaroni, amministratore delegato dell'Eni. Ieri Gazprom, infuriata all'idea che Ucraina e Unione Europea abbiano firmato un'intesa per rinnovare il sistema di trasporto senza consultarsi con chi il gas lo fornisce, ha annunciato la costituzione di un gruppo di lavoro con i maggiori clienti europei per analizzare periodicamente i «rischi crescenti» del passaggio attraverso il territorio ucraino. L'amministratore delegato Aleksej Miller ha spiegato di avere l'appoggio dei dirigenti di Eni, Gaz de France e E.On, incontrati a Mosca giovedì. «Firmare una dichiarazione dietro le spalle della Russia è stato un errore politico- ha detto loro Miller- e realizzarla senza la partecipazione di un fornitore (e dei principali attori del mercato europeo) è impossibile ». E ieri l'ira del primo ministro Vladimir Putin si è rivolta anche contro l'Unione Europea: ha minacciato di «diversificare » le proprie forniture di gas rivolgendosi all'Asia. (Da Il sole 24 Ore)

domenica 5 aprile 2009

Le riserve di petrolio hanno registrato un aumento di 2,8 milioni di barili

L'ultima settimana di contrattazioni ha avuto un andamento piuttosto contrastato, con l'E-Mini Crude Oil future che ha sostanzialmente seguito l'andamento dei listini azionari, pagando una violenta correzione iniziale, per poi trovare un importante riscatto nella seconda parte dell'ottava. Le rinnovate preoccupazioni sulla solidità delle principali economie mondiali e i conseguenti effetti di una recessione, che non potrà essere smaltita in tempi brevi e che imporrà quindi una duratura contrazione della domanda, si sono tradotte nella violenta caduta di lunedì 30 marzo, quando il derivato ha ceduto la soglia psicologica a 50 dollari, lasciando sul terreno oltre l'8%. Il timido rimbalzo della giornata successiva si è poi arrestato proprio a quota 50, mentre mercoledì è arrivata una nuova spinta ribassista dai dati sulle scorte Usa, che hanno imposto un'ulteriore correzione fino a 47,25 dollari (minimo settimanale). Secondo quanto riportato dal dipartimento dell'energia degli Stati Uniti, le riserve di greggio hanno infatti registrato un aumento di 2,8 milioni di barili, decisamente superiore alle attese. In rialzo anche le scorte di benzina (+2,2 milioni) e di distillati (+0,3 milioni). A pesare sul prezzo del greggio sono state anche le sorprendenti dichiarazioni di Abdullah al-Attiyah, ministro dell'Energia del Qatar, secondo cui l'attuale quotazione attorno ai 50 dollari sarebbe «ragionevole»: dopo aver più volte auspicato un ritorno verso quota 70, sembrano quindi arrivare nuovi segnali distensivi da parte dell'Opec, che aveva già chiuso la sua ultima riunione sconfessando le previsioni di un nuovo taglio della produzione.Nella seconda parte dell'ottava la dinamica dei prezzi ha peraltro registrato una secca inversione positiva, con il principale future quotato sul Nymex che si è rilanciato fino a ridosso di quota 54, cavalcando la reazione euforica dei mercati azionari alle decisioni prese nel corso del G20 di Londra: gli ingenti fondi stanziati per il rilancio dell'economia potrebbero infatti favorire anche una ripresa della domanda di materie prime. Graficamente, il recupero di 50 dollari ha ripristinato un quadro tecnico sostanzialmente analogo a quello della settimana precedente, con il derivato che potrà provare ad allungare verso quota 56 prima ed eventualmente fino a ridosso di 60 dollari. Al ribasso, i minimi delle ultime sedute in area 47,50-47,25 potranno invece affiancarsi alla soglia psicologica dei 50 dollari, come base d'appoggio di un'eventuale nuova correzione. (Da Milano Finanza)

Campagna di Russia per il Made in Italy

I fuochi artificiali si vedranno tra lunedì 6 e giovedì 9 aprile. Ma le polveri sono già state preparate. La missione italiana d’aprile in Russia, guidata dal ministero per lo Sviluppo economico assieme a Ice e Confindustria, porterà a Mosca, San Pietroburgo, Ekaterinburg, Krasnodar e Novosibirsk circa 500 aziende. Di queste, una trentina sono quotate a Piazza Affari. Si va dalla meccanica (Carraro, Biesse, Brembo, Prima Industrie) alle infrastrutture (Buzzi, Maire Tecnimont, Trevi, Telecom e Prysmian, che ha annunciato venerdì 3 aprile una commessa da 20 milioni a San Pietroburgo), dalle banche (Mps, Banco Popolare, Mediobanca, Intesa Sanpaolo, Unicredit) fino all’alimentare (Cremonini, La Doria). Si attendono annunci significativi: per esempio, si parla di un accordo in arrivo per Maire Tecnimont. Soprattutto, però, il viaggio a Mosca dovrebbe rivelarsi cruciale per le tre grandi partecipate del Tesoro: Finmeccanica (vedere articolo a pagina 21) e le «cugine» Eni ed Enel. Queste hanno un tavolo comune di negoziato con Gazprom. Dal quale potranno uscire indicazioni chiave sul futuro delle due società in terra di Russia e non solo. Al punto che l’ad di Eni, Paolo Scaroni, già giovedì 2 aprile era a Mosca per parlare con il presidente di Gazprom Alexey Miller. Per preparare le polveri, appunto. AFFARE GAZPROM. Il negoziato con il colosso russo del gas è determinante per Eni dal punto di vista finanziario. Gazprom ha in mano una call che risale a due anni fa (coincidenza, al 4 aprile 2007), quando l'Eni guidata da Paolo Scaroni ed Enel pagarono 5,8 miliardi di dollari per l’asta degli asset petroliferi della fallita Yukos. Nel pacchetto c’era anche il 20% della ex-Sibneft (oggi Gazpromneft) che la sola Eni si impegnò a rilevare in una sorta di portage per Gazprom. Cui, appunto, l’avrebbe rigirato due anni più tardi (dunque, oggi) per un valore di 3,7 miliardi oltre ai costi dell’operazione. Scaroni, nel corso della presentazione del bilancio a Londra a metà febbraio, aveva parlato di un valore di 4,3 miliardi di dollari, per un rendimento del 9% annuo. Un bel pacchetto di denaro, già previsto nei budget del Cane a sei zampe. Tanto che la prospettiva di una rinuncia (o un rinvio al 2012) dell’esercizio della call da parte dei russi aveva messo in allarme il listino sul rischio che Eni potesse trovarsi a corto di liquidità e dovesse in qualche modo ricorrere al mercato. Lo stesso Scaroni aveva parlato chiaro: «Se Gazprom non esercita l’opzione, Eni diventa d’emblée una società diversa, con un balzo immediato del 10% dell’output, ma con la necessità di rivedere il proprio piano strategico, a cominciare dalle acquisizioni». I presupposti per un dietrofront dei russi c’erano, alla luce della crisi finanziaria del Paese. Per giunta, oggi il 20% di Gazpromneft vale in Borsa circa 2 miliardi di dollari, dunque assai meno dello strike price della call. (Da Borsa & Finanza)

venerdì 3 aprile 2009

Energia da fonti rinnovabili: la spinta di Profumo e Scaroni

Alessandro Profumo e Paolo Scaroni danno una spinta all’energia solare. Enipower e UniCredit hanno allargato una precedente intesa per sostenere lo sviluppo delle fonti rinnovabili. Doppia la convenienza per le piccole imprese: economica e ambientale. Per questo, sottolineano i due protagonisti dell’accordo, l’intesa prosegue e cresce, offrendo alle aziende soluzioni integrate «chiavi in mano».Grazie alla partnership tra Enipower e UniCredit (avviata Paolo Scaroni, ad Eni nel 2007 e oggi estesa a Uni- Credit Banca, UniCredit Banca di Roma e Banco di Sicilia), le piccole imprese possono installare impianti fotovoltaici senza preoccuparsi di dover affrontare alcun anticipo in corso d’opera nei confronti di Enipower, la quale riceverà il pagamento dell’impianto soltanto a partire dalla stipula della convenzione con il Gse (Gestore servizi elettrici), fase che segue la messa in esercizio dell’impianto, consentendo così all’impresa di ottenere sin da subito risparmi sui consumi energetici e di beneficiare nel contempo dei contributi pubblici previsti dall’attuale normativa. L’offerta è relativa a impianti dai 10 ai 100 kilowatt.Enipower, in particolare, fornirà la progettazione, l’installazione e la posa in opera dell’impianto, assistendo le imprese anche nell’espletamento delle pratiche necessarie per ottenere i contributi pubblici. Parallelamente, Uni- Credit, con l’obiettivo di sostenere sotto il profilo finanziario le aziende che scelgono l’energia fotovoltaica, offrirà soluzioni finanziarie dedicate, che ampliano la durata dei finanziamenti e che consentono di coprire fino al 100% dell’investimento per la realizzazione dell’impianto, compresa la copertura assicurativa. (dal Corriere della Sera)
L'amministratore delegato di Eni, Paolo Scaroni, e il presidente di Gazprom, Alexey Miller, si sono incontrati ieri nella sede centrale del gruppo russo, a Mosca. Durante l'incontro le parti hanno discusso l'andamento dell'accordo strategico di cooperazione firmato nel novembre 2006 e la successiva implementazione dei progetti congiunti. In quest'ottica, Scaroni e Miller hanno fatto il punto sulla realizzazione della fase di pre-investimento relativa al progetto del gasdotto South Stream, data la rilevanza strategica dell'infrastruttura ai fini della sicurezza degli approvvigionamenti diretti di gas verso l'Europa. Nei giorni scorsi inoltre sono circolate le indiscrezioni sull'intenzione di Gazprom di esercitare l'opzione call sul 20% di Gazprom Neft e il 51% di Severenergia attualmente in mano all'Eni. Il valore degli asset, oggetto di negoziato tra le due società, è stimato in circa 5,5 miliardi di dollari. L'annuncio dell'accordo dovrebbe arrivare il 6-7 aprile in occasione della visita a Mosca del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, e della missione di Confindustria. (Dal Sole 24 Ore)

giovedì 2 aprile 2009

L'Eni: via i limiti all'import di gas

Il gruppo Eni chiede al Parlamento di liberarlo dopo il 2010 dal vincolo di legge che limita la sua quota di import di gas sul totale italiano. Il tetto (in via di graduale abbassamento fino al minimo del 61% nel 2010) è stato disposto nel 2000 da un decreto Letta, assieme a un limite del 50% sulle vendite ai consumatori finali (anche questo progressivo) per sviluppare la concorrenza. Si discute se prorogarlo oltre il 2010. «Non capisco il senso di un rinnovo dei tetti antitrust» ha detto ieri l’amministratore delegato Paolo Scaroni alla commissione Industria del Senato. «L’Italia ha visto crescere più di qualsiasi altro Paese europeo gli operatori nel campo del gas. Noi come Eni siamo scesi al 64% di mercato, contro l’84% di Ruhrgas in Germania e l’89% di Gdf in Francia. Da nessuna parte in Europa si applicano limiti se non in Spagna ma in maniera meno stringente. L’idea di prolungare i tetti in Italia risponde a una logica del passato».Secondo Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia, la liberalizzazione avviata nel 2000 ha avuto un successo solo parziale. «Un po’ di competizione l’ha portata - dice al telefono - ma i competitori sono stati deludenti quanto a concorrenza sui prezzi». Fra l’altro, il grande investitore nell’import resta soprattutto il «campione nazionale» Eni. Per Tabarelli bisogna valutare se sia prioritario, per il consumatore italiano, avere più investimenti e disponibilità di gas, oppure più operatori che comunque «non è che si facciano una gran concorrenza».Il presidente dell’Antitrust, Antonio Catricalà, ha detto mesi fa che il limite all’import potrà essere rivisto se i nuovi rigassificatori amplieranno l’offerta italiana di gas cambiando in maniera significativa la base di riferimento. Quanto al presidente dell’Authority dell’energia, Alessandro Ortis, di recente ha dichiarato che «il controllo che l’Eni esercita sulle infrastrutture d’importazione continua a porre forti condizionamenti sull’intera filiera del metano. Il quadro attuale non differisce in modo sostanziale da quello che ha originato la necessità di imporre il tetto all’import». (Da La Stampa)

Energia, Scaroni: per le aziende risparmi del 30%

Pronti a regalare ai cittadini e alle imprese italiane nuovi e sostanziosi sconti sull'energia, sfruttando ogni margine consentito dal calo delle quotazioni internazionali di petrolio e gas. Paolo Scaroni, numero uno dell'Eni, quantifica i ribassi dell'anno in corso addirittura nel 30% per il sistema delle imprese e in 1.200 euro l'anno in media per le famiglie: «più o meno l'equivalente di una quattordicesima ». Teatro degli annunci è la commissione Industria del Senato, in un'audizione sulla dinamica dei prezzi petroliferi. E il numero uno dell'Eni ne approfitta per ribadire tutta la sua contrarietà al progetto tanto caro all'Authority per l'energia, e sostenuto dalle principali associazioni dei consumatori, di prolungare i tetti antitrust imposti all'Eni fino al 2010 per l'importazione e la vendita di gas sul mercato italiano.Eni pronto a trasferire tutti i vantaggi della sua espansione internazionale ai nostri consumatori, insiste in sostanza Scaroni. Che chiede sostegno e non "penalizzazioni". Il prolungamento dei tetti antitrust è dunque «anacronistico, vista la situazione attuale ». Tanto più che la quota Eni sul mercato italiano del gas «è la più bassa rispetto agli altri competitor europei: in Italia è pari al 64% rispetto all'84% di Gaz de France». E intanto «i nostri prezzi del gas sono assolutamente allo stesso livello degli altri ». Guai dunque a introdurre vincoli «che gli altri non prevedono » e che sarebbero «in contraddizione con la sicurezza degli approvvigionamenti».L'audizione al Senato è servita anche a fare il punto sull'espansione internazionale del nostro gruppo energetico. Per i diritti di sfruttamento del giacimento irakeno di Nassirya «oggi o domani presenteremo l'offerta da soli» ha detto Scaroni, che però non esclude di coinvolgere successivamente altri operatori. La risposta dagli irakeni alle offerte? «Non prima di una ventina di giorni».Intanto si conferma un vero tormento la partecipazione Eni ai consorzi per lo sfruttamento delle risorse energetiche del Caspio. Nei ripetuti punzecchiamenti del governo kazako sugli aspetti economici di queste operazioni da registrare la pretesa, formalizzata ieri, di un rimborso fiscale da 66 milioni di dollari a carico della filiale locale dell'Agip.«Tutto nasce dalle modalità con le quali abbiamo pagato le tasse di importazione di due elicotteri al servizio delle nostre attività di estrazione. Ma chiariremo tutto » spiegano all'Eni. (Dal Sole 24 Ore)

mercoledì 1 aprile 2009

Bollette più leggere per elettricità e gas

Ancora in calo le bollette di elettricità e gas. Dopo le riduzioni di inizio anno, dal primo aprile l'Autorità per l'energia ha stabilito una nuova diminuzione delle condizioni economiche di riferimento: -2% per l'energia elettrica e -7,5% per il gas. (Da Il Tempo)

Eni, a San Donato via libera al nido aziendale

FIRMATA la convenzione per l'asilo aziendale. L'Eni di Paolo Scaroni e il Comune sono uniti nel megaprogetto che vedrà la realizzazione del nido insieme alla materna e al centro diagnostico. Il consiglio comunale, nonostante le polemiche divampate negli ultimi giorni, ha approvato l'accordo che porterà alla creazione di altri 120 posti per i figli dei dipendenti. «Il progetto - dichiara il sindaco Mario Dompè - sposa la nostra politica rivolta al sostegno delle famiglie. Allargheremo l'offerta dei servizi per l'infanzia presenti sul territorio comunale, alleggerendo il numero di richieste per le nostre strutture e integrandone la capacità d'accoglienza». Il progetto avrà ricadute positive anche sulla sanità cittadina. Le nuove strutture verranno ospitate nel complesso ambulatoriale di via Sanguinetti che verrà riqualificato e dotato delle migliori tecnologie. Questa operazione comporterà lo spostamento delle attività sanitarie dell'Eni e dell'Azienda ospedaliera di Melegnano in viale De Gasperi nel fabbricato ex Fisiochinesiterapia che sarà a sua volta oggetto di riqualificazione. L'offerta sarà ulteriormente rafforzata. Si arricchirà di un centro diagnostico all'avanguardia gestito dalla Fondazione San Raffaele. (DaL Giorno)

martedì 31 marzo 2009

Gas giù del 7%, elettricità meno cara del 2%

Luce e gas costeranno di meno a partire dal primo aprile. Il risparmio annuo complessivo per una famiglia tipo sarà di 92 euro. L'Autorità per l'energia ieri ha annunciato l'ennesima diminuzione delle tariffe per le famiglie e le imprese che non abbiano optato per un nuovo fornitore con tariffe prestabilite.«Ciò significa - ha commentato il ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola - che si stanno riaprendo margini significativi per l'investimento e il consumo, elementi importantissimi per arginare la crisi». Ma i ritocchi, legati al minor prezzo del carburante, non convincono le associazioni dei consumatori che reclamano ribassi più consistenti.Per l'energia elettrica la diminuzione per la fornitura tipica sarà del 2% con una spesa annuale inferiore di circa 9,4 euro. Un calo minimo, tuttavia, come ha spiegato il presidente dell'Authority, Alessandro Ortis, nel precedente aggiornamento, a gennaio, c'era già stato un ribasso del 5,1%.Quanto al gas, la riduzione del prezzo sarà pari al 7,5%, per un minor esborso annuale di 83 euro. Il ritardo nell'adeguamento del prezzo del gas, rispetto all'elettricità, sarebbe collegato al diverso meccanismo di formazione delle relative tariffe che si basano sull'andamento delle quotazioni dei prodotti petroliferi nei 9 mesi precedenti.A questo si aggiunga che l'attuale aggiornamento trimestrale del gas è risultato «leggermente attenuato» dall'incremento dei costi relativi ai servizi di stoccaggio (+6,1%) e trasporto (+5,1%) che insieme pesano per il 6,3% sul prezzo finale.Continua il sensibile calo del Gpl (gas di petrolio liquefatto) per il quale il calo sarà pari al 5% per una minor spesa di 35 euro su base annua.A giugno per le famiglie meno abbienti sarà operativo un buono sconto retroattivo all'inizio del 2009, come quello già operante per l'elettricità e pari al 20% della bolletta (sul netto dalle tasse), retroattivo a tutto il 2008 per chi presenti domanda al Comune entro il 30 aprile prossimo.I ribassi non convincono del tutto le associazioni dei consumatori: per Adoc l'aggiornamento tariffario «è una buona notizia ma i ribassi sono contenuti essendoci ancora un ampio margine di manovra per ridurre ulteriormente i prezzi di almeno il 30%». «Il calo delle bollette non riflette le aspettative dei centri di ricerca che avevano stimato diminuzioni più consistenti e pari al 7% per la luce » evidenziano Adusbef e Federconsumatori. Anche per il Codacons «si poteva fare di più» soprattutto sul fronte del ribasso dei carburanti, i cui prezzi «restano immotivatamente elevati a tutto danno dei consumatori italiani ». (Dal Corriere della Sera)

Toscana Energia, dal gas al fotovoltaico

Una controllata gestirà le energie rinnovabili, trattativa per cedere i clienti all´Eni di Paolo Scaroni (da Repubblica)

TOSCANA ENERGIA - che nel 2008 è al top tra le partecipate del Comune di Firenze per volume di utili (11,9 milioni, +25,2%) e che quindi porterà circa 2,2 milioni nelle casse di Palazzo Vecchio - punta a svilupparsi nel campo delle energie rinnovabili e dei servizi, ad uscire dal settore della gestione clienti e guarda alla quotazione in Borsa. Non più solo gestione delle rete del gas, dunque, per la società nata tre anni fa dal matrimonio tra una novantina di Comuni fiorentini, pisani e pistoiesi da una parte e Italgas di Eni dall´altra: 438 dipendenti, 655.000 misuratori e 1.043,5 milioni metri cubi di volume di gas vettoriato, nel 2008 fatturato a 78,4 milioni (+10,9%) e investimenti a 34 milioni (+16%). Toscana Energia conta di sviluppare i nuovi servizi mediante un´apposita società controllata, la pisana Toscana Servizi che è stata acquistata a fine anno, che avrà presto un nuovo nome e si occuperà di impianti fotovoltaici, illuminazione, teleriscaldamento, gestione calore, cogenerazione. «Siamo interessati - spiega il presidente di Toscana Energia Lorenzo Becattini - a realizzare e gestire impianti fotovoltaici per la produzione di energia elettrica purché abbiano una dimensione industriale». Per far crescere la nuova società, Toscana Energia conta di alimentarne il capitale sociale attraverso quanto ricaverà dall´uscita da Toscana Energia clienti, controllata all´80% da Eni. Becattini spera che la trattativa si concluda in tempi brevi. «La gestione della clientela può avvenire in modo più efficace su scala nazionale - dice - per questo contiamo che Eni acquisti la nostra quota della società in cambio di oltre una decina di milioni di euro. Nella nuova società assumeremo un cinquantina di persone». La Borsa? Becattini non chiude: «Se ne potrà parlare concretamente dopo il 2010-2011 se usciremo dalle gare per il rinnovo delle concessioni con l´attuale zoccolo duro di 105 Comuni serviti per altri 12 anni».

lunedì 30 marzo 2009

La resa di Bruxelles: sull’energia liberi tutti

Dopo gli accordi notturni sulle reti dell’energia, che aspettano di essere ratificati dal Parlamento europeo, finisce definitivamente in soffitta l’idea originaria della Commissione di Bruxelles. Quella pro mercato di una separazione piena (cioè proprietaria) tra gasdotti e linee elettriche da una parte, e produttori di gas ed elettricità dall’altra. Anzi, concedendo a tutti gli Stati membri la possibilità di scegliere fra tre soluzioni — scorporo, sistema dell’Independent system operator (Iso) o dell’Independent trasmission operator (Ito) — si avalla in sostanza un principio, che suona più o meno così: «Ognuno faccia come meglio crede». Il rischio che i mercati dei 27 diventino un bel guazzabuglio è reale, e gli ostacoli attuali rimarranno. Ma non solo. Perché se è vero che l’organizzazione di un mercato è cosa diversa dalle politiche antitrust, come essere certi che il «liberi tutti» non si traduca anche in un ridimensionamento della politica europea della concorrenza, che spesso ha tagliato le unghie ai grandi produttori continentali (Edf, E.On, Rwe e di recente Eni) in difesa dei consumatori? (Da Corriere.it)

Petrolchimica, l'Eni sospende le forniture a Ineos

Difficile pensare con quale faccia, e soprattutto con quali intenzioni, l'Ineos e l'imprenditore veneto Fiorenzo Sartor torneranno domani al ministero dello Sviluppo economico a cui cono stati convocato da Claudio Scajola. Solo dieci giorni fa, dopo l'ennesima crisi nella snervante trattativa per la cessione del ciclo del cloro di Marghera, avevano firmato quello che doveva essere l'accordo finale, con impegni dettagliati di cifre da pagare, di tempi da rispettare. Ora si accusano a vicenda di avere fatto saltare il confronto per ragioni sicuramente ben poco chiare. Il sindaco di Venezia, Massimo Cacciari, ieri ha ripetuto che se dovesse saltare l'accordo «sarebbe il disastro per il settore chimico italiano perché il problema non riguarda solo Marghera ma un intero sistema produttivo strategico per il Paese ».«Il Governo farà riprendere la trattativa - si è detto certo il governatore del Veneto Giancarlo Galan - perché non è in ballo solo la sorte di 300 famiglie legate a questo impianto, ma molto di più».Ma sono reazioni politiche, basate sull'esile speranza che resta e sulle intenzioni che non possono non essere buone. La realtà è che invece a Marghera, di fatto, è in corso il processo di fermata degli impianti. L'Eni ha bloccato una nave di dicloroetano a Ravenna ed ha chiesto all'Ineos di chiudere i rubinetti di rifornimento dell'etilene.«Il perché è semplice - ha ribadito Alberto Alberti, amministratore delegato di Polimeri Europa, la fornitrice di etilene l'accordo siglato solo dieci giorni fa tra Ineos, Sartor e l'Eni di Paolo Scaroni è stato completamente disatteso e né Ineos né Sartor hanno provveduto a effettuare i pagamenti previsti e concordati. Oltretutto la legge vieta espressamente di continuare a rifornire una società in presenza di una manifesta insolvenza. L'Eni non aveva altre scelte».Lo scenario più nero è facilmente raccontabile: 300 lavoratori lasciati a casa da una Ineos che porta i libri in tribunale, altri 314 messi in libertà da Syndial perché salta la sinergia produttiva per il cloro, e poi a caduta blocco del cracking gestito da Polimeri Europa con 400 dipendenti ed inattività forzata anche per Spm, Arkema e Solvay che assieme hanno poco meno di 400 occupati. Questo solo a Marghera, poi i riflessi partirebbero da Porto Torres per estendersi a Ravenna, Mantova, Ferrara.Domani la giornata più lunga della chimica veneziana comincerà alle 8 con la convocazione dei lavoratori da parte del sindacato nello storico capannone del Petrolchimico. Ineos riunirà il Cda per i "provvedimenti del caso" ma dovrà anche presentarsi a Roma con Sartor. Se è stato solo un bluff,l'ennesimo,non basterà una tirata d'orecchi, ma se l'accordo salta veramente il Governo si troverà un problema in più, gravissimo, da risolvere con urgenza in un momento tutt'altro che facile. (Dal Sole 24 Ore)

venerdì 27 marzo 2009

Gli scienziati al G-8: inversione di rotta nell'uso dell'energia

Tra il 2030 e il 2050 dovremo realizzare una vera inversione di rotta nell'uso dell'energia. Le rinnovabili dovranno avere la supremazia o quasi. Il nucleare dovrà rinascere senza scorie, con i detriti impiegati come nuovo carburante. Petrolio, carbone e gas dovranno sorreggere progressivamente questa riconversione accompagnando una corsa parallela all'efficienza energetica. Lo scenario, per quanto azzardato possa sembrare, viene dai migliori scienziati del pianeta riuniti a Roma per il "G8 della scienza" organizzato dall'Accademia dei Lincei e sponsorizzato da Edison (si veda Il Sole 24 Ore del 25 marzo) che dovrà suggerire ai politici del prossimo G8 le strategia da adottare su due versanti solo apparentemente distinti: l'energia, appunto, e i flussi migratori.Verso fine secolo con l'energia " pulita"? Sfida obbligata, ammoniscono gli scienziati. Perché se la macchina della ricerca non accelererà, la negligenza nel combattere il riscaldamento globale da CO2 avvierà il pianeta ad una fine irreversibile.Un grande monito dalla due giorni i corso a Roma. Ma anche un invito a vedere, in tutto ciò, i lati positivi. «L'impulso alla ricerca sulle nuove tecnologie energetiche può essere un fattore chiave per un nuovo sviluppo economico, sia per i paesi industrializzati sia per quelli emergenti» si leggerà nel documento finale già abbozzato dagli scienziati. Che lanciano i loro suggerimenti senza troppa paura di disturbare i politici e i loro opportunismi.Ecco ad esempio Guy Laval, dell'Accademia francese delle scienze. Le scorie nucleari sono oggi un problema risolvibile? No, dice senza mezzi termini lo scienziato del paese che più usa l'atomo elettrico. Le scorie, insieme ai pesantissimi investimenti necessari, rappresentano oggi i veri nodi del nucleare, insiste in una relazione anche il collega d'Accademia Jean Salencon. Ma ecco la soluzione: «il nucleare di quarta generazione potrà usarle queste scorie come nuovo combustibile. Teniamole lì, per ora rassegnamoci, e intanto acceleriamo al ricerca sulla nuova tecnologia che risolverà il problema» dice Laval. Il segnale, un po' imbarazzante,è duplice. Da una parte la meta della quarta generazione, magari tra qualche decennio, è raggiungibile. Dall'altra qualcuno potrebbe essere tentato di incrementare i depositi delle attuali scorie proprio in previsione di rivendersele un domani come carburante.Non meno laico è Lu Yongxiang, dell'Accademia delle scienze cinese. Proprio lui, che rappresenta il paese più ingordo di nuovo petrolio e di nuove centrali a carbone, traccia l'obbligo e l'opportunità di contenere il più possibile il ricorso ai combustibili fossili per sviluppare le rinnovabili, specie il solare termico e fotovoltaico. «In Cina abbiamo le condizioni migliori del pianeta» azzarda. E azzarda ancor di più quando disegna il nucleare del futuro: «grandi centrali assolutamente pulite ma anche microreattori a bordo delle auto e dei satelliti».

L'Italia teme le scalate di Gazprom

Fino a oggi era stato solo evocato da alcuni dossier dei servizi segreti e dal presidente della Consob, Lamberto Cardia. Ma la paura che i valori di borsa possano scatenare appetiti pericolosi è stata messa ieri nero su bianco in una sentenza importante. La Corte di Giustizia europea ha infatti condannato in via definitiva l'Italia per aver violato i principi sulla libertà di stabilimento e di circolazione di capitali dettati dagli articoli 43 e 56 del Trattato Ue con la legge del 2004 sulla golden share. E nella memoria depositata dall'Avvocatura dello Stato (avvocato Paolo Gentili), tra i motivi che hanno spinto l'allora governo Berlusconi a varare la misura anti-scalate nelle società più importanti di interesse nazionale (Eni, Enel, Telecom Italia e Finmeccanica), si fa proprio esplicito riferimento al rischio di scalate ostili. Il caso è riportato per l'esattezza al punto 49 della sentenza della Corte (terza sezione, presidente A.Rosas) con cui si è data ragione alla Commissione europea. «Nelle sue memorie», si legge nel testo della sentenza appena depositato, «la Repubblica Italiana non ha prodotto alcuna prova e neppure alcun indizio che l'applicazione dei criteri controversi per l'esercizio dei poteri di opposizione permetta di conseguire gli obiettivi perseguiti. Durante l'udienza», proseguono i giudici, «lo Stato membro (l'Italia, ndr) ha menzionato l'eventualità che un operatore straniero legato a un'organizzazione terroristica tenti di acquisire rilevanti partecipazioni in società nazionali in un'area strategica». E il pensiero va ai fondi sovrani, più volte evocato da Silvio Berlusconi. C'è di più. Sempre l'Italia ha sostenuto davanti alle toghe europee che esiste anche la «possibilità che una società straniera che controlli reti internazionali di trasmissione di energia (si pensi a un gasdotto) e che, in passato, si sia avvalsa di detta posizione per creare gravi difficoltà di approvvigionamento a paesi limitrofi, acquisisca azioni in una società nazionale. Secondo tale Stato membro, la sussistenza di precedenti di tale natura», continua la Corte, «potrebbe giustificare un'opposizione all'acquisizione, da parte di questi investitori, di partecipazioni notevoli nelle società nazionali considerate». L'Italia non fa alcun nome, ma in questo caso il riferimento sembra evidente: Gazprom, il colosso russo del gas da cui dipende tutta Europa per l'approvvigionamento di oro azzurro, più volte ha creato seri problemi al fabbisogno europeo, anche italiano, non ultimo quando ha bloccato a fine 2008 le forniture all'Ucraina, mettendo a rischio anche quelle destinate ai clienti dell'Unione europea. Un cliente scomodo, con cui l'Eni di Paolo Scaroni è in solidi rapporti d'affari, ma che evidentemente non si vuole come socio nel capitale. Queste considerazioni non sono però bastate ai giudici che, pur riconoscendo i «motivi di pubblica sicurezza» addotti, hanno imputato all'Italia di non aver provato l'esistenza di «una minaccia effettiva e sufficientemente grave». Il Tesoro, a cui è stato però riconosciuto il «potere di veto» nei confronti dei paesi extra-Ue, e dunque la Russia, ora dovrà pagare le spese legali e decidere come rivedere la normativa sulla golden share.

giovedì 26 marzo 2009

La Russia cerca di liberarsi dal vizio del petrolio

Sainsbury’s ha appena dichiarato la sua crescita più forte in un decennio. Ciò non si direbbe proprio realizzabile da un supermercato esclusivo durante una grave recessione. Justin King, il direttore della terza catena di supermercati del Regno Unito, ha fatto un buon lavoro in parte correggendo gli errori del passato. Se continua a rimediare al più grande errore del precedente management - che si è sbagliato su come fissare i prezzi - Sainsbury’s potrebbe perfino fare meglio durante una fase di ripresa. I segnali sono buoni. Le vendite basilari, escludendo il carburante e togliendo il taglio di dicembre dell’Iva, sono aumentate del 7% nelle 11 settimane fino al 21 marzo. L’aumento dei prezzi degli alimentari ha contribuito ma anche il numero delle transazioni è aumentato del 3%. I negozianti hanno rinnovato le scorte di prodotti a buon mercato e di prodotti di marchio proprio, fortemente promossi. Nel settore retail, in genere l’aumento dei volumi determina minori margini di profitto. Ma i prodotti di marchio proprio hanno elevati margini e quindi questa crescita delle vendite dovrebbe essere abbastanza favorevole all’utile netto.Tuttora, le patate dolci di Sainsbury’s si vendono all’interessante prezzo di 0,70 sterline al sacchetto, ma le sue azioni non sembrano un affare. Sono scambiate a 15 volte gli utili previsti per il 2009, un 25% superiore al multiplo del dettagliante medio europeo di alimentari. Gli investitori, che hanno reagito con scarso entusiasmo alla relazione sulle vendite, potrebbero entusiasmarsi se la tesi di King che Sainsbury’s sta traendo profitto dalla recessione in altri modi si dimostrasse vera. Egli sostiene che le promozioni stanno facendo ritornare i negozianti che avevano piantato in asso Sainsbury’s negli anni Novanta quando gli scaffali erano quasi vuoti e i prezzi troppo alti. I risultati preliminari del mese di maggio forniranno un quadro più chiaro. Ma Sainsbury’s potrebbe perfino andare talmente bene da mettere in difficoltà Tesco, il leader della grande distribuzione nel Regno Unito. \Il mercato azionario è aumentato del 50% negli ultimi due mesi. La banca centrale sta vendendo la divisa per impedirne l’apprezzamento. Questa è la Russia di oggi e non sembra vero. Ma la combinazione di un aumento dei prezzi delle materie prime e di sane politiche fiscali sembra abbia portato un disgelo anticipato dell’economia russa. Ci vorrà un po’ di tempo ma sembra che i sostenitori delle politiche del libero mercato e di una severa disciplina fiscale l’abbiano spuntata all’interno del Cremlino. Questo non era garantito lo scorso novembre, quando il governo presentò un budget 2009 basato su un prezzo del petrolio di 95 dollari al barile - quando il prezzo era inferiore ai 60 dollari. In quel momento, il governo stava cercando di contrastare la crisi dando denaro agli oligarchi in difficoltà finanziarie. Vladimir Putin, il primo ministro, ordinò al governo di stilare un budget più credibile, basato sul prezzo del petrolio del momento, 41 dollari al barile. Pertanto, il governo dovette ammettere che l’economia avrebbe subito una contrazione nel 2009, che anni di eccedenze si sarebbero trasformati in anni di disavanzi di bilancio del 7% circa del Pil e che l’inflazione avrebbe continuato ad aumentare. Il rinsavimento ha aiutato il gruppo dei membri riformisti del Gabinetto, guidati dal vice primo ministro, Igor Shuvalov, e dal ministro delle Finanze, Alexei Kudrin, che avevano cercato d’imporre una visione realistica. Hanno ottenuto un budget severo riguardo alla spesa e ai sussidi e tenteranno di sfruttare l’opportunità per imporre più riforme. Per la corrente riformista, il bonus del budget, derivante da un prezzo del petrolio di 50 dollari, non è necessariamente gradito. Shuvalov si è spinto fino al punto di desiderare ancora alcuni anni di bassi prezzi delle materie prime per costringere l’economia russa ad adottare “un nuovo modello”. Che il Paese stia addirittura pensando di liberarsi dal vizio del petrolio è un segnale incoraggiante: questa grave crisi potrebbe finire per aiutare la causa delle riforme. (Da la Stampa)

Gazprom pronta a riacquistare gli asset Yukos da Eni e Enel

Gazprom bussa ad Eni ed Enel e va all´incasso di un´opzione che cominciava a far muffa. Per quasi due anni, infatti, le holding italiane hanno tenuto in naftalina dei vecchi «attivi» di Yukos, il colosso del gas e del petrolio smembrato dal Cremlino (messo in liquidazione giudiziaria in seguito alla condanna dell´oligarca Mikhail Khodorkovskij, l´azionista di maggioranza, a otto anni di penitenziario siberiano, nell´ambito di un processo dai connotati più politici che finanziari). Erano stati messi all´asta nel 2007 ed erano stati acquistati dagli italiani, dopo laboriosi accordi con le autorità russe, ed il tacito patto di rivenderle al monopolista russo, loro partner.Quel tempo è finalmente arrivato: quasi in zona Cesarini. L´opzione di Gazprom scadeva a metà aprile. Perché il colosso russo nicchiava? Perché i suoi dirigenti avevano espresso più volte i loro dubbi sull´opportunità di esercitare il diritto di opzione in piena crisi economica (come sottolineava ieri il quotidiano Vedomosti). A rompere gli indugi è stato lo stesso premier Putin, il grande nemico di Khodorkovskij, che ha anche probabilmente convinto alcune banche a mollare i cordoni delle loro borse e a tirar fuori i quattrini per i prestiti necessari.L´annuncio ufficiale dell´operazione sarà dato durante la visita di Silvio Berlusconi a Mosca il 6 e il 7 aprile, in occasione del Forum commerciale bilaterale (più di 800 le aziende italiane iscritte alla missione). Gazprom comprerà dagli italiani il 20 per cento di Gazpromneft per 4 miliardi di dollari e il 51 per cento di Severenergia per 1,5.In realtà, Putin e Berlusconi hanno discusso della questione un mese fa. Gli acquisti sarebbero stati definiti nei dettagli in questi trenta giorni, e soddisfarebbero ampiamente l´Eni e l´Enel che incasseranno preziosa liquidità. Il 20 per cento di Gazprom Neft fu comprato dall'Eni di Paolo Scaroni per 3,7 miliardi di dollari. Nel giugno del 2008 era salito sino a 7,7 miliardi di dollari. Oggi ne vale appena 2,2: ecco il perché delle esitazioni di Gazprom. I negoziati sono ora si sono spostati sul fronte bancario: Sberbank, Gazprombank e Rosselkhozbank accorderebbero al monopolista del gas 3,2 miliardi di euro (cioè 4,3 miliardi di dollari). L´onere più pesante se lo accollerebbe Sberbank, con 2 miliardi di Euro. (Da Repubblica)

mercoledì 25 marzo 2009

Eni, Bp e Shell sono interessate a Santos, terzo operatore nel settore del petrolio e del gas in Australia

Eni, Bp e Shell sono interessate a Santos, terzo operatore nel settore del petrolio e del gas australiano che, secondo un analista, potrebbe valere 7 miliardi di dollari. Da quanto emerge sul mercato, sembra invece meno probabile che si faccia avanti la cinese China National Petroleum. Santos è al centro di voci di Opa da quando è venuto meno un veto governativo alla presenza di soci stranieri. Il titolo del gruppo, che vanta un bilancio solido e un business nel gas promettente, era schizzato del 16% lo scorso 8 dicembre dopo indiscrezioni stampa di una possibile offerta da parte di Cnpc, controllante di PetroChina. (Da Finanza & Mercati)

Energia, per la Ue Snam Rg può restare all'Eni

I grandi colossi europei dell'energia possono tirare un sospiro di sollievo: la separazione completa obbligatoria tra produttori di energia e gestori di reti non ci sarà. Il Parlamento Europeo ha infatti rinunciato al cosiddetto unbundling proprietario, cedendo alle pressioni soprattutto dei governi, Francia e Germania in testa, che si erano decisamente battuti per evitare lo smantellamento dei rispettivi colossi energetici, Edf, Rewe ed Eo.n in testa. Ma ovviamente la notizia non è dispiaciuta nemmeno all'Eni, visto che il gruppo guidato da Paolo Scaroni controlla Snam Rete Gas con oltre il 50%. La decisione è arrivata al termine di un negoziato concluso nella notte tra ieri e l'altroieri tra il Parlamento, la Commissione e la presidenza ceca dell'Ue. L'intesa, in particolare, prevede per gli Stati membri tre opzioni per non penalizzare troppo i campioni nazionali e al tempo stesso per favorire la concorrenza. I produttori di energia che posseggono anche reti, potranno infatti non solo venderle oppure affittarle, ma potranno in alternativa demandarne la gestione a una controllata (anche al 100%) che però sia pienamente indipendente. In particolare quest'ultima opzione preserva le società integrate di fornitura e trasmissione, obbligandole però a rispettare certe regole per assicurare che le due divisioni della stessa società operino in modo indipendente. A questo proposito si prevede un organismo di supervisione (ne fanno parte rappresentanti della società, azionisti della terza parte e rappresentanti dell'operatore di sistema) responsabile per le decisioni che possono avere un impatto significativo sul valore degli asset degli azionisti»; un programma di conformità per impedire condotte discriminatorie; un responsabile per il controllo del rispetto di tale programma. Quest'ultima ipotesi, caldeggiata da Parigi e Berlino, era già passata a livello di governi nel giugno 2008, solo che poco dopo il Parlamento Europeo aveva contrapposto la propria posizione molto più radicale. Ieri intanto Scaroni, a Mosca per incontrare il vicepremier russo Igor Secin e il presidente di Gazprom Alexei Miller, ha spiegato che il gruppo italiano è pronto a tornare all'idea di un consorzio per garantire l'efficienza della rete di gasdotti ucraina. «L'Eni, e penso anche altre grandi compagnie energetiche quali E. on e Gaz de France, è pronta a ritornare all'idea del consorzio che garantisca forniture stabili ed efficienti di gas», ha spiegato Scaroni criticando le modalità dell'accordo dell'altro ieri fra la Ue e l'Ucraina sull'ammodernamento della rete di gasdotti di Kiev, che ha escluso la Russia. Scaroni ha sottolineato la necessità di un nuovo negoziato che veda coinvolti tutti i protagonisti, produttori, fornitori, consumatori, compresi Gazprom e Naftogaz Ucraina. Non sembra invece trovare grandi conferme la notizia, apparsa ieri, secondo la quale l' Eni sarebbe interessata, assieme alle britanniche Bp e Shell, a Santos, terzo operatore nel settore del petrolio e del gas australiano che potrebbe valere 7 miliardi di dollari. (da Mf)

martedì 24 marzo 2009

Petrolio oltre 53 dollari al barile

Il rally di Wall Street ha trascinato in rialzo anche i merca-ti petroliferi, dove la seduta si è chiusa sui massimi dell'anno: sia il Brent sia il Wti hanno superato quota 53 dollari albarile.L'ottimismo sulla salute dell'economia –in particolare quella cinese – spiega anche l'ulteriore salita del rame: al London Metal Exchange il metallo rosso ha superato al settlement i 4mila dollari per tonnellata, livello che non vedeva dall'inizio di novembre 2008. Nella seduta ufficiale dell'Lme anche il piombo è salito ai massimi da novembre, lo zinco ai massimi da gennaio. Tra i metalli preziosi è invece record da circa 6 mesi per il platino, che al secondo fixing di Londra quotava 1.131 $/oncia. Tra i coloniali, tornano a salire il caffè (soprattutto il robusta, su del 2%) e, sia pure moderatamente, il cacao. Arretra invece lo zucchero, influenzato anche dalle previsioni di domanda debole da parte di F.O. Licht. Ulteriore balzo in avanti per il cotone sodo, che al Nyce è salito del 2,2%. Al Cbot, infine, poco mossi frumento, mais e semi di soia.

Saipem cresce in Algeria: commessa da 1,3 miliardi

Saipem firma un nuovo contratto in Algeria da 1,8 miliardi di dollari (1,3 miliardi di euro) e consolida ulteriormente una presenza già rilevante nel paese.
La commessa, che porta gli ordini complessivi della società a quota 7,1 miliardi di euro, a fine anno il valore era di 5,8 miliardi, spinge oltre il 25% il peso del paese nordafricano nel portafoglio dell'azienda italiana.

L'accordo è stato siglato con la joint venture tra l'Eni di Paolo Scaroni e la compagnia petrolifera algerina Sonatrach e prevede un contratto del tipo chiavi in mano per la realizzazione di un impianto per il trattamento del gas proveniente dal giacimento Menzel Ledjmet East e dagli sviluppi futuri dei campi del Cafc (Central Area Field Complex).
L'intesa stabilisce che Saipem si occupi dell'ingegneria, dell'approvvigionamento di materiali e della costruzione di un centro di raccolta e trattamento del gas naturale con relative condotte di esportazione. La capacità produttiva sarà di 350 milioni di piedi cubi di gas al giornoe di 35mila barili al giorno di liquidi. L'impianto sarà realizzato nell'area del bacino di Berkine, circa 1000 chilometri a sudest di Algeri e la durata prevista dei lavori è di 36 mesi.Il contratto rende quindi ancora più rilevante l'importanza dell'Algeria all'interno del portafoglio ordini della Saipem che tra l'altro vanta ben 900 dipendenti in Algeria di cui 700 sono proprio algerini.

L'attivismodi Saipem nel Paese nordafricano non è certo casuale.Piuttosto risponde agli obiettivi di crescita dell'Algeria stessa. «Un Paese con il quale intratteniamo rapporti ottimi e che si è dato importanti target di sviluppo.

L'Algeria sta investendo molto e noi, in qualità di contrattista internazionale, cerchiamo di cogliere le migliori opportunità di un mercato in ascesa», ha spiegato a Il Sole 24 Ore il vice presidente e amministratore delegato di Saipem, Pietro Franco Tali. E in effetti l'Algeria ha annunciato un piano di investimenti da 60 miliardi di dollari (44 miliardi di euro) nei prossimi tre anni che ha come principale obiettivo quello di aumentare la produzione di gas in modo da soddisfare la crescente domanda interna e gli impegni di esportazione presi con i principali Paesi europei.
Di qui la decisione strategica di Saipem di tenere alto il livello di attenzione sull'Algeria.Peraltro, l'azienda italiana sta definendo con Sonatrach la costituzione di una joint venture nel campo ingegneristico. Questo per dar modo anche agli ingegneri locali di occuparsi in prima persona dei progetti di sviluppo del Paese. I rapporti consolidati Saipem con l'Algeria possono peraltro essere una conseguenza della relazione piuttosto stretta che l'intero gruppo Eni ha con il paese ormai da diversi anni. I primi contatti tra il cane a sei zampe e Sonatrach risalgono addirittura agli anni '70. Saipem, tra l'altro, proprio lo scorso anno ha consegnato Medgaz, ossia il gasdotto che collega l'Algeria con la Spagna e ha già avviato i lavori per la realizzazione di un impianto di liquefazione di gas ad Arzew. La commessa, che è stata vinta lo scorso luglio, ha un valore complessivo di 2,8 miliardi di euro e consentirà la produzione di 4,7 milioni di tonnellate di Gnl all'anno.Intanto, il titolo Saipem ha messo a segno un altro balzo chiudendo la seduta di ieri in guadagno del 3,3% a 13,77 euro.

(da Il sole 24 Ore)

lunedì 23 marzo 2009

Brent sui massimi

Settimana molto positiva per l'E-Mini Crude Oil future, con il derivato che ha forzato la soglia psicologica a 50 dollari per la prima volta dallo scorso 6 gennaio, fissando i nuovi massimi dell'anno a quota 53: a favorire il nuovo rialzo dei prezzi è stato soprattutto il forte calo pagato dal dollaro nei confronti di tutte le altre principali valute, dopo l'annuncio da parte della Federal Reserve, di un massiccio piano di acquisti (oltre 1.000 miliardi di dollari in tutto) di titoli di stato a lungo termine e di obbligazioni legate ai mutui. Un ulteriore input rialzista è arrivato anche da alcune dichiarazioni di membri dell'Opec, che hanno manifestato l'intenzione di spingere le quotazioni verso i 70 dollari al barile. I principali sostenitori di questa politica (Algeria, Iran e Venezuela su tutti) sono peraltro usciti sconfitti dalla riunione di Vienna di domenica scorsa, in cui non è maturato alcun intervento sulla produzione, a dispetto di un'aspettativa generale che scontava un taglio di almeno 1 milione di barili. Ogni decisione è stata invece rinviata al 28 maggio, quando si terrà un nuovo meeting straordinario per fare il punto della situazione. La decisione dell'Opec di non intervenire sulla produzione è maturata soprattutto sulla base dell'evidenza che i precedenti tagli non sono stati ancora attuati completamente: secondo una recente stima dell'Agenzia internazionale per l'energia, è stato infatti portato a termine solo l'80% del piano stabilito. Come detto, questa situazione non ha comunque frenato la corsa dei prezzi, così come l'impatto negativo dei dati sulle scorte Usa si è esaurito nella sola giornata di mercoledì: proprio a metà ottava il greggio ha infatti registrato l'unico ribasso settimanale, dopo che l'Energy information administration (Eia) ha comunicato un aumento delle riserve di petrolio (+2 milioni di barili) doppio rispetto alle previsioni. In sorprendente aumento anche le scorte di benzina (+3,2 milioni a fronte di un calo atteso di 1,2 milioni), mentre sono cresciute meno del previsto quelle di distillati.Graficamente una conferma del breakout di 50 dollari fornirebbe un chiaro segnale di forza, che potrebbe spingere le quotazioni verso quota 56 prima ed eventualmente fino a ridosso dei 60 dollari: più in generale, il future sta comunque perfezionando l'inversione rialzista del trend principale, interrompendo la tendenza negativa partita a luglio dello scorso anno. (Da Milano Finanza)

Snam Rete Gas, i ricavi 2009 a tre miliardi

«L' acquisto di Stogit e Italgas ci ha permesso di diventare il primo operatore dell'Europa continentale per dimensione del capitale investito ai fini regolatori, salito da 12,8 a 19,9 miliardi, e creare un polo che presidia tutte le attività regolate della filiera del gas».Una realtà, prosegue Carlo Malacarne, amministratore delegato di Snam Rete Gas, «operativa su tutto il territorio nazionale con oltre 70mila chilometri di rete, fra alta pressione e area cittadina, e una capacità di stoccaggio di quasi 14 miliardi di metri cubi». Sviluppo conseguito «nel rispetto delle linee strategiche che si siamo posti sin dal 2001», quando siamo approdati in Borsa segnando un altro primato poiché è stato il primo collocamento dopo gli attentati del settembre 2001 alle Torri di New York.Linee strategiche, aggiunge il capo azienda, riassumibili in cinque punti a partire «dalla necessità/opportunità di realizzare ambiziosi piani di investimento nello sviluppo di infrastrutture del gas in grado di garantire una capacità di trasporto adeguata alla crescita della domanda, incrementando nel contempo la flessibilità del sistema e la sua sicurezza».Un impegno che, continua, si è trasformato in un piano di investimenti da circa 13 miliardi, di cui quasi sei realizzati dal 2002 al 2008 nel puntuale rispetto dei tempi previsti e altri 7,3 miliardi in calendario entro il 2015.Più in particolare, ricordano con orgoglio al quartier generale di San Donato (Mi), lo scorso anno abbiamo realizzato 1.044 milioni di investimenti (+43,4%) e ci prepariamo a un piano da 4,3 miliardi fra il 2009 e il 2012, mentre sono già previsti impegni di circa tre miliardi entro il 2015 per completare le iniziative programmate. E tutto ciò senza considerare i circa 1,4 miliardi relativi alla quota di competenza del Galsi, il gasdotto che porterà a Livorno il gas algerino transitando dalla Sardegna. Un progetto che però verrà inserito nel portafoglio ordini solo quando gli utilizzatori avranno siglato i contratti di trasporto, anche se il gasdotto ha superato pressoché tutte le fasi autorizzative.E tutto ciò, aggiunge Malacarne, «sarà realizzato nel rispetto degli altri quattro punti strategici: salvaguardare la solidità della struttura finanziaria, mantenendo un rapporto fra debiti e rab nell'ordine del 50 per cento; conservare un profilo di rischio contenuto, quale elemento di garanzia per gli investitori, mantenendo il perimetro del nostro business nelle attività regolate, che oggi rappresentano il 100% delle nostre attività; migliorare ulteriormente l'efficienza e tenere sotto controllo i costi anche in un contesto di crescita accelerata degli asset del gruppo; garantire agli investitori un ritorno attrattivo, sostenibile e fra i più alti del settore utilities in Europa». Obiettivo, ricordano a San Donato, centrato appieno nel recente passato se solo si considera che lo yield negli ultimi quattro anni è stato superiore al 5% considerando anche quello attuale, che è al di sopra del 5,5 per cento. Cinque punti cardine che, prosegue il capo azienda, resteranno centrali anche nel futuro, quando l'area operativa risulterà ampliata in misura significativa merito l'acquisto di Stogit e Italgas per complessivi 4,72 miliardi, di cui 1,65 relativi a Stogit e 3,07 a Italgas. L'operazione, come ricordato, aumenterà la rab di 7,1 miliardi a quota 19,9 miliardi e dovrebbe essere formalizzata entro l'estate con un esborso di 4,72 miliardi in contanti considerando i 2,1 miliardi di debiti assorbiti da Snam.Impegno finanziato per 1,3 miliardi con nuovi finanziamenti a medio-lungo assicurati dall'Eni guidata da Paolo Scaroni, mentre 3,5 sono connessi all'aumento del capitale in calendario entro fine aprile considerando che il prospetto dovrebbe essere depositato entro fine marzo, quando il mercato potrà conoscere le caratteristiche dell'operazione. (Dal Sole 24 Ore)

venerdì 20 marzo 2009

L'eredità del greggio

Gli scienziati che hanno dubbi sulla biologia del golfo di Prince William Sound, in Alaska, si rivolgono a David Janka. «Con più di 30 anni di navigazione, ricercatori, agenzie governative e gruppi ambientalisti mi contattano per informazioni», dice Janka, capitano della Auklet. Janka ha 55 anni ed è uomo di mare. Ma è sufficiente salire a bordo della Auklet, una barca in legno degli anni 50, per rendersi conto di non essere su un tipico charter-boat per turisti. Ogni mensola del battello è colma di pubblicazioni scientifiche che trattano di biologia marina, di geologia dell'Alaska o di oceanografia.Ci sono conchiglie, minerali e oggetti raccolti durante le spedizioni scientifiche. In mezzo due contenitori colmi di qualcosa di fluido ma denso. C'è scritto: «Petrolio-Exxon Valdez, anno 2006». Malgrado la data, riportano a un disastro ambientale avvenuto vent'anni fa.Nell'89 la Auklet è stata coivolta nella lotta contro la marea nera sprigionata dalla Exxon Valdez. La notte del 24 marzo, la superpetroliera si era infatti incagliata contro uno scoglio semisommerso. Dallo scafo erano fuoriuscite 37.000 tonnellate di greggio che avevano contaminato più di duemila chilometri di costa, il più grave disastro ambientale della storia americana. Ma da questo era scaturito anche il più longevo studio sull'ecosistema marino del Paese. Molti ricercatori noleggiano la Auklet per ricerche estive. Dal giorno del disastro, la Exxon Valdez Oil Spill Trustee Council ha ridistribuito 178 milioni di dollari a più di cento ricercatori. Le ricerche che lo coinvolgono sono conseguenza del disastro del 1989 il cui impatto è stato inizialmente sottovalutato. «In genere questi incidenti sono severi all'inizio, poi la natura li riassorbe », spiega Stanley Rice, del National Oceanic and Atmospheric Administration. Nel 2003 ha esplorato il golfo in cerca di tracce della contaminazione. In compagnia di Janka, Rice ha trovato pozze di greggio nella ghiaia di 78 delle 91 spiagge visitate. E ha pubblicato un rapporto in cui sostiene che il golfo contiene ancora almeno 60.000 litri di greggio.Insomma ci sarà ancora da navigare per la Auklet. Esplorare il golfo con gli scienziati può portare alla luce un mondo invisibile dalla supeficie, a cui non intende rinunciare. Al timone della sua biblioteca scientifica galleggiante, Janka continua a condurre gli scienziati nelle acque del golfo. «Con loro imparo molto – spiega Janka –. Ma ora anch'io ho qualcosa dainsegnargli».

La Ue stringe sul Tag, Eni e l'Italia rispondono picche

L'accusa è abuso di posizione dominante nella gestione di alcuni gasdotti. Ad aprire ufficialmente la procedura contro l'Eni di Paolo Scaroni è stata la Commissione europea. Eo ora il gruppo energetico italiano vede concretizzarsi il timore che il tutto possa concludersi con pesanti sanzioni, quelle stesse per le quali aveva già chiesto nei mesi scorsi l'intervento del governo. Con una comunicazione inviata il 6 marzo al cane a sei zampe e resa nota ieri, Bruxelles ha fatto sapere di ritenere «in via preliminare che Eni abbia violato le regole della concorrenza in materia di abusi di posizione dominante nella gestione di alcuni gasdotti di importazione di gas naturale», che portano il metano in Italia. In particolare l'accusa è quella di aver limitato, nel periodo 2000-2005, l'accesso da parte di operatori terzi ai gasdotti Tag (89% Eni, 21% Omv), Tenp (50% Eni, 50% E.on-Ruhrgas) e Transitgas (51% Swissgas, 47% Eni, 2% E.on- Ruhrgas) e di averne frenato il potenziamento. La condotta contestata dall'Ue riguarda «un presunto rifiuto a fornire accesso alla capacità disponibile sulla rete di trasporto, la presunta allocazione a terzi di capacità secondo modalità economicamente meno attraenti e la presunta limitazione strategica dell'investimento in nuova capacità». E tali pratiche, spiega Bruxelles, «sono state messe in atto nonostante l'esistenza di significative richieste di capacità da parte di terzi». La preoccupazione di Eni è che, qualora risultassero confermate le violazioni contestate, l'Ue voglia imporre rimedi strutturali, consistenti nella cessione di tutte le quote detenute nei gasdotti, oltre ad una sanzione pecuniaria. Per questo, spiega una nota del cane a sei zampe, l'iniziativa della Commissione «oltre ad andare al di là di quanto previsto dalla disciplina di settore, che si limita a prevedere un obbligo di separazione gestionale delle reti (e non della proprietà, ndr), esporrebbe non solo l'Italia ma l'intera Unione europea a un deterioramento della sicurezza degli approvvigionamenti di gas». Insomma, Paolo Scaroni prosegue sulla linea difensiva già sposata nella lettera inviata a fine gennaio a Palazzo Chigi. In quella missiva il numero uno di Eni chiedeva al governo un intervento nelle sedi opportune a difesa di un «asset strategico per l'Italia e l'Europa». Il ministro alle politiche comunitarie, Andrea Ronchi, si era anche recato a Bruxelles dalla Kroes per rappresentare il punto di vista di Roma, ribadendo «l'interesse strategico nazionale della Tag». Posizione ribadita anche in una successiva lettera inviata al commissario alla concorrenza. La procedura prevede ora che Eni, entro due mesi, prepari le sue controdeduzioni e successivamente abbia udienza presso la Commissione che ascolterà sia la società sia la posizione dell'antitrust Ue. Solo dopo la risposta scritta di Eni e la successiva udienza, Bruxelles potrà decidere se archiviare il procedimento oppure confermare le proprie deduzioni e sanzionare la società. (da Mf)

giovedì 19 marzo 2009

La benzina italiana è la più cara d'Europa.

La benzina italiana è la più cara d'Europa. Lo ha confermato il nuovo garante per la sorveglianza dei prezzi, Luigi Mastrobuono. Mentre negli altri Paesi europei, il prezzo, tra febbraio e marzo, è calato, anche abbastanza sensibilmente, in Italia è aumentato. Lo stacco dei prezzi al consumo della benzina nel nostro Paese, rispetto alla media europea, è salito, infatti, nel marzo fino a 5,5 centesimi al litro, più del doppio del precedente valore di 2,4 centesimi, fatto segnare a metà febbraio. Lo scorso 16 febbraio il prezzo medio italiano della «verde» era di 1,135 euro al litro, mentre quello dell'Europa a 15 era di 1,111 euro, con uno stacco, quindi, di 0,024 euro; al 9 marzo il prezzo italiano è salito a 1,161 euro, mentre quello europeo è sceso a 1,106 euro con un differenziale che sale così a 0,055 euro. E', cioè, raddoppiato ed è ora il secondo più alto (0,403 euro al litro) dietro solo a Malta (0,477), contro una media Ue di 0,340 euro. Questo mentre il petrolio, dopo l'aumento record dell'86,28%, calare del 47,7%. (da L'Unità)

Oil e gas, accordo strategico di Eni in Pakistan

Come ai tempi di Enrico Mattei, il quale sconvolse il cartello delle " sette sorelle" petrolifere alleandosi con i Paesi poveri di soldi ma ricchi di greggio, ieri a Islamabad l'amministratore delegato dell'Eni, Paolo Scaroni, ha firmato con il Governo del Pakistan un accordo quadro che prevede una forma di "esclusiva" (meglio, di "preferenza") per la compagnia di San Donato Milanese.L'Eni accompagnerà nella crescita le due piccole compagnie petrolifere pachistane: in cambio – s'intende – la compagnia italiana avrà vita facile sui pochi ma interessanti giacimenti del Paese.Le compagnie Pakistan Petroleum Limited e Pakistan State Oil hanno archivi ricchissimi di dati sul sottosuolo del Paese, e sono preziose le mappe dettagliate sui luoghi propizi alla ricerca di giacimenti, ma sono società povere di tecnologie innovative per sfruttare con efficienza le riserve.«Noi pensiamo di investire nella ricerca dei giacimenti qualcosa tra i 50 e 70 milioni di dollari l'anno nei prossimi anni », spiega Scaroni subito dopo avere incontrato il presidente Asif Alì Zardari, il primo ministroYousaf Raza Gilani e i ministri del Petrolio e dell'Industria.Nel dettaglio, l'Eni ha firmato con il Governo del Pakistan un protocollo di cooperazione per lo sviluppo di nuovi progetti in tutti a la filiera del petrolio e del metano (dai giacimenti fino ai distributori di carburanti).L'intesa – avverte l'Eni – «mette al servizio delle compagnie nazionali pachistane del petrolio, in forma esclusiva, le capacità, il know how e le innovative tecnologie sviluppate dall'Eni in campo petrolifero, specialmente sul terreno dell'efficienza dello sfruttamento dei giacimenti di idrocarburi».L'accordo consente inoltre alla compagnia italiana «di diventare partner strategico nello sviluppo del settore petrolifero pachistano, accedendo a campi oggi controllati dalle compagnie di Stato».Entro l'autunno prossimo un gruppo di lavoro congiunto tra italiani e pachistani individuerà le zone più interessanti da perforare.Dove trivellare? C'è il cosiddetto offshore, cioè i giacimenti sotto i fondali dell'Oceano Indiano: «L'offshore è un'attività molto promettente in Pakistan –aggiunge l'amministratore delegato – e nessuno l'ha mai fatto prima.L'anno prossimo faremo il primo pozzo».E poi c'è un'area vasta,appetitosa per il petrolio ma assai turbolenta dal punto di vista sociale, quel Belucistan nel quale il Governo di Islamabad fatica a rafforzare la sua autorità sul sistema feudale. Gli incontri di Scaroni hanno avuto anche il compito di delineare una presenza sicura in quella regione.L'obiettivo di Scaroni è raddoppiare l'estrazione nei prossimi 5 o 6 anni. «Il Pakistan non è certo il Bengodi del petrolio, oggi il Paese estrae in tutto 300mila barili al giorno di cui solamente 70mila di petrolio e il resto di gas», osserva l'amministratore delegato. Con i suoi 50mila barili al giorno (in buona parte sotto forma di metano), un sesto dell'intera produzione nazionale, oggi l'Eni è già la compagnia estera più forte nel Paese, in competizione diretta con gli inglesi della Bp e della Shell.La società di San Donato Milanese è presente in Pakistan dal 2000, ma la sua presenza è più lontana nel tempo poiché con l'acquisizione della compagnia inglese Lasmo ne aveva ereditato anche la presenza nel Paese. L'Eni ha quattordici permessi di esplorazione ( tre in mare e undici su terra) e sette licenze di estrazione o di sviluppo, di cui tre in qualità di operatore.In chiave strategica, l'intesa «sancisce che non solo siamo il primo operatore petrolifero del Paese ma siamo anche l'operatore preferito – aggiunge Scaroni – quello privilegiato che ha rapporti in esclusiva con le due società nazionali del Paese. Nuove idee ci verranno dall'aver a disposizione le dataroom delle due società nazionali per eventuali iniziative congiunte ». Cinquant'anni fa Enrico Mattei si attirò le ire dei colossi del petrolio coinvolgendo nella crescita comune i Paesi con le riserve: un'esperienza che funziona ancora. (da Il sole 24 Ore)

mercoledì 18 marzo 2009

Shell punta al valore non ai volumi

Royal Dutch Shell tiene duro sulla politica di dividendi il cui aumento resta legato all’inflazione e sottolinea di guardare al «valore e non al volume» quando si stratta di produzione. Ma il titolo del colosso petrolifero anglo-olandese, ieri perdeva fino al 4% a sul listino.Shell ha dichiarato che il tasso di rimpiazzo delle riserve (dato che indica il rapporto tra le nuove scoperte di giacimenti e la quantità di petrolio estratta) è crollato al 95% nel 2008 dal 124% del 2007. Il chief executive uscente Jeroen van der Veer ha però sottolineato come nel triennio 2006-2008 il tasso è stato del 126% e non ha senso considerare il dato isolato di un singolo anno. Certo è che la produzione nel 2008 è decresciuta per il sesto anno consecutivo. Ma Shell, ha ribadito Van der Veer, non punta a incrementare l’output (che è comunque atteso a una crescita annua del 2-3% nel prossimo decennio) quanto piuttosto a investire in nuove fonti che generino «valore». E per questo il gruppo non rallenterà negli investimenti e, anzi, per il 2009 si prepara a spendere 31-32 miliardi di dollari, anche avvantaggiandosi del calo delle materie prime, una su tutte l’acciaio. (da Finanza & mercati)

Snam, ok all’aumento da 3,5 mld

Via libera a super-Snam, che però eredita dall’Eni la grana-Romana Gas. L’assemblea del gruppo ha approvato ieri l’aumento di capitale da 3,5 miliardi finalizzato all’acquisto di Stogit (1,6 miliardi) e Italgas (3,070 miliardi) dal Cane a sei zampe. Grazie all’operazione da 4,7 miliardi - i restanti 1,2 miliardi saranno finanziati a debito - la società leader in Italia del trasporto gas diventerà, entro giugno, numero uno in Europa per capitale investito in attività regolate. «Non ci saranno rischi di sottoscrizione», ha assicurato l’ad di Snam, Carlo Malacarne, che non sembra impensierito né dalla difficile fase dei mercati né dal maxi-aumento da 8 miliardi che anche l’Enel si appresta a varare. «Non c’è alcun problema - ha spiegato il manager - il loro aumento di capitale arriverà dopo il nostro». Inoltre, l’azionista Eni, guidato da Paolo Scaroni, «si è già impegnato a sottoscrivere per intero la propria quota», salendo dal 50,03% al 54,9 per cento. E per la parte residua, l’offerta in opzione sarà assistita da un consorzio di garanzia, promosso e coordinato da Mediobanca, la quale si ha già assunta l’impegno a sottoscrivere l’eventuale inoptato. «A fine aprile, qualche giorno prima dell’inizio della vendita - ha concluso Malacarne - sarà fissato il prezzo delle nuove azioni». Qualche grana, però, potrebbe arrivare sul fronte del debito, che già con l’acquisto di Stogit e Italgas dovrebbe salire a 7,5 miliardi. Nessun problema per la società, secondo cui il rapporto debito/Rab resterebbe invariato. «Il piano strategico, che prevede circa 1 miliardo di investimenti l’anno, non muterà», ha detto l’ad lo scorso 12 febbraio. Ma, a distanza di un mese, qualcosa è cambiato. (Da Finanza & Mercati)

martedì 17 marzo 2009

Nel 2008 utile netto dell'Eni a 8,82 mld

Da Italia Oggi

Il consiglio di amministrazione dell'Eni, guidato da Paolo Scaroni, ha approvato ieri il bilancio consolidato dell'esercizio 2008, che ha chiuso con un utile netto di 8,825 miliardi. Lo ha reso noto la società in una breve nota, sottolineando che il progetto di bilancio di esercizio 2008 di Eni ha chiuso invece con un utile netto di 6,745 miliardi di euro.Il consiglio d'amministrazione, inoltre, ha deciso di proporre all'assemblea degli azionisti la distribuzione di un dividendo di 1,30 euro per azione (pay-out 53%), di cui 0,65 euro già distribuiti nel settembre 2008, mentre il dividendo a saldo di 0,65 euro sarà messo in pagamento a partire dal 21 maggio, con stacco cedola il 18 maggio.Il bilancio consolidato e il progetto di bilancio di esercizio, ha spiegato ancora l'Eni nella nota, sono stati messi a disposizione del collegio sindacale e della società di revisione.Il consiglio di amministrazione ha infine approvato anche il bilancio di sostenibilità del 2008 in cui la società, «seguendo le più avanzate best practice internazionali, rappresenta il proprio impegno sul fronte dello sviluppo sostenibile».

Riprende la corsa dei carburanti

In febbraio l'inflazione è rimasta stabile all'1,6% in Italia (ed è invece salita all'1,2% nei Paesi euro), mentre i carburanti hanno iniziato ad aumentare di nuovo in maniera sensibile. Le associazioni dei consumatori protestano: i rincari costano almeno 400 euro a famiglia, mentre il petrolio costa poco sui mercati internazionali. L'Unione petrolifera replica che le quotazioni di benzina e petrolio sono internazionali e dipendono dal rapporto tra domanda e offerta. Intanto l'Antitrust accusa: le normative regionali sempre più vincolanti paralizzano la competizione. E senza concorrenza i prezzi salgono. Il carovita in Italia ed Uem L'Istat a livello congiunturale ha confermato di aver rilevato un aumento medio dei prezzi dello 0,2% a febbraio, il primo dopo cinque mesi di ribassi. In particolare, sono tornati a salire i beni energetici, facendo segnare una crescita congiunturale dello 0,6%. In rincaro vivace (+ 2,4%) il prezzo della benzina, e si riduce a -15,7% (dal -18,1% di gennaio) la flessione su base annua. Il prezzo del gasolio ha registrato una crescita congiunturale dell'1% che porta il calo tendenziale a quota -15,6% dal -17,6% di gennaio. Restano poi in tensione abitazione e alimentari. L'inflazione dei Paesi che hanno adottato l'euro – conferma l'Eurostat – in febbraio è salita all'1,2% dall'1,1% di gennaio. A febbraio 2008 il tasso per la cosiddetta "eurozona" era a quota 3,3%. Per l'Italia il dato diffuso da Eurostat è di 1,5% (il paniere usato per il dato armonizzato europeo è diverso da quello dell'Istat). Per l'Ue a 27 stati membri l'inflazione a febbraio è stata dell'1,7%, in discesa rispetto all'1,8% di gennaio. Tra gli Stati membri dell'Unione europea, i livelli più bassi di inflazione sono stati rilevati in Irlanda e Portogallo (entrambi 0,1%) e Cipro (0,6%), e il più alto in Lettonia (9,4%), Lituania (8,5%) e Romania (6,9%). Nella zona euro i rincari annui più forti sono stati relativi ad alcolici e tabacco (3,2%), alberghi e ristoranti (2,9%) e alloggi (2,8%), mentre i tassi più bassi sono per trasporti (-2,7%) e comunicazioni (-1,4%). Il gas (+0,21), ristoranti e caffè (+0,15) e energia elettrica (+0,12) hanno avuto il maggior impatto sull'inflazione. (Dal Sole 24 Ore)

lunedì 16 marzo 2009

Gaz de France in pressing su Acea

Così dopo l'irritazione i francesi starebbero per passare ai fatti. E, secondo quanto risulta a Il Tempo, i legali dei transalpini sarebbero in procinto di spedire una lettera al comune di Roma, primo azionista di Acea, per chiedere conto della sua posizione ufficiale dopo lo stop al piano industriale delineato con la precedente giunta.
Nella missiva potrebbe essere chiesto, in particolare, di sciogliere il nodo della concessione attualmente in carico alla Romana Gas (acquistata da Suez-GdF da Eni e offerta all'Acea in cambio di un ruolo più operativo nella gestione dell'energia romana) in scadenza il 31 dicembre di quest'anno. Non è ancora chiaro, infatti, se il rinnovo possa essere automatico per la stessa Suez oppure se sia necesssaria una nuova gara europea. Un'eventualità che potrebbe anche far recedere i francesi dai loro propositi bellicosi a Roma. In ogni caso la richiesta francese sarebbe finalizzata ad avere maggiori chiarimenti sull'orientamento del Campidoglio per impostare le nuove strategia di crescita.
Contestualmente, poi, sarebbe richiesto al Comune anche il beneplacito per passaggio della rete del gas dall'originale proprietaria, l'Eni, ai francesi. Che la ottennero in una trattativa che consentì al colosso guidato dall'ad Scaroni di prendere la rete belga di Distrigaz cedendo quella romana a Suez. Ma vincolando il passaggio effettivo al via libera del Campidoglio. Mai espresso. E del quale la lettera chiederebbe appunto conto. Insomma i francesi non avrebbero alcuna intenzione di farsi da parte nel risiko romano dell'energia. Una volontà che si ritroverebbe anche nella «profezia» di Mestrallet per la crescita a qualunque costo e che potrebbe concretizzarsi con la discesa a fianco dei parigini di un socio forte, ben posizionato nel mercato italiano. (Da Il Tempo)

Energia, la cedola Eni sarà di 1,3 euro

Il cda dell'Eni di Paolo Scaroni ha confermato venerdì 14 l'utile netto di 8,83 miliardi (che era già stato annunciato in febbraio con il pre-consuntivo di bilancio) e ha deliberato di proporre all'assemblea degli azionisti un dividendo di 1,3 euro per azione, di cui 0,65 già distribuiti a settembre 2008. Il pay-out (quota di utile distribuito) sarà quindi del 53%. L'importo a saldo di 0,65 euro per azione sarà messo in pagamento a partire dal 21 maggio 2009, con lo stacco della cedola che avverrà il 18 maggio. L'Eni ha inoltre fatto sapere che i ricavi della gestione caratteristica nel 2008 hanno raggiunto i 108,14 miliardi, in crescita di 20,8 miliardi rispetto al 2007, mentre l'utile operativo è calato leggermente a 18,64 miliardi, dai 18,87 miliardi del 2007. L'utile netto, che si è attestato a 8,83 miliardi, ha registrato una flessione dell'11,8% rispetto allo scorso anno, mentre l'indebitamento finanziario netto è aumentato di 2 miliardi raggiungendo quota 18,38 miliardi. Sempre venerdì 14 il cda della controllata Snam Rete Gas ha comunicato di aver convocato l'assemblea ordinaria degli azionisti per il giorno 24 e 25 aprile 2009 rispettivamente in prima e seconda convocazione.

venerdì 13 marzo 2009

Marea nera in Australia

Pellicani e tartarughe coperti da uno spesso strato di petrolio, delfini minacciati, spiagge con la sabbia nera, la battigia ricoperta di pesci morti: la Sunshine Coast, la costa del sole nell’Est dell’Australia da paradiso dei turisti e dei surfers si sta trasformando in un inferno ambientale. Trenta tonnellate di petrolio e 31 container con 600 tonnellate di nitrato di ammonio sono finiti nel mare a largo dello Stato del Queensland, tra le spiagge di Tangalooma sull’isola di Moreton e la Laguna Blu. Nomi che dovrebbero evocare vacanze esotiche e che oggi suonano alle autorità australiane come sinonimo di strage di uccelli e pesci.Il disastro è stato provocato dall’incidente della Pacific Adventurer, una nave cargo che batte bandiera di Hong Kong e che stava portando da Newcastle, Inghilterra, in Indonesia un carico di nitrato di ammonio, un fertilizzante che serve anche come materia per produrre esplosivi. La nave ha preso il largo nonostante intorno alle coste Est dell’Australia stesse infuriando il ciclone tropicale Hamish. Sballottata tra le onde, a un certo punto ha perso il carico. I container di fertilizzante, forse non fissati secondo le norme di sicurezza, hanno prima sfondato i serbatoi della Pacific Adventurer - facendo uscire in mare 30 tonnellate di petrolio - e poi sono caduti in acqua. La macchia di petrolio che ha raggiunto le coste ieri è lunga circa 10 chilometri, e le spiagge devastate sono state chiuse. Secondo Mike Kingsford, esperto dalla James Cook University del Queensland, la fuoriuscita di petrolio è «relativamente piccola per gli standard dei disastri globali», ma farà comunque molti danni prima che il combustibile si sedimenti e perda gli effetti tossici che uccidono pesci e uccelli. Ci vorrà almeno una settimana per ripulire le spiagge. Ma un secondo allarme riguarda i container con il nitrato di ammonio non ancora ritrovati. Se il fertilizzante fosse finito nell’acqua, resta il rischio, seppure non molto alto, di una detonazione: la sostanza esplode se esposta al calore. Un altro effetto devastante potrebbe prodursi nei mesi successivi: il fertilizzante rischia di provocare un’enorme crescita delle alghe, alterando tutto l’ecosistema. Secondo Orica, la compagnia produttrice del fertilizzante, è estremamente improbabile: «Ci vogliono alte concentrazioni di nitrato di ammonio, una volta diluito nell’acqua del mare perderà il suo effetto» (da La Stampa)

Energia: Acea-Gaz de France, ecco le ragioni del no

Il campo di battaglia sull'Acea ora si sposta dal ruolo dell'amministratore delegato,visto che Andrea Mangoni è ormai dimissionario, al futuro dei rapporti tra il socio di maggioranza, Comune di Roma, e il partner francese Suez-Gaz de France, socio con il 10 per cento. Tra i due continuerà a giocare un ruolo- chiave l'azionista privato italiano, Francesco Gaetano Caltagirone salito a circa l' 8% nel capitale di Acea, che si è fatto promotore dello stop deciso dal Comune ai nuovi accordi di joint-venture tra Acea e i francesi, dei quali l'ex a.d. Mangoni è stato fautore. Sul tavolo, allo stato attuale, ci sono due partite: la nomina del nuovo amministratore delegato, sulla scelta del quale i francesi pretendono di poter dire la loro. E il destino degli accordi. La settimana precedente al cda in cui si è dimesso, l'a.d. Mangoni ha illustrato il contenuto degli accordi al sindaco Alemanno. Una presentazione in cui sintetizza struttura e vantaggi dell'operazione. L'intesa avrebbe modificato l'attuale assetto di tre controllate dall'azienda: una relativa alla generazione elettrica, al 70 per cento francese e il resto Acea. E altre due jv, che si occupano di trading e vendita di energia, controllate al 50 per cento dai due partner.Lo schema dell'operazione, nell'ultima edizione (da giugno a oggi gli accordi sono stati migliorati a favore dell'Acea), prevede che l'azienda comunale ceda «la partecipazione detenuta in Acea Electrabel Produzione e Acea Electrabel Trading». Centrali elettriche e compravendita di energia passano a totale controllo francese. E ancora: «Acea Electrabel Elettricità incorpora Italcogim vendite», dove Italcogim è la jv tra Gdf e Pirelli sia sulle reti di distribuzione del gas che sulla vendita. «La società risultante dalla fusione (newco vendita) venderà in esclusiva elettricità e gas ai clienti finali (solo retail, esclusi i clienti industriali che passano sotto controllo francese, ndr)». Il suo controllo, oltre la nomina dell'a.d., spetterà all'Acea. Infine,è prevista la creazione di una newco distribuzione, di cui l'utility avrebbe il 75 per cento, in cui conferire la rete romana di distribuzione del gas, che Gdf riceverebbe da Eni, e le reti del gas di Italcogim.L'operazione avrebbe inoltre comportato un aumento dell'indebitamento di Acea tra i 300 e i 400 milioni necessario per controbilanciare il conferimento delle reti che Italcogim possiede in varie zone in Italia e dunque non cruciali per Acea. Il vantaggio sarebbe stato per la società capitolina un aumento del margine operativo lordo già nel 2009 del 5 per cento, da 658 a 691 milioni.Per l'azionista di maggioranza, la cui attenzione su certi aspetti è stata richiamata da Caltagirone già dall'estate scorsa, si tratta di accordi sbilanciati. Acea viene, da una parte, portata a cedere la partecipazione in attività che possono consentirle di contribuire a scegliere a quali prezzi comprare l'energia elettrica e il gas che distribuisce attraverso le sue reti. E questo al solo scopo di controbilanciare il peso dei nuovi asset che i francesi conferirebbero in Acea: la rete del gas e contratti di fornitura per 4 miliardi di metri cubi di gas che Gdf riceverebbe dall'Eni di Paolo Scaroni. Il Comune ha obiettato che l'operazione poteva essere fatta in altro modo: gli accordi esistenti prevedono infatti che se Acea o Electrabel avessero avviato attività nel gas avrebbero dovuto offrirne il 50 per cento in prelazione al partner. L'azienda può dunque decidere di comprare, ricorrendo all'indebitamento bancario, metà della proprietà della rete ed eventualmente dei contratti di gas portati da Gdf. Perchè, dunque, dover rinunciare alla proprietà delle centrali elettriche? Sulla strada degli accordi resta un altro ostacolo: la scadenza della concessione della rete romana del gas, prevista a fine 2009. Si dovrà andare a gara: se Acea perde, possedendo la rete, ha come prospettiva un contenzioso con il nuovo concessionario per ottenere l'indennizzo sulla perdita dell'asset. Se vince, sarà perchè in procedura di gara avrà offerto al Comune un canone maggiore rispetto a quello attuale, e dunque avrà ridotto la redditività della rete. Tutto questo ha come contropartita un incremento del Mol che, dedotti gli oneri per il maggiore debito, sarebbe di qualche milione di euro. (Dal Sole 24 Ore)

giovedì 12 marzo 2009

Timori sui consumi di greggio

L'incognita della domanda continua a influenzare i mercati petroliferi, ieri trascinati in caduta proprio dal prevalere del pessimismo sull'evoluzione dei consumi. Nonostante il contemporaneo scivolone del dollaro e nonostante i dubbi, non del tutto scomparsi, sulla possibilità di un nuovo taglio di produzione dell'Opec, gli operatori hanno preferito rivolgere lo sguardo soprattutto agli ultimi dati sulle importazioni cinesi e alle statistiche su stoccaggi e consumi negli Stati Uniti.Dai due maggiori consumatoridi petrolio del mondo sono arrivate cifre di interpretazione non proprio cristallina, che tuttavia sono state lette come indicatori di un indebolimento della domanda, sufficienti a spingere il Wti in ribasso di oltre 3 dollari al barile, a quota 42,33.Pechino, in particolare, ha reso noto di avere importato in febbraio 11,73 milioni di tonnellate di greggio (pari a circa 3,1 milioni di barili al giorno), il 17,9% in meno di un anno prima. Nei primi due mesi dell'anno il calo dell'import è stato del 13%, il più forte dal 2005. La tendenza, azzardano alcuni analisti, si potrebbe anche spiegare con l'esaurimento della capacità di stoccaggio. Ma il timore che anche la locomotiva cinese possa finire in affanno è pressante.Di certo, l'economia Usa non è in buona salute. Anche in questo caso, tuttavia, non manca qualche interrogativo sui consumi di carburante.Dalle statistiche dell'Energy Information Administration (Eia) è emerso che la domanda di benzina nelle ultime 4 settimane è aumentata dell'1,6% annuo, superando di nuovo la fatidica soglia dei 9 mbg. Un dato che, abbinato al crollo delle scorte (-3 mb in una settimana) aveva fatto inizialmente impennare le quotazioni della benzina stessa al Nymex. Ma l'effetto si è esaurito in fretta, non appena ci si è accorti che nella singola settimana conclusasi il 6 marzo gli americani avevano in realtà riempito un po' meno i serbatoi delle auto: la domanda in quei giorni è scesa in media di 232mila bg. Nello stesso periodo, inoltre, gli stock di greggio sono saliti di 700mila barili, quelli di distillati di 2,1 milioni (e in questo caso c'è anche un inequivocabile crollo della domanda, legato alla diminuita attività di trasporto delle merci). Anche le raffinerie, infine, lavorano sempre più a rilento, come del resto molti altri impianti industriali, non solo negli Usa: sempre ieri si è saputo che in Germania gli ordinativi in gennaio sono crollati dell'8 per cento.Le ultime novità potrebbero non essere di per sè determinanti nell'orientare le decisioni dell'Opec, al vertice di domenica. Tuttavia, anche per i membri del Cartello la domanda è un rebus cruciale. «Se in febbraio la domanda è stata inferiore alla produzione –ha spiegato il ministro iracheno Hussain al Sharistani – considereremo se ridurre ancora l'output».A favore di un nuovo taglio – o meglio:a favore dell'immediata applicazione di un nuovo taglio – si sono schierati comunque in modo esplicito soltanto l'Algeria e il Venezuela. Gli altri non si sono pronunciati o hanno fatto sapere che preferirebbero spingere per un'adesione ancora più stretta alle quote produttive. «Ci sono ancora 800mila barili al giorno che possiamo ritirare dal mercato –ha ricordato il qatarino Abdullah al Attiyah – Si tratta di un volume di greggio notevole». (Dal Sole 24 Ore)

Snam Rg e Terna aumentano la cedola, ma il listino non festeggia

Seduta in controtendenza per due utility come Snam Rete Gas e Terna, controllate rispettivamente dall'Eni di Paolo Scaroni e dall'Enel, che ieri hanno chiuso le contrattazioni in discesa nonostante la decisione di entrambe di aumentare il dividendo. Il cda di Snam Rete Gas, il cui titolo ieri ha perso il 2,6% a quota 3,74 euro, ha approvato il bilancio consolidato 2008 con un utile netto di 530 milioni di euro (528 milioni per la sola spa). All'assemblea dei soci (16 e 17 aprile 2009 in prima e seconda convocazione) si proporrà la distribuzione di un dividendo di 0,23 euro per azione (rispetto a 0,21 dell'anno scorso), di cui 0,09 euro sono già stati distribuiti nell'ottobre 2008. Il dividendo a saldo di 0,14 euro per azione sarà messo in pagamento dal 21 maggio. Ma attenzione: proprio in maggio dovrebbe partire anche l'aumento di capitale da 3,5 miliardi che Snam Rete Gas dovrà lanciare per sostenere l'acquisto di Italgas e Stogit dalla controllante Eni.Quanto a Terna, che ha chiuso la seduta in calo del 4,4% a quota 2,23 euro, il gruppo ha registrato un utile netto 2008 di 327,5 milioni, in calo del 5,6% sul 2007, ma proporrà ai soci la distribuzione di un dividendo di 15,8 centesimi per azione, in crescita del 4,6%, di cui 5,92 già pagati a titolo di acconto e 9,88 quale saldo a giugno 2009. Dunque un dividendo più alto di fronte a una riduzione del risultato netto dovuta principalmente alla prevista crescita degli ammortamenti e degli oneri finanziari e alla dinamica dei ricavi per il trasporto di energia in Italia, che rimangono stabili nonostante l'effetto scalino dell'inizio del nuovo periodo regolatorio. Nel dettaglio, i ricavi sono aumentati del 3,5% a 1,39 miliardi, il margine operativo lordo è salito dell'1,7% a 994,7 milioni, il risultato operativo invece calato dell'1,2% a 714,3 milioni. Gli investimenti sono cresciuti del 25,6%, a 775,9 milioni, di cui 560,9 soggetti a incentivi. L'indebitamento netto si è attestato a 3,365 miliardi rispetto ai 2,649 di fine 2007. A livello di capogruppo l'utile netto è stato di 335,3 milioni (-2,9%). «Il 2008 si chiude al di sopra delle previsioni», ha dichiarato l'ad Flavio Cattaneo, precisando che il costo medio del debito di Terna nel 2008 è stato del 6% a livello consolidato (5% in Italia e 11% in Brasile, con un'ipotesi di riduzione al 4 e 10% nel 2009). «Il risultato ci consente di confermare un dividendo in crescita del 4,6%». Anche se un rendimento implicito del titolo del 7,1% non è bastato per far festeggiare il mercato. (Da MF)