L'incognita della domanda continua a influenzare i mercati petroliferi, ieri trascinati in caduta proprio dal prevalere del pessimismo sull'evoluzione dei consumi. Nonostante il contemporaneo scivolone del dollaro e nonostante i dubbi, non del tutto scomparsi, sulla possibilità di un nuovo taglio di produzione dell'Opec, gli operatori hanno preferito rivolgere lo sguardo soprattutto agli ultimi dati sulle importazioni cinesi e alle statistiche su stoccaggi e consumi negli Stati Uniti.Dai due maggiori consumatoridi petrolio del mondo sono arrivate cifre di interpretazione non proprio cristallina, che tuttavia sono state lette come indicatori di un indebolimento della domanda, sufficienti a spingere il Wti in ribasso di oltre 3 dollari al barile, a quota 42,33.Pechino, in particolare, ha reso noto di avere importato in febbraio 11,73 milioni di tonnellate di greggio (pari a circa 3,1 milioni di barili al giorno), il 17,9% in meno di un anno prima. Nei primi due mesi dell'anno il calo dell'import è stato del 13%, il più forte dal 2005. La tendenza, azzardano alcuni analisti, si potrebbe anche spiegare con l'esaurimento della capacità di stoccaggio. Ma il timore che anche la locomotiva cinese possa finire in affanno è pressante.Di certo, l'economia Usa non è in buona salute. Anche in questo caso, tuttavia, non manca qualche interrogativo sui consumi di carburante.Dalle statistiche dell'Energy Information Administration (Eia) è emerso che la domanda di benzina nelle ultime 4 settimane è aumentata dell'1,6% annuo, superando di nuovo la fatidica soglia dei 9 mbg. Un dato che, abbinato al crollo delle scorte (-3 mb in una settimana) aveva fatto inizialmente impennare le quotazioni della benzina stessa al Nymex. Ma l'effetto si è esaurito in fretta, non appena ci si è accorti che nella singola settimana conclusasi il 6 marzo gli americani avevano in realtà riempito un po' meno i serbatoi delle auto: la domanda in quei giorni è scesa in media di 232mila bg. Nello stesso periodo, inoltre, gli stock di greggio sono saliti di 700mila barili, quelli di distillati di 2,1 milioni (e in questo caso c'è anche un inequivocabile crollo della domanda, legato alla diminuita attività di trasporto delle merci). Anche le raffinerie, infine, lavorano sempre più a rilento, come del resto molti altri impianti industriali, non solo negli Usa: sempre ieri si è saputo che in Germania gli ordinativi in gennaio sono crollati dell'8 per cento.Le ultime novità potrebbero non essere di per sè determinanti nell'orientare le decisioni dell'Opec, al vertice di domenica. Tuttavia, anche per i membri del Cartello la domanda è un rebus cruciale. «Se in febbraio la domanda è stata inferiore alla produzione –ha spiegato il ministro iracheno Hussain al Sharistani – considereremo se ridurre ancora l'output».A favore di un nuovo taglio – o meglio:a favore dell'immediata applicazione di un nuovo taglio – si sono schierati comunque in modo esplicito soltanto l'Algeria e il Venezuela. Gli altri non si sono pronunciati o hanno fatto sapere che preferirebbero spingere per un'adesione ancora più stretta alle quote produttive. «Ci sono ancora 800mila barili al giorno che possiamo ritirare dal mercato –ha ricordato il qatarino Abdullah al Attiyah – Si tratta di un volume di greggio notevole».
(Dal Sole 24 Ore)