martedì 31 marzo 2009

Gas giù del 7%, elettricità meno cara del 2%

Luce e gas costeranno di meno a partire dal primo aprile. Il risparmio annuo complessivo per una famiglia tipo sarà di 92 euro. L'Autorità per l'energia ieri ha annunciato l'ennesima diminuzione delle tariffe per le famiglie e le imprese che non abbiano optato per un nuovo fornitore con tariffe prestabilite.«Ciò significa - ha commentato il ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola - che si stanno riaprendo margini significativi per l'investimento e il consumo, elementi importantissimi per arginare la crisi». Ma i ritocchi, legati al minor prezzo del carburante, non convincono le associazioni dei consumatori che reclamano ribassi più consistenti.Per l'energia elettrica la diminuzione per la fornitura tipica sarà del 2% con una spesa annuale inferiore di circa 9,4 euro. Un calo minimo, tuttavia, come ha spiegato il presidente dell'Authority, Alessandro Ortis, nel precedente aggiornamento, a gennaio, c'era già stato un ribasso del 5,1%.Quanto al gas, la riduzione del prezzo sarà pari al 7,5%, per un minor esborso annuale di 83 euro. Il ritardo nell'adeguamento del prezzo del gas, rispetto all'elettricità, sarebbe collegato al diverso meccanismo di formazione delle relative tariffe che si basano sull'andamento delle quotazioni dei prodotti petroliferi nei 9 mesi precedenti.A questo si aggiunga che l'attuale aggiornamento trimestrale del gas è risultato «leggermente attenuato» dall'incremento dei costi relativi ai servizi di stoccaggio (+6,1%) e trasporto (+5,1%) che insieme pesano per il 6,3% sul prezzo finale.Continua il sensibile calo del Gpl (gas di petrolio liquefatto) per il quale il calo sarà pari al 5% per una minor spesa di 35 euro su base annua.A giugno per le famiglie meno abbienti sarà operativo un buono sconto retroattivo all'inizio del 2009, come quello già operante per l'elettricità e pari al 20% della bolletta (sul netto dalle tasse), retroattivo a tutto il 2008 per chi presenti domanda al Comune entro il 30 aprile prossimo.I ribassi non convincono del tutto le associazioni dei consumatori: per Adoc l'aggiornamento tariffario «è una buona notizia ma i ribassi sono contenuti essendoci ancora un ampio margine di manovra per ridurre ulteriormente i prezzi di almeno il 30%». «Il calo delle bollette non riflette le aspettative dei centri di ricerca che avevano stimato diminuzioni più consistenti e pari al 7% per la luce » evidenziano Adusbef e Federconsumatori. Anche per il Codacons «si poteva fare di più» soprattutto sul fronte del ribasso dei carburanti, i cui prezzi «restano immotivatamente elevati a tutto danno dei consumatori italiani ». (Dal Corriere della Sera)

Toscana Energia, dal gas al fotovoltaico

Una controllata gestirà le energie rinnovabili, trattativa per cedere i clienti all´Eni di Paolo Scaroni (da Repubblica)

TOSCANA ENERGIA - che nel 2008 è al top tra le partecipate del Comune di Firenze per volume di utili (11,9 milioni, +25,2%) e che quindi porterà circa 2,2 milioni nelle casse di Palazzo Vecchio - punta a svilupparsi nel campo delle energie rinnovabili e dei servizi, ad uscire dal settore della gestione clienti e guarda alla quotazione in Borsa. Non più solo gestione delle rete del gas, dunque, per la società nata tre anni fa dal matrimonio tra una novantina di Comuni fiorentini, pisani e pistoiesi da una parte e Italgas di Eni dall´altra: 438 dipendenti, 655.000 misuratori e 1.043,5 milioni metri cubi di volume di gas vettoriato, nel 2008 fatturato a 78,4 milioni (+10,9%) e investimenti a 34 milioni (+16%). Toscana Energia conta di sviluppare i nuovi servizi mediante un´apposita società controllata, la pisana Toscana Servizi che è stata acquistata a fine anno, che avrà presto un nuovo nome e si occuperà di impianti fotovoltaici, illuminazione, teleriscaldamento, gestione calore, cogenerazione. «Siamo interessati - spiega il presidente di Toscana Energia Lorenzo Becattini - a realizzare e gestire impianti fotovoltaici per la produzione di energia elettrica purché abbiano una dimensione industriale». Per far crescere la nuova società, Toscana Energia conta di alimentarne il capitale sociale attraverso quanto ricaverà dall´uscita da Toscana Energia clienti, controllata all´80% da Eni. Becattini spera che la trattativa si concluda in tempi brevi. «La gestione della clientela può avvenire in modo più efficace su scala nazionale - dice - per questo contiamo che Eni acquisti la nostra quota della società in cambio di oltre una decina di milioni di euro. Nella nuova società assumeremo un cinquantina di persone». La Borsa? Becattini non chiude: «Se ne potrà parlare concretamente dopo il 2010-2011 se usciremo dalle gare per il rinnovo delle concessioni con l´attuale zoccolo duro di 105 Comuni serviti per altri 12 anni».

lunedì 30 marzo 2009

La resa di Bruxelles: sull’energia liberi tutti

Dopo gli accordi notturni sulle reti dell’energia, che aspettano di essere ratificati dal Parlamento europeo, finisce definitivamente in soffitta l’idea originaria della Commissione di Bruxelles. Quella pro mercato di una separazione piena (cioè proprietaria) tra gasdotti e linee elettriche da una parte, e produttori di gas ed elettricità dall’altra. Anzi, concedendo a tutti gli Stati membri la possibilità di scegliere fra tre soluzioni — scorporo, sistema dell’Independent system operator (Iso) o dell’Independent trasmission operator (Ito) — si avalla in sostanza un principio, che suona più o meno così: «Ognuno faccia come meglio crede». Il rischio che i mercati dei 27 diventino un bel guazzabuglio è reale, e gli ostacoli attuali rimarranno. Ma non solo. Perché se è vero che l’organizzazione di un mercato è cosa diversa dalle politiche antitrust, come essere certi che il «liberi tutti» non si traduca anche in un ridimensionamento della politica europea della concorrenza, che spesso ha tagliato le unghie ai grandi produttori continentali (Edf, E.On, Rwe e di recente Eni) in difesa dei consumatori? (Da Corriere.it)

Petrolchimica, l'Eni sospende le forniture a Ineos

Difficile pensare con quale faccia, e soprattutto con quali intenzioni, l'Ineos e l'imprenditore veneto Fiorenzo Sartor torneranno domani al ministero dello Sviluppo economico a cui cono stati convocato da Claudio Scajola. Solo dieci giorni fa, dopo l'ennesima crisi nella snervante trattativa per la cessione del ciclo del cloro di Marghera, avevano firmato quello che doveva essere l'accordo finale, con impegni dettagliati di cifre da pagare, di tempi da rispettare. Ora si accusano a vicenda di avere fatto saltare il confronto per ragioni sicuramente ben poco chiare. Il sindaco di Venezia, Massimo Cacciari, ieri ha ripetuto che se dovesse saltare l'accordo «sarebbe il disastro per il settore chimico italiano perché il problema non riguarda solo Marghera ma un intero sistema produttivo strategico per il Paese ».«Il Governo farà riprendere la trattativa - si è detto certo il governatore del Veneto Giancarlo Galan - perché non è in ballo solo la sorte di 300 famiglie legate a questo impianto, ma molto di più».Ma sono reazioni politiche, basate sull'esile speranza che resta e sulle intenzioni che non possono non essere buone. La realtà è che invece a Marghera, di fatto, è in corso il processo di fermata degli impianti. L'Eni ha bloccato una nave di dicloroetano a Ravenna ed ha chiesto all'Ineos di chiudere i rubinetti di rifornimento dell'etilene.«Il perché è semplice - ha ribadito Alberto Alberti, amministratore delegato di Polimeri Europa, la fornitrice di etilene l'accordo siglato solo dieci giorni fa tra Ineos, Sartor e l'Eni di Paolo Scaroni è stato completamente disatteso e né Ineos né Sartor hanno provveduto a effettuare i pagamenti previsti e concordati. Oltretutto la legge vieta espressamente di continuare a rifornire una società in presenza di una manifesta insolvenza. L'Eni non aveva altre scelte».Lo scenario più nero è facilmente raccontabile: 300 lavoratori lasciati a casa da una Ineos che porta i libri in tribunale, altri 314 messi in libertà da Syndial perché salta la sinergia produttiva per il cloro, e poi a caduta blocco del cracking gestito da Polimeri Europa con 400 dipendenti ed inattività forzata anche per Spm, Arkema e Solvay che assieme hanno poco meno di 400 occupati. Questo solo a Marghera, poi i riflessi partirebbero da Porto Torres per estendersi a Ravenna, Mantova, Ferrara.Domani la giornata più lunga della chimica veneziana comincerà alle 8 con la convocazione dei lavoratori da parte del sindacato nello storico capannone del Petrolchimico. Ineos riunirà il Cda per i "provvedimenti del caso" ma dovrà anche presentarsi a Roma con Sartor. Se è stato solo un bluff,l'ennesimo,non basterà una tirata d'orecchi, ma se l'accordo salta veramente il Governo si troverà un problema in più, gravissimo, da risolvere con urgenza in un momento tutt'altro che facile. (Dal Sole 24 Ore)

venerdì 27 marzo 2009

Gli scienziati al G-8: inversione di rotta nell'uso dell'energia

Tra il 2030 e il 2050 dovremo realizzare una vera inversione di rotta nell'uso dell'energia. Le rinnovabili dovranno avere la supremazia o quasi. Il nucleare dovrà rinascere senza scorie, con i detriti impiegati come nuovo carburante. Petrolio, carbone e gas dovranno sorreggere progressivamente questa riconversione accompagnando una corsa parallela all'efficienza energetica. Lo scenario, per quanto azzardato possa sembrare, viene dai migliori scienziati del pianeta riuniti a Roma per il "G8 della scienza" organizzato dall'Accademia dei Lincei e sponsorizzato da Edison (si veda Il Sole 24 Ore del 25 marzo) che dovrà suggerire ai politici del prossimo G8 le strategia da adottare su due versanti solo apparentemente distinti: l'energia, appunto, e i flussi migratori.Verso fine secolo con l'energia " pulita"? Sfida obbligata, ammoniscono gli scienziati. Perché se la macchina della ricerca non accelererà, la negligenza nel combattere il riscaldamento globale da CO2 avvierà il pianeta ad una fine irreversibile.Un grande monito dalla due giorni i corso a Roma. Ma anche un invito a vedere, in tutto ciò, i lati positivi. «L'impulso alla ricerca sulle nuove tecnologie energetiche può essere un fattore chiave per un nuovo sviluppo economico, sia per i paesi industrializzati sia per quelli emergenti» si leggerà nel documento finale già abbozzato dagli scienziati. Che lanciano i loro suggerimenti senza troppa paura di disturbare i politici e i loro opportunismi.Ecco ad esempio Guy Laval, dell'Accademia francese delle scienze. Le scorie nucleari sono oggi un problema risolvibile? No, dice senza mezzi termini lo scienziato del paese che più usa l'atomo elettrico. Le scorie, insieme ai pesantissimi investimenti necessari, rappresentano oggi i veri nodi del nucleare, insiste in una relazione anche il collega d'Accademia Jean Salencon. Ma ecco la soluzione: «il nucleare di quarta generazione potrà usarle queste scorie come nuovo combustibile. Teniamole lì, per ora rassegnamoci, e intanto acceleriamo al ricerca sulla nuova tecnologia che risolverà il problema» dice Laval. Il segnale, un po' imbarazzante,è duplice. Da una parte la meta della quarta generazione, magari tra qualche decennio, è raggiungibile. Dall'altra qualcuno potrebbe essere tentato di incrementare i depositi delle attuali scorie proprio in previsione di rivendersele un domani come carburante.Non meno laico è Lu Yongxiang, dell'Accademia delle scienze cinese. Proprio lui, che rappresenta il paese più ingordo di nuovo petrolio e di nuove centrali a carbone, traccia l'obbligo e l'opportunità di contenere il più possibile il ricorso ai combustibili fossili per sviluppare le rinnovabili, specie il solare termico e fotovoltaico. «In Cina abbiamo le condizioni migliori del pianeta» azzarda. E azzarda ancor di più quando disegna il nucleare del futuro: «grandi centrali assolutamente pulite ma anche microreattori a bordo delle auto e dei satelliti».

L'Italia teme le scalate di Gazprom

Fino a oggi era stato solo evocato da alcuni dossier dei servizi segreti e dal presidente della Consob, Lamberto Cardia. Ma la paura che i valori di borsa possano scatenare appetiti pericolosi è stata messa ieri nero su bianco in una sentenza importante. La Corte di Giustizia europea ha infatti condannato in via definitiva l'Italia per aver violato i principi sulla libertà di stabilimento e di circolazione di capitali dettati dagli articoli 43 e 56 del Trattato Ue con la legge del 2004 sulla golden share. E nella memoria depositata dall'Avvocatura dello Stato (avvocato Paolo Gentili), tra i motivi che hanno spinto l'allora governo Berlusconi a varare la misura anti-scalate nelle società più importanti di interesse nazionale (Eni, Enel, Telecom Italia e Finmeccanica), si fa proprio esplicito riferimento al rischio di scalate ostili. Il caso è riportato per l'esattezza al punto 49 della sentenza della Corte (terza sezione, presidente A.Rosas) con cui si è data ragione alla Commissione europea. «Nelle sue memorie», si legge nel testo della sentenza appena depositato, «la Repubblica Italiana non ha prodotto alcuna prova e neppure alcun indizio che l'applicazione dei criteri controversi per l'esercizio dei poteri di opposizione permetta di conseguire gli obiettivi perseguiti. Durante l'udienza», proseguono i giudici, «lo Stato membro (l'Italia, ndr) ha menzionato l'eventualità che un operatore straniero legato a un'organizzazione terroristica tenti di acquisire rilevanti partecipazioni in società nazionali in un'area strategica». E il pensiero va ai fondi sovrani, più volte evocato da Silvio Berlusconi. C'è di più. Sempre l'Italia ha sostenuto davanti alle toghe europee che esiste anche la «possibilità che una società straniera che controlli reti internazionali di trasmissione di energia (si pensi a un gasdotto) e che, in passato, si sia avvalsa di detta posizione per creare gravi difficoltà di approvvigionamento a paesi limitrofi, acquisisca azioni in una società nazionale. Secondo tale Stato membro, la sussistenza di precedenti di tale natura», continua la Corte, «potrebbe giustificare un'opposizione all'acquisizione, da parte di questi investitori, di partecipazioni notevoli nelle società nazionali considerate». L'Italia non fa alcun nome, ma in questo caso il riferimento sembra evidente: Gazprom, il colosso russo del gas da cui dipende tutta Europa per l'approvvigionamento di oro azzurro, più volte ha creato seri problemi al fabbisogno europeo, anche italiano, non ultimo quando ha bloccato a fine 2008 le forniture all'Ucraina, mettendo a rischio anche quelle destinate ai clienti dell'Unione europea. Un cliente scomodo, con cui l'Eni di Paolo Scaroni è in solidi rapporti d'affari, ma che evidentemente non si vuole come socio nel capitale. Queste considerazioni non sono però bastate ai giudici che, pur riconoscendo i «motivi di pubblica sicurezza» addotti, hanno imputato all'Italia di non aver provato l'esistenza di «una minaccia effettiva e sufficientemente grave». Il Tesoro, a cui è stato però riconosciuto il «potere di veto» nei confronti dei paesi extra-Ue, e dunque la Russia, ora dovrà pagare le spese legali e decidere come rivedere la normativa sulla golden share.

giovedì 26 marzo 2009

La Russia cerca di liberarsi dal vizio del petrolio

Sainsbury’s ha appena dichiarato la sua crescita più forte in un decennio. Ciò non si direbbe proprio realizzabile da un supermercato esclusivo durante una grave recessione. Justin King, il direttore della terza catena di supermercati del Regno Unito, ha fatto un buon lavoro in parte correggendo gli errori del passato. Se continua a rimediare al più grande errore del precedente management - che si è sbagliato su come fissare i prezzi - Sainsbury’s potrebbe perfino fare meglio durante una fase di ripresa. I segnali sono buoni. Le vendite basilari, escludendo il carburante e togliendo il taglio di dicembre dell’Iva, sono aumentate del 7% nelle 11 settimane fino al 21 marzo. L’aumento dei prezzi degli alimentari ha contribuito ma anche il numero delle transazioni è aumentato del 3%. I negozianti hanno rinnovato le scorte di prodotti a buon mercato e di prodotti di marchio proprio, fortemente promossi. Nel settore retail, in genere l’aumento dei volumi determina minori margini di profitto. Ma i prodotti di marchio proprio hanno elevati margini e quindi questa crescita delle vendite dovrebbe essere abbastanza favorevole all’utile netto.Tuttora, le patate dolci di Sainsbury’s si vendono all’interessante prezzo di 0,70 sterline al sacchetto, ma le sue azioni non sembrano un affare. Sono scambiate a 15 volte gli utili previsti per il 2009, un 25% superiore al multiplo del dettagliante medio europeo di alimentari. Gli investitori, che hanno reagito con scarso entusiasmo alla relazione sulle vendite, potrebbero entusiasmarsi se la tesi di King che Sainsbury’s sta traendo profitto dalla recessione in altri modi si dimostrasse vera. Egli sostiene che le promozioni stanno facendo ritornare i negozianti che avevano piantato in asso Sainsbury’s negli anni Novanta quando gli scaffali erano quasi vuoti e i prezzi troppo alti. I risultati preliminari del mese di maggio forniranno un quadro più chiaro. Ma Sainsbury’s potrebbe perfino andare talmente bene da mettere in difficoltà Tesco, il leader della grande distribuzione nel Regno Unito. \Il mercato azionario è aumentato del 50% negli ultimi due mesi. La banca centrale sta vendendo la divisa per impedirne l’apprezzamento. Questa è la Russia di oggi e non sembra vero. Ma la combinazione di un aumento dei prezzi delle materie prime e di sane politiche fiscali sembra abbia portato un disgelo anticipato dell’economia russa. Ci vorrà un po’ di tempo ma sembra che i sostenitori delle politiche del libero mercato e di una severa disciplina fiscale l’abbiano spuntata all’interno del Cremlino. Questo non era garantito lo scorso novembre, quando il governo presentò un budget 2009 basato su un prezzo del petrolio di 95 dollari al barile - quando il prezzo era inferiore ai 60 dollari. In quel momento, il governo stava cercando di contrastare la crisi dando denaro agli oligarchi in difficoltà finanziarie. Vladimir Putin, il primo ministro, ordinò al governo di stilare un budget più credibile, basato sul prezzo del petrolio del momento, 41 dollari al barile. Pertanto, il governo dovette ammettere che l’economia avrebbe subito una contrazione nel 2009, che anni di eccedenze si sarebbero trasformati in anni di disavanzi di bilancio del 7% circa del Pil e che l’inflazione avrebbe continuato ad aumentare. Il rinsavimento ha aiutato il gruppo dei membri riformisti del Gabinetto, guidati dal vice primo ministro, Igor Shuvalov, e dal ministro delle Finanze, Alexei Kudrin, che avevano cercato d’imporre una visione realistica. Hanno ottenuto un budget severo riguardo alla spesa e ai sussidi e tenteranno di sfruttare l’opportunità per imporre più riforme. Per la corrente riformista, il bonus del budget, derivante da un prezzo del petrolio di 50 dollari, non è necessariamente gradito. Shuvalov si è spinto fino al punto di desiderare ancora alcuni anni di bassi prezzi delle materie prime per costringere l’economia russa ad adottare “un nuovo modello”. Che il Paese stia addirittura pensando di liberarsi dal vizio del petrolio è un segnale incoraggiante: questa grave crisi potrebbe finire per aiutare la causa delle riforme. (Da la Stampa)

Gazprom pronta a riacquistare gli asset Yukos da Eni e Enel

Gazprom bussa ad Eni ed Enel e va all´incasso di un´opzione che cominciava a far muffa. Per quasi due anni, infatti, le holding italiane hanno tenuto in naftalina dei vecchi «attivi» di Yukos, il colosso del gas e del petrolio smembrato dal Cremlino (messo in liquidazione giudiziaria in seguito alla condanna dell´oligarca Mikhail Khodorkovskij, l´azionista di maggioranza, a otto anni di penitenziario siberiano, nell´ambito di un processo dai connotati più politici che finanziari). Erano stati messi all´asta nel 2007 ed erano stati acquistati dagli italiani, dopo laboriosi accordi con le autorità russe, ed il tacito patto di rivenderle al monopolista russo, loro partner.Quel tempo è finalmente arrivato: quasi in zona Cesarini. L´opzione di Gazprom scadeva a metà aprile. Perché il colosso russo nicchiava? Perché i suoi dirigenti avevano espresso più volte i loro dubbi sull´opportunità di esercitare il diritto di opzione in piena crisi economica (come sottolineava ieri il quotidiano Vedomosti). A rompere gli indugi è stato lo stesso premier Putin, il grande nemico di Khodorkovskij, che ha anche probabilmente convinto alcune banche a mollare i cordoni delle loro borse e a tirar fuori i quattrini per i prestiti necessari.L´annuncio ufficiale dell´operazione sarà dato durante la visita di Silvio Berlusconi a Mosca il 6 e il 7 aprile, in occasione del Forum commerciale bilaterale (più di 800 le aziende italiane iscritte alla missione). Gazprom comprerà dagli italiani il 20 per cento di Gazpromneft per 4 miliardi di dollari e il 51 per cento di Severenergia per 1,5.In realtà, Putin e Berlusconi hanno discusso della questione un mese fa. Gli acquisti sarebbero stati definiti nei dettagli in questi trenta giorni, e soddisfarebbero ampiamente l´Eni e l´Enel che incasseranno preziosa liquidità. Il 20 per cento di Gazprom Neft fu comprato dall'Eni di Paolo Scaroni per 3,7 miliardi di dollari. Nel giugno del 2008 era salito sino a 7,7 miliardi di dollari. Oggi ne vale appena 2,2: ecco il perché delle esitazioni di Gazprom. I negoziati sono ora si sono spostati sul fronte bancario: Sberbank, Gazprombank e Rosselkhozbank accorderebbero al monopolista del gas 3,2 miliardi di euro (cioè 4,3 miliardi di dollari). L´onere più pesante se lo accollerebbe Sberbank, con 2 miliardi di Euro. (Da Repubblica)

mercoledì 25 marzo 2009

Eni, Bp e Shell sono interessate a Santos, terzo operatore nel settore del petrolio e del gas in Australia

Eni, Bp e Shell sono interessate a Santos, terzo operatore nel settore del petrolio e del gas australiano che, secondo un analista, potrebbe valere 7 miliardi di dollari. Da quanto emerge sul mercato, sembra invece meno probabile che si faccia avanti la cinese China National Petroleum. Santos è al centro di voci di Opa da quando è venuto meno un veto governativo alla presenza di soci stranieri. Il titolo del gruppo, che vanta un bilancio solido e un business nel gas promettente, era schizzato del 16% lo scorso 8 dicembre dopo indiscrezioni stampa di una possibile offerta da parte di Cnpc, controllante di PetroChina. (Da Finanza & Mercati)

Energia, per la Ue Snam Rg può restare all'Eni

I grandi colossi europei dell'energia possono tirare un sospiro di sollievo: la separazione completa obbligatoria tra produttori di energia e gestori di reti non ci sarà. Il Parlamento Europeo ha infatti rinunciato al cosiddetto unbundling proprietario, cedendo alle pressioni soprattutto dei governi, Francia e Germania in testa, che si erano decisamente battuti per evitare lo smantellamento dei rispettivi colossi energetici, Edf, Rewe ed Eo.n in testa. Ma ovviamente la notizia non è dispiaciuta nemmeno all'Eni, visto che il gruppo guidato da Paolo Scaroni controlla Snam Rete Gas con oltre il 50%. La decisione è arrivata al termine di un negoziato concluso nella notte tra ieri e l'altroieri tra il Parlamento, la Commissione e la presidenza ceca dell'Ue. L'intesa, in particolare, prevede per gli Stati membri tre opzioni per non penalizzare troppo i campioni nazionali e al tempo stesso per favorire la concorrenza. I produttori di energia che posseggono anche reti, potranno infatti non solo venderle oppure affittarle, ma potranno in alternativa demandarne la gestione a una controllata (anche al 100%) che però sia pienamente indipendente. In particolare quest'ultima opzione preserva le società integrate di fornitura e trasmissione, obbligandole però a rispettare certe regole per assicurare che le due divisioni della stessa società operino in modo indipendente. A questo proposito si prevede un organismo di supervisione (ne fanno parte rappresentanti della società, azionisti della terza parte e rappresentanti dell'operatore di sistema) responsabile per le decisioni che possono avere un impatto significativo sul valore degli asset degli azionisti»; un programma di conformità per impedire condotte discriminatorie; un responsabile per il controllo del rispetto di tale programma. Quest'ultima ipotesi, caldeggiata da Parigi e Berlino, era già passata a livello di governi nel giugno 2008, solo che poco dopo il Parlamento Europeo aveva contrapposto la propria posizione molto più radicale. Ieri intanto Scaroni, a Mosca per incontrare il vicepremier russo Igor Secin e il presidente di Gazprom Alexei Miller, ha spiegato che il gruppo italiano è pronto a tornare all'idea di un consorzio per garantire l'efficienza della rete di gasdotti ucraina. «L'Eni, e penso anche altre grandi compagnie energetiche quali E. on e Gaz de France, è pronta a ritornare all'idea del consorzio che garantisca forniture stabili ed efficienti di gas», ha spiegato Scaroni criticando le modalità dell'accordo dell'altro ieri fra la Ue e l'Ucraina sull'ammodernamento della rete di gasdotti di Kiev, che ha escluso la Russia. Scaroni ha sottolineato la necessità di un nuovo negoziato che veda coinvolti tutti i protagonisti, produttori, fornitori, consumatori, compresi Gazprom e Naftogaz Ucraina. Non sembra invece trovare grandi conferme la notizia, apparsa ieri, secondo la quale l' Eni sarebbe interessata, assieme alle britanniche Bp e Shell, a Santos, terzo operatore nel settore del petrolio e del gas australiano che potrebbe valere 7 miliardi di dollari. (da Mf)

martedì 24 marzo 2009

Petrolio oltre 53 dollari al barile

Il rally di Wall Street ha trascinato in rialzo anche i merca-ti petroliferi, dove la seduta si è chiusa sui massimi dell'anno: sia il Brent sia il Wti hanno superato quota 53 dollari albarile.L'ottimismo sulla salute dell'economia –in particolare quella cinese – spiega anche l'ulteriore salita del rame: al London Metal Exchange il metallo rosso ha superato al settlement i 4mila dollari per tonnellata, livello che non vedeva dall'inizio di novembre 2008. Nella seduta ufficiale dell'Lme anche il piombo è salito ai massimi da novembre, lo zinco ai massimi da gennaio. Tra i metalli preziosi è invece record da circa 6 mesi per il platino, che al secondo fixing di Londra quotava 1.131 $/oncia. Tra i coloniali, tornano a salire il caffè (soprattutto il robusta, su del 2%) e, sia pure moderatamente, il cacao. Arretra invece lo zucchero, influenzato anche dalle previsioni di domanda debole da parte di F.O. Licht. Ulteriore balzo in avanti per il cotone sodo, che al Nyce è salito del 2,2%. Al Cbot, infine, poco mossi frumento, mais e semi di soia.

Saipem cresce in Algeria: commessa da 1,3 miliardi

Saipem firma un nuovo contratto in Algeria da 1,8 miliardi di dollari (1,3 miliardi di euro) e consolida ulteriormente una presenza già rilevante nel paese.
La commessa, che porta gli ordini complessivi della società a quota 7,1 miliardi di euro, a fine anno il valore era di 5,8 miliardi, spinge oltre il 25% il peso del paese nordafricano nel portafoglio dell'azienda italiana.

L'accordo è stato siglato con la joint venture tra l'Eni di Paolo Scaroni e la compagnia petrolifera algerina Sonatrach e prevede un contratto del tipo chiavi in mano per la realizzazione di un impianto per il trattamento del gas proveniente dal giacimento Menzel Ledjmet East e dagli sviluppi futuri dei campi del Cafc (Central Area Field Complex).
L'intesa stabilisce che Saipem si occupi dell'ingegneria, dell'approvvigionamento di materiali e della costruzione di un centro di raccolta e trattamento del gas naturale con relative condotte di esportazione. La capacità produttiva sarà di 350 milioni di piedi cubi di gas al giornoe di 35mila barili al giorno di liquidi. L'impianto sarà realizzato nell'area del bacino di Berkine, circa 1000 chilometri a sudest di Algeri e la durata prevista dei lavori è di 36 mesi.Il contratto rende quindi ancora più rilevante l'importanza dell'Algeria all'interno del portafoglio ordini della Saipem che tra l'altro vanta ben 900 dipendenti in Algeria di cui 700 sono proprio algerini.

L'attivismodi Saipem nel Paese nordafricano non è certo casuale.Piuttosto risponde agli obiettivi di crescita dell'Algeria stessa. «Un Paese con il quale intratteniamo rapporti ottimi e che si è dato importanti target di sviluppo.

L'Algeria sta investendo molto e noi, in qualità di contrattista internazionale, cerchiamo di cogliere le migliori opportunità di un mercato in ascesa», ha spiegato a Il Sole 24 Ore il vice presidente e amministratore delegato di Saipem, Pietro Franco Tali. E in effetti l'Algeria ha annunciato un piano di investimenti da 60 miliardi di dollari (44 miliardi di euro) nei prossimi tre anni che ha come principale obiettivo quello di aumentare la produzione di gas in modo da soddisfare la crescente domanda interna e gli impegni di esportazione presi con i principali Paesi europei.
Di qui la decisione strategica di Saipem di tenere alto il livello di attenzione sull'Algeria.Peraltro, l'azienda italiana sta definendo con Sonatrach la costituzione di una joint venture nel campo ingegneristico. Questo per dar modo anche agli ingegneri locali di occuparsi in prima persona dei progetti di sviluppo del Paese. I rapporti consolidati Saipem con l'Algeria possono peraltro essere una conseguenza della relazione piuttosto stretta che l'intero gruppo Eni ha con il paese ormai da diversi anni. I primi contatti tra il cane a sei zampe e Sonatrach risalgono addirittura agli anni '70. Saipem, tra l'altro, proprio lo scorso anno ha consegnato Medgaz, ossia il gasdotto che collega l'Algeria con la Spagna e ha già avviato i lavori per la realizzazione di un impianto di liquefazione di gas ad Arzew. La commessa, che è stata vinta lo scorso luglio, ha un valore complessivo di 2,8 miliardi di euro e consentirà la produzione di 4,7 milioni di tonnellate di Gnl all'anno.Intanto, il titolo Saipem ha messo a segno un altro balzo chiudendo la seduta di ieri in guadagno del 3,3% a 13,77 euro.

(da Il sole 24 Ore)

lunedì 23 marzo 2009

Brent sui massimi

Settimana molto positiva per l'E-Mini Crude Oil future, con il derivato che ha forzato la soglia psicologica a 50 dollari per la prima volta dallo scorso 6 gennaio, fissando i nuovi massimi dell'anno a quota 53: a favorire il nuovo rialzo dei prezzi è stato soprattutto il forte calo pagato dal dollaro nei confronti di tutte le altre principali valute, dopo l'annuncio da parte della Federal Reserve, di un massiccio piano di acquisti (oltre 1.000 miliardi di dollari in tutto) di titoli di stato a lungo termine e di obbligazioni legate ai mutui. Un ulteriore input rialzista è arrivato anche da alcune dichiarazioni di membri dell'Opec, che hanno manifestato l'intenzione di spingere le quotazioni verso i 70 dollari al barile. I principali sostenitori di questa politica (Algeria, Iran e Venezuela su tutti) sono peraltro usciti sconfitti dalla riunione di Vienna di domenica scorsa, in cui non è maturato alcun intervento sulla produzione, a dispetto di un'aspettativa generale che scontava un taglio di almeno 1 milione di barili. Ogni decisione è stata invece rinviata al 28 maggio, quando si terrà un nuovo meeting straordinario per fare il punto della situazione. La decisione dell'Opec di non intervenire sulla produzione è maturata soprattutto sulla base dell'evidenza che i precedenti tagli non sono stati ancora attuati completamente: secondo una recente stima dell'Agenzia internazionale per l'energia, è stato infatti portato a termine solo l'80% del piano stabilito. Come detto, questa situazione non ha comunque frenato la corsa dei prezzi, così come l'impatto negativo dei dati sulle scorte Usa si è esaurito nella sola giornata di mercoledì: proprio a metà ottava il greggio ha infatti registrato l'unico ribasso settimanale, dopo che l'Energy information administration (Eia) ha comunicato un aumento delle riserve di petrolio (+2 milioni di barili) doppio rispetto alle previsioni. In sorprendente aumento anche le scorte di benzina (+3,2 milioni a fronte di un calo atteso di 1,2 milioni), mentre sono cresciute meno del previsto quelle di distillati.Graficamente una conferma del breakout di 50 dollari fornirebbe un chiaro segnale di forza, che potrebbe spingere le quotazioni verso quota 56 prima ed eventualmente fino a ridosso dei 60 dollari: più in generale, il future sta comunque perfezionando l'inversione rialzista del trend principale, interrompendo la tendenza negativa partita a luglio dello scorso anno. (Da Milano Finanza)

Snam Rete Gas, i ricavi 2009 a tre miliardi

«L' acquisto di Stogit e Italgas ci ha permesso di diventare il primo operatore dell'Europa continentale per dimensione del capitale investito ai fini regolatori, salito da 12,8 a 19,9 miliardi, e creare un polo che presidia tutte le attività regolate della filiera del gas».Una realtà, prosegue Carlo Malacarne, amministratore delegato di Snam Rete Gas, «operativa su tutto il territorio nazionale con oltre 70mila chilometri di rete, fra alta pressione e area cittadina, e una capacità di stoccaggio di quasi 14 miliardi di metri cubi». Sviluppo conseguito «nel rispetto delle linee strategiche che si siamo posti sin dal 2001», quando siamo approdati in Borsa segnando un altro primato poiché è stato il primo collocamento dopo gli attentati del settembre 2001 alle Torri di New York.Linee strategiche, aggiunge il capo azienda, riassumibili in cinque punti a partire «dalla necessità/opportunità di realizzare ambiziosi piani di investimento nello sviluppo di infrastrutture del gas in grado di garantire una capacità di trasporto adeguata alla crescita della domanda, incrementando nel contempo la flessibilità del sistema e la sua sicurezza».Un impegno che, continua, si è trasformato in un piano di investimenti da circa 13 miliardi, di cui quasi sei realizzati dal 2002 al 2008 nel puntuale rispetto dei tempi previsti e altri 7,3 miliardi in calendario entro il 2015.Più in particolare, ricordano con orgoglio al quartier generale di San Donato (Mi), lo scorso anno abbiamo realizzato 1.044 milioni di investimenti (+43,4%) e ci prepariamo a un piano da 4,3 miliardi fra il 2009 e il 2012, mentre sono già previsti impegni di circa tre miliardi entro il 2015 per completare le iniziative programmate. E tutto ciò senza considerare i circa 1,4 miliardi relativi alla quota di competenza del Galsi, il gasdotto che porterà a Livorno il gas algerino transitando dalla Sardegna. Un progetto che però verrà inserito nel portafoglio ordini solo quando gli utilizzatori avranno siglato i contratti di trasporto, anche se il gasdotto ha superato pressoché tutte le fasi autorizzative.E tutto ciò, aggiunge Malacarne, «sarà realizzato nel rispetto degli altri quattro punti strategici: salvaguardare la solidità della struttura finanziaria, mantenendo un rapporto fra debiti e rab nell'ordine del 50 per cento; conservare un profilo di rischio contenuto, quale elemento di garanzia per gli investitori, mantenendo il perimetro del nostro business nelle attività regolate, che oggi rappresentano il 100% delle nostre attività; migliorare ulteriormente l'efficienza e tenere sotto controllo i costi anche in un contesto di crescita accelerata degli asset del gruppo; garantire agli investitori un ritorno attrattivo, sostenibile e fra i più alti del settore utilities in Europa». Obiettivo, ricordano a San Donato, centrato appieno nel recente passato se solo si considera che lo yield negli ultimi quattro anni è stato superiore al 5% considerando anche quello attuale, che è al di sopra del 5,5 per cento. Cinque punti cardine che, prosegue il capo azienda, resteranno centrali anche nel futuro, quando l'area operativa risulterà ampliata in misura significativa merito l'acquisto di Stogit e Italgas per complessivi 4,72 miliardi, di cui 1,65 relativi a Stogit e 3,07 a Italgas. L'operazione, come ricordato, aumenterà la rab di 7,1 miliardi a quota 19,9 miliardi e dovrebbe essere formalizzata entro l'estate con un esborso di 4,72 miliardi in contanti considerando i 2,1 miliardi di debiti assorbiti da Snam.Impegno finanziato per 1,3 miliardi con nuovi finanziamenti a medio-lungo assicurati dall'Eni guidata da Paolo Scaroni, mentre 3,5 sono connessi all'aumento del capitale in calendario entro fine aprile considerando che il prospetto dovrebbe essere depositato entro fine marzo, quando il mercato potrà conoscere le caratteristiche dell'operazione. (Dal Sole 24 Ore)

venerdì 20 marzo 2009

L'eredità del greggio

Gli scienziati che hanno dubbi sulla biologia del golfo di Prince William Sound, in Alaska, si rivolgono a David Janka. «Con più di 30 anni di navigazione, ricercatori, agenzie governative e gruppi ambientalisti mi contattano per informazioni», dice Janka, capitano della Auklet. Janka ha 55 anni ed è uomo di mare. Ma è sufficiente salire a bordo della Auklet, una barca in legno degli anni 50, per rendersi conto di non essere su un tipico charter-boat per turisti. Ogni mensola del battello è colma di pubblicazioni scientifiche che trattano di biologia marina, di geologia dell'Alaska o di oceanografia.Ci sono conchiglie, minerali e oggetti raccolti durante le spedizioni scientifiche. In mezzo due contenitori colmi di qualcosa di fluido ma denso. C'è scritto: «Petrolio-Exxon Valdez, anno 2006». Malgrado la data, riportano a un disastro ambientale avvenuto vent'anni fa.Nell'89 la Auklet è stata coivolta nella lotta contro la marea nera sprigionata dalla Exxon Valdez. La notte del 24 marzo, la superpetroliera si era infatti incagliata contro uno scoglio semisommerso. Dallo scafo erano fuoriuscite 37.000 tonnellate di greggio che avevano contaminato più di duemila chilometri di costa, il più grave disastro ambientale della storia americana. Ma da questo era scaturito anche il più longevo studio sull'ecosistema marino del Paese. Molti ricercatori noleggiano la Auklet per ricerche estive. Dal giorno del disastro, la Exxon Valdez Oil Spill Trustee Council ha ridistribuito 178 milioni di dollari a più di cento ricercatori. Le ricerche che lo coinvolgono sono conseguenza del disastro del 1989 il cui impatto è stato inizialmente sottovalutato. «In genere questi incidenti sono severi all'inizio, poi la natura li riassorbe », spiega Stanley Rice, del National Oceanic and Atmospheric Administration. Nel 2003 ha esplorato il golfo in cerca di tracce della contaminazione. In compagnia di Janka, Rice ha trovato pozze di greggio nella ghiaia di 78 delle 91 spiagge visitate. E ha pubblicato un rapporto in cui sostiene che il golfo contiene ancora almeno 60.000 litri di greggio.Insomma ci sarà ancora da navigare per la Auklet. Esplorare il golfo con gli scienziati può portare alla luce un mondo invisibile dalla supeficie, a cui non intende rinunciare. Al timone della sua biblioteca scientifica galleggiante, Janka continua a condurre gli scienziati nelle acque del golfo. «Con loro imparo molto – spiega Janka –. Ma ora anch'io ho qualcosa dainsegnargli».

La Ue stringe sul Tag, Eni e l'Italia rispondono picche

L'accusa è abuso di posizione dominante nella gestione di alcuni gasdotti. Ad aprire ufficialmente la procedura contro l'Eni di Paolo Scaroni è stata la Commissione europea. Eo ora il gruppo energetico italiano vede concretizzarsi il timore che il tutto possa concludersi con pesanti sanzioni, quelle stesse per le quali aveva già chiesto nei mesi scorsi l'intervento del governo. Con una comunicazione inviata il 6 marzo al cane a sei zampe e resa nota ieri, Bruxelles ha fatto sapere di ritenere «in via preliminare che Eni abbia violato le regole della concorrenza in materia di abusi di posizione dominante nella gestione di alcuni gasdotti di importazione di gas naturale», che portano il metano in Italia. In particolare l'accusa è quella di aver limitato, nel periodo 2000-2005, l'accesso da parte di operatori terzi ai gasdotti Tag (89% Eni, 21% Omv), Tenp (50% Eni, 50% E.on-Ruhrgas) e Transitgas (51% Swissgas, 47% Eni, 2% E.on- Ruhrgas) e di averne frenato il potenziamento. La condotta contestata dall'Ue riguarda «un presunto rifiuto a fornire accesso alla capacità disponibile sulla rete di trasporto, la presunta allocazione a terzi di capacità secondo modalità economicamente meno attraenti e la presunta limitazione strategica dell'investimento in nuova capacità». E tali pratiche, spiega Bruxelles, «sono state messe in atto nonostante l'esistenza di significative richieste di capacità da parte di terzi». La preoccupazione di Eni è che, qualora risultassero confermate le violazioni contestate, l'Ue voglia imporre rimedi strutturali, consistenti nella cessione di tutte le quote detenute nei gasdotti, oltre ad una sanzione pecuniaria. Per questo, spiega una nota del cane a sei zampe, l'iniziativa della Commissione «oltre ad andare al di là di quanto previsto dalla disciplina di settore, che si limita a prevedere un obbligo di separazione gestionale delle reti (e non della proprietà, ndr), esporrebbe non solo l'Italia ma l'intera Unione europea a un deterioramento della sicurezza degli approvvigionamenti di gas». Insomma, Paolo Scaroni prosegue sulla linea difensiva già sposata nella lettera inviata a fine gennaio a Palazzo Chigi. In quella missiva il numero uno di Eni chiedeva al governo un intervento nelle sedi opportune a difesa di un «asset strategico per l'Italia e l'Europa». Il ministro alle politiche comunitarie, Andrea Ronchi, si era anche recato a Bruxelles dalla Kroes per rappresentare il punto di vista di Roma, ribadendo «l'interesse strategico nazionale della Tag». Posizione ribadita anche in una successiva lettera inviata al commissario alla concorrenza. La procedura prevede ora che Eni, entro due mesi, prepari le sue controdeduzioni e successivamente abbia udienza presso la Commissione che ascolterà sia la società sia la posizione dell'antitrust Ue. Solo dopo la risposta scritta di Eni e la successiva udienza, Bruxelles potrà decidere se archiviare il procedimento oppure confermare le proprie deduzioni e sanzionare la società. (da Mf)

giovedì 19 marzo 2009

La benzina italiana è la più cara d'Europa.

La benzina italiana è la più cara d'Europa. Lo ha confermato il nuovo garante per la sorveglianza dei prezzi, Luigi Mastrobuono. Mentre negli altri Paesi europei, il prezzo, tra febbraio e marzo, è calato, anche abbastanza sensibilmente, in Italia è aumentato. Lo stacco dei prezzi al consumo della benzina nel nostro Paese, rispetto alla media europea, è salito, infatti, nel marzo fino a 5,5 centesimi al litro, più del doppio del precedente valore di 2,4 centesimi, fatto segnare a metà febbraio. Lo scorso 16 febbraio il prezzo medio italiano della «verde» era di 1,135 euro al litro, mentre quello dell'Europa a 15 era di 1,111 euro, con uno stacco, quindi, di 0,024 euro; al 9 marzo il prezzo italiano è salito a 1,161 euro, mentre quello europeo è sceso a 1,106 euro con un differenziale che sale così a 0,055 euro. E', cioè, raddoppiato ed è ora il secondo più alto (0,403 euro al litro) dietro solo a Malta (0,477), contro una media Ue di 0,340 euro. Questo mentre il petrolio, dopo l'aumento record dell'86,28%, calare del 47,7%. (da L'Unità)

Oil e gas, accordo strategico di Eni in Pakistan

Come ai tempi di Enrico Mattei, il quale sconvolse il cartello delle " sette sorelle" petrolifere alleandosi con i Paesi poveri di soldi ma ricchi di greggio, ieri a Islamabad l'amministratore delegato dell'Eni, Paolo Scaroni, ha firmato con il Governo del Pakistan un accordo quadro che prevede una forma di "esclusiva" (meglio, di "preferenza") per la compagnia di San Donato Milanese.L'Eni accompagnerà nella crescita le due piccole compagnie petrolifere pachistane: in cambio – s'intende – la compagnia italiana avrà vita facile sui pochi ma interessanti giacimenti del Paese.Le compagnie Pakistan Petroleum Limited e Pakistan State Oil hanno archivi ricchissimi di dati sul sottosuolo del Paese, e sono preziose le mappe dettagliate sui luoghi propizi alla ricerca di giacimenti, ma sono società povere di tecnologie innovative per sfruttare con efficienza le riserve.«Noi pensiamo di investire nella ricerca dei giacimenti qualcosa tra i 50 e 70 milioni di dollari l'anno nei prossimi anni », spiega Scaroni subito dopo avere incontrato il presidente Asif Alì Zardari, il primo ministroYousaf Raza Gilani e i ministri del Petrolio e dell'Industria.Nel dettaglio, l'Eni ha firmato con il Governo del Pakistan un protocollo di cooperazione per lo sviluppo di nuovi progetti in tutti a la filiera del petrolio e del metano (dai giacimenti fino ai distributori di carburanti).L'intesa – avverte l'Eni – «mette al servizio delle compagnie nazionali pachistane del petrolio, in forma esclusiva, le capacità, il know how e le innovative tecnologie sviluppate dall'Eni in campo petrolifero, specialmente sul terreno dell'efficienza dello sfruttamento dei giacimenti di idrocarburi».L'accordo consente inoltre alla compagnia italiana «di diventare partner strategico nello sviluppo del settore petrolifero pachistano, accedendo a campi oggi controllati dalle compagnie di Stato».Entro l'autunno prossimo un gruppo di lavoro congiunto tra italiani e pachistani individuerà le zone più interessanti da perforare.Dove trivellare? C'è il cosiddetto offshore, cioè i giacimenti sotto i fondali dell'Oceano Indiano: «L'offshore è un'attività molto promettente in Pakistan –aggiunge l'amministratore delegato – e nessuno l'ha mai fatto prima.L'anno prossimo faremo il primo pozzo».E poi c'è un'area vasta,appetitosa per il petrolio ma assai turbolenta dal punto di vista sociale, quel Belucistan nel quale il Governo di Islamabad fatica a rafforzare la sua autorità sul sistema feudale. Gli incontri di Scaroni hanno avuto anche il compito di delineare una presenza sicura in quella regione.L'obiettivo di Scaroni è raddoppiare l'estrazione nei prossimi 5 o 6 anni. «Il Pakistan non è certo il Bengodi del petrolio, oggi il Paese estrae in tutto 300mila barili al giorno di cui solamente 70mila di petrolio e il resto di gas», osserva l'amministratore delegato. Con i suoi 50mila barili al giorno (in buona parte sotto forma di metano), un sesto dell'intera produzione nazionale, oggi l'Eni è già la compagnia estera più forte nel Paese, in competizione diretta con gli inglesi della Bp e della Shell.La società di San Donato Milanese è presente in Pakistan dal 2000, ma la sua presenza è più lontana nel tempo poiché con l'acquisizione della compagnia inglese Lasmo ne aveva ereditato anche la presenza nel Paese. L'Eni ha quattordici permessi di esplorazione ( tre in mare e undici su terra) e sette licenze di estrazione o di sviluppo, di cui tre in qualità di operatore.In chiave strategica, l'intesa «sancisce che non solo siamo il primo operatore petrolifero del Paese ma siamo anche l'operatore preferito – aggiunge Scaroni – quello privilegiato che ha rapporti in esclusiva con le due società nazionali del Paese. Nuove idee ci verranno dall'aver a disposizione le dataroom delle due società nazionali per eventuali iniziative congiunte ». Cinquant'anni fa Enrico Mattei si attirò le ire dei colossi del petrolio coinvolgendo nella crescita comune i Paesi con le riserve: un'esperienza che funziona ancora. (da Il sole 24 Ore)

mercoledì 18 marzo 2009

Shell punta al valore non ai volumi

Royal Dutch Shell tiene duro sulla politica di dividendi il cui aumento resta legato all’inflazione e sottolinea di guardare al «valore e non al volume» quando si stratta di produzione. Ma il titolo del colosso petrolifero anglo-olandese, ieri perdeva fino al 4% a sul listino.Shell ha dichiarato che il tasso di rimpiazzo delle riserve (dato che indica il rapporto tra le nuove scoperte di giacimenti e la quantità di petrolio estratta) è crollato al 95% nel 2008 dal 124% del 2007. Il chief executive uscente Jeroen van der Veer ha però sottolineato come nel triennio 2006-2008 il tasso è stato del 126% e non ha senso considerare il dato isolato di un singolo anno. Certo è che la produzione nel 2008 è decresciuta per il sesto anno consecutivo. Ma Shell, ha ribadito Van der Veer, non punta a incrementare l’output (che è comunque atteso a una crescita annua del 2-3% nel prossimo decennio) quanto piuttosto a investire in nuove fonti che generino «valore». E per questo il gruppo non rallenterà negli investimenti e, anzi, per il 2009 si prepara a spendere 31-32 miliardi di dollari, anche avvantaggiandosi del calo delle materie prime, una su tutte l’acciaio. (da Finanza & mercati)

Snam, ok all’aumento da 3,5 mld

Via libera a super-Snam, che però eredita dall’Eni la grana-Romana Gas. L’assemblea del gruppo ha approvato ieri l’aumento di capitale da 3,5 miliardi finalizzato all’acquisto di Stogit (1,6 miliardi) e Italgas (3,070 miliardi) dal Cane a sei zampe. Grazie all’operazione da 4,7 miliardi - i restanti 1,2 miliardi saranno finanziati a debito - la società leader in Italia del trasporto gas diventerà, entro giugno, numero uno in Europa per capitale investito in attività regolate. «Non ci saranno rischi di sottoscrizione», ha assicurato l’ad di Snam, Carlo Malacarne, che non sembra impensierito né dalla difficile fase dei mercati né dal maxi-aumento da 8 miliardi che anche l’Enel si appresta a varare. «Non c’è alcun problema - ha spiegato il manager - il loro aumento di capitale arriverà dopo il nostro». Inoltre, l’azionista Eni, guidato da Paolo Scaroni, «si è già impegnato a sottoscrivere per intero la propria quota», salendo dal 50,03% al 54,9 per cento. E per la parte residua, l’offerta in opzione sarà assistita da un consorzio di garanzia, promosso e coordinato da Mediobanca, la quale si ha già assunta l’impegno a sottoscrivere l’eventuale inoptato. «A fine aprile, qualche giorno prima dell’inizio della vendita - ha concluso Malacarne - sarà fissato il prezzo delle nuove azioni». Qualche grana, però, potrebbe arrivare sul fronte del debito, che già con l’acquisto di Stogit e Italgas dovrebbe salire a 7,5 miliardi. Nessun problema per la società, secondo cui il rapporto debito/Rab resterebbe invariato. «Il piano strategico, che prevede circa 1 miliardo di investimenti l’anno, non muterà», ha detto l’ad lo scorso 12 febbraio. Ma, a distanza di un mese, qualcosa è cambiato. (Da Finanza & Mercati)

martedì 17 marzo 2009

Nel 2008 utile netto dell'Eni a 8,82 mld

Da Italia Oggi

Il consiglio di amministrazione dell'Eni, guidato da Paolo Scaroni, ha approvato ieri il bilancio consolidato dell'esercizio 2008, che ha chiuso con un utile netto di 8,825 miliardi. Lo ha reso noto la società in una breve nota, sottolineando che il progetto di bilancio di esercizio 2008 di Eni ha chiuso invece con un utile netto di 6,745 miliardi di euro.Il consiglio d'amministrazione, inoltre, ha deciso di proporre all'assemblea degli azionisti la distribuzione di un dividendo di 1,30 euro per azione (pay-out 53%), di cui 0,65 euro già distribuiti nel settembre 2008, mentre il dividendo a saldo di 0,65 euro sarà messo in pagamento a partire dal 21 maggio, con stacco cedola il 18 maggio.Il bilancio consolidato e il progetto di bilancio di esercizio, ha spiegato ancora l'Eni nella nota, sono stati messi a disposizione del collegio sindacale e della società di revisione.Il consiglio di amministrazione ha infine approvato anche il bilancio di sostenibilità del 2008 in cui la società, «seguendo le più avanzate best practice internazionali, rappresenta il proprio impegno sul fronte dello sviluppo sostenibile».

Riprende la corsa dei carburanti

In febbraio l'inflazione è rimasta stabile all'1,6% in Italia (ed è invece salita all'1,2% nei Paesi euro), mentre i carburanti hanno iniziato ad aumentare di nuovo in maniera sensibile. Le associazioni dei consumatori protestano: i rincari costano almeno 400 euro a famiglia, mentre il petrolio costa poco sui mercati internazionali. L'Unione petrolifera replica che le quotazioni di benzina e petrolio sono internazionali e dipendono dal rapporto tra domanda e offerta. Intanto l'Antitrust accusa: le normative regionali sempre più vincolanti paralizzano la competizione. E senza concorrenza i prezzi salgono. Il carovita in Italia ed Uem L'Istat a livello congiunturale ha confermato di aver rilevato un aumento medio dei prezzi dello 0,2% a febbraio, il primo dopo cinque mesi di ribassi. In particolare, sono tornati a salire i beni energetici, facendo segnare una crescita congiunturale dello 0,6%. In rincaro vivace (+ 2,4%) il prezzo della benzina, e si riduce a -15,7% (dal -18,1% di gennaio) la flessione su base annua. Il prezzo del gasolio ha registrato una crescita congiunturale dell'1% che porta il calo tendenziale a quota -15,6% dal -17,6% di gennaio. Restano poi in tensione abitazione e alimentari. L'inflazione dei Paesi che hanno adottato l'euro – conferma l'Eurostat – in febbraio è salita all'1,2% dall'1,1% di gennaio. A febbraio 2008 il tasso per la cosiddetta "eurozona" era a quota 3,3%. Per l'Italia il dato diffuso da Eurostat è di 1,5% (il paniere usato per il dato armonizzato europeo è diverso da quello dell'Istat). Per l'Ue a 27 stati membri l'inflazione a febbraio è stata dell'1,7%, in discesa rispetto all'1,8% di gennaio. Tra gli Stati membri dell'Unione europea, i livelli più bassi di inflazione sono stati rilevati in Irlanda e Portogallo (entrambi 0,1%) e Cipro (0,6%), e il più alto in Lettonia (9,4%), Lituania (8,5%) e Romania (6,9%). Nella zona euro i rincari annui più forti sono stati relativi ad alcolici e tabacco (3,2%), alberghi e ristoranti (2,9%) e alloggi (2,8%), mentre i tassi più bassi sono per trasporti (-2,7%) e comunicazioni (-1,4%). Il gas (+0,21), ristoranti e caffè (+0,15) e energia elettrica (+0,12) hanno avuto il maggior impatto sull'inflazione. (Dal Sole 24 Ore)

lunedì 16 marzo 2009

Gaz de France in pressing su Acea

Così dopo l'irritazione i francesi starebbero per passare ai fatti. E, secondo quanto risulta a Il Tempo, i legali dei transalpini sarebbero in procinto di spedire una lettera al comune di Roma, primo azionista di Acea, per chiedere conto della sua posizione ufficiale dopo lo stop al piano industriale delineato con la precedente giunta.
Nella missiva potrebbe essere chiesto, in particolare, di sciogliere il nodo della concessione attualmente in carico alla Romana Gas (acquistata da Suez-GdF da Eni e offerta all'Acea in cambio di un ruolo più operativo nella gestione dell'energia romana) in scadenza il 31 dicembre di quest'anno. Non è ancora chiaro, infatti, se il rinnovo possa essere automatico per la stessa Suez oppure se sia necesssaria una nuova gara europea. Un'eventualità che potrebbe anche far recedere i francesi dai loro propositi bellicosi a Roma. In ogni caso la richiesta francese sarebbe finalizzata ad avere maggiori chiarimenti sull'orientamento del Campidoglio per impostare le nuove strategia di crescita.
Contestualmente, poi, sarebbe richiesto al Comune anche il beneplacito per passaggio della rete del gas dall'originale proprietaria, l'Eni, ai francesi. Che la ottennero in una trattativa che consentì al colosso guidato dall'ad Scaroni di prendere la rete belga di Distrigaz cedendo quella romana a Suez. Ma vincolando il passaggio effettivo al via libera del Campidoglio. Mai espresso. E del quale la lettera chiederebbe appunto conto. Insomma i francesi non avrebbero alcuna intenzione di farsi da parte nel risiko romano dell'energia. Una volontà che si ritroverebbe anche nella «profezia» di Mestrallet per la crescita a qualunque costo e che potrebbe concretizzarsi con la discesa a fianco dei parigini di un socio forte, ben posizionato nel mercato italiano. (Da Il Tempo)

Energia, la cedola Eni sarà di 1,3 euro

Il cda dell'Eni di Paolo Scaroni ha confermato venerdì 14 l'utile netto di 8,83 miliardi (che era già stato annunciato in febbraio con il pre-consuntivo di bilancio) e ha deliberato di proporre all'assemblea degli azionisti un dividendo di 1,3 euro per azione, di cui 0,65 già distribuiti a settembre 2008. Il pay-out (quota di utile distribuito) sarà quindi del 53%. L'importo a saldo di 0,65 euro per azione sarà messo in pagamento a partire dal 21 maggio 2009, con lo stacco della cedola che avverrà il 18 maggio. L'Eni ha inoltre fatto sapere che i ricavi della gestione caratteristica nel 2008 hanno raggiunto i 108,14 miliardi, in crescita di 20,8 miliardi rispetto al 2007, mentre l'utile operativo è calato leggermente a 18,64 miliardi, dai 18,87 miliardi del 2007. L'utile netto, che si è attestato a 8,83 miliardi, ha registrato una flessione dell'11,8% rispetto allo scorso anno, mentre l'indebitamento finanziario netto è aumentato di 2 miliardi raggiungendo quota 18,38 miliardi. Sempre venerdì 14 il cda della controllata Snam Rete Gas ha comunicato di aver convocato l'assemblea ordinaria degli azionisti per il giorno 24 e 25 aprile 2009 rispettivamente in prima e seconda convocazione.

venerdì 13 marzo 2009

Marea nera in Australia

Pellicani e tartarughe coperti da uno spesso strato di petrolio, delfini minacciati, spiagge con la sabbia nera, la battigia ricoperta di pesci morti: la Sunshine Coast, la costa del sole nell’Est dell’Australia da paradiso dei turisti e dei surfers si sta trasformando in un inferno ambientale. Trenta tonnellate di petrolio e 31 container con 600 tonnellate di nitrato di ammonio sono finiti nel mare a largo dello Stato del Queensland, tra le spiagge di Tangalooma sull’isola di Moreton e la Laguna Blu. Nomi che dovrebbero evocare vacanze esotiche e che oggi suonano alle autorità australiane come sinonimo di strage di uccelli e pesci.Il disastro è stato provocato dall’incidente della Pacific Adventurer, una nave cargo che batte bandiera di Hong Kong e che stava portando da Newcastle, Inghilterra, in Indonesia un carico di nitrato di ammonio, un fertilizzante che serve anche come materia per produrre esplosivi. La nave ha preso il largo nonostante intorno alle coste Est dell’Australia stesse infuriando il ciclone tropicale Hamish. Sballottata tra le onde, a un certo punto ha perso il carico. I container di fertilizzante, forse non fissati secondo le norme di sicurezza, hanno prima sfondato i serbatoi della Pacific Adventurer - facendo uscire in mare 30 tonnellate di petrolio - e poi sono caduti in acqua. La macchia di petrolio che ha raggiunto le coste ieri è lunga circa 10 chilometri, e le spiagge devastate sono state chiuse. Secondo Mike Kingsford, esperto dalla James Cook University del Queensland, la fuoriuscita di petrolio è «relativamente piccola per gli standard dei disastri globali», ma farà comunque molti danni prima che il combustibile si sedimenti e perda gli effetti tossici che uccidono pesci e uccelli. Ci vorrà almeno una settimana per ripulire le spiagge. Ma un secondo allarme riguarda i container con il nitrato di ammonio non ancora ritrovati. Se il fertilizzante fosse finito nell’acqua, resta il rischio, seppure non molto alto, di una detonazione: la sostanza esplode se esposta al calore. Un altro effetto devastante potrebbe prodursi nei mesi successivi: il fertilizzante rischia di provocare un’enorme crescita delle alghe, alterando tutto l’ecosistema. Secondo Orica, la compagnia produttrice del fertilizzante, è estremamente improbabile: «Ci vogliono alte concentrazioni di nitrato di ammonio, una volta diluito nell’acqua del mare perderà il suo effetto» (da La Stampa)

Energia: Acea-Gaz de France, ecco le ragioni del no

Il campo di battaglia sull'Acea ora si sposta dal ruolo dell'amministratore delegato,visto che Andrea Mangoni è ormai dimissionario, al futuro dei rapporti tra il socio di maggioranza, Comune di Roma, e il partner francese Suez-Gaz de France, socio con il 10 per cento. Tra i due continuerà a giocare un ruolo- chiave l'azionista privato italiano, Francesco Gaetano Caltagirone salito a circa l' 8% nel capitale di Acea, che si è fatto promotore dello stop deciso dal Comune ai nuovi accordi di joint-venture tra Acea e i francesi, dei quali l'ex a.d. Mangoni è stato fautore. Sul tavolo, allo stato attuale, ci sono due partite: la nomina del nuovo amministratore delegato, sulla scelta del quale i francesi pretendono di poter dire la loro. E il destino degli accordi. La settimana precedente al cda in cui si è dimesso, l'a.d. Mangoni ha illustrato il contenuto degli accordi al sindaco Alemanno. Una presentazione in cui sintetizza struttura e vantaggi dell'operazione. L'intesa avrebbe modificato l'attuale assetto di tre controllate dall'azienda: una relativa alla generazione elettrica, al 70 per cento francese e il resto Acea. E altre due jv, che si occupano di trading e vendita di energia, controllate al 50 per cento dai due partner.Lo schema dell'operazione, nell'ultima edizione (da giugno a oggi gli accordi sono stati migliorati a favore dell'Acea), prevede che l'azienda comunale ceda «la partecipazione detenuta in Acea Electrabel Produzione e Acea Electrabel Trading». Centrali elettriche e compravendita di energia passano a totale controllo francese. E ancora: «Acea Electrabel Elettricità incorpora Italcogim vendite», dove Italcogim è la jv tra Gdf e Pirelli sia sulle reti di distribuzione del gas che sulla vendita. «La società risultante dalla fusione (newco vendita) venderà in esclusiva elettricità e gas ai clienti finali (solo retail, esclusi i clienti industriali che passano sotto controllo francese, ndr)». Il suo controllo, oltre la nomina dell'a.d., spetterà all'Acea. Infine,è prevista la creazione di una newco distribuzione, di cui l'utility avrebbe il 75 per cento, in cui conferire la rete romana di distribuzione del gas, che Gdf riceverebbe da Eni, e le reti del gas di Italcogim.L'operazione avrebbe inoltre comportato un aumento dell'indebitamento di Acea tra i 300 e i 400 milioni necessario per controbilanciare il conferimento delle reti che Italcogim possiede in varie zone in Italia e dunque non cruciali per Acea. Il vantaggio sarebbe stato per la società capitolina un aumento del margine operativo lordo già nel 2009 del 5 per cento, da 658 a 691 milioni.Per l'azionista di maggioranza, la cui attenzione su certi aspetti è stata richiamata da Caltagirone già dall'estate scorsa, si tratta di accordi sbilanciati. Acea viene, da una parte, portata a cedere la partecipazione in attività che possono consentirle di contribuire a scegliere a quali prezzi comprare l'energia elettrica e il gas che distribuisce attraverso le sue reti. E questo al solo scopo di controbilanciare il peso dei nuovi asset che i francesi conferirebbero in Acea: la rete del gas e contratti di fornitura per 4 miliardi di metri cubi di gas che Gdf riceverebbe dall'Eni di Paolo Scaroni. Il Comune ha obiettato che l'operazione poteva essere fatta in altro modo: gli accordi esistenti prevedono infatti che se Acea o Electrabel avessero avviato attività nel gas avrebbero dovuto offrirne il 50 per cento in prelazione al partner. L'azienda può dunque decidere di comprare, ricorrendo all'indebitamento bancario, metà della proprietà della rete ed eventualmente dei contratti di gas portati da Gdf. Perchè, dunque, dover rinunciare alla proprietà delle centrali elettriche? Sulla strada degli accordi resta un altro ostacolo: la scadenza della concessione della rete romana del gas, prevista a fine 2009. Si dovrà andare a gara: se Acea perde, possedendo la rete, ha come prospettiva un contenzioso con il nuovo concessionario per ottenere l'indennizzo sulla perdita dell'asset. Se vince, sarà perchè in procedura di gara avrà offerto al Comune un canone maggiore rispetto a quello attuale, e dunque avrà ridotto la redditività della rete. Tutto questo ha come contropartita un incremento del Mol che, dedotti gli oneri per il maggiore debito, sarebbe di qualche milione di euro. (Dal Sole 24 Ore)

giovedì 12 marzo 2009

Timori sui consumi di greggio

L'incognita della domanda continua a influenzare i mercati petroliferi, ieri trascinati in caduta proprio dal prevalere del pessimismo sull'evoluzione dei consumi. Nonostante il contemporaneo scivolone del dollaro e nonostante i dubbi, non del tutto scomparsi, sulla possibilità di un nuovo taglio di produzione dell'Opec, gli operatori hanno preferito rivolgere lo sguardo soprattutto agli ultimi dati sulle importazioni cinesi e alle statistiche su stoccaggi e consumi negli Stati Uniti.Dai due maggiori consumatoridi petrolio del mondo sono arrivate cifre di interpretazione non proprio cristallina, che tuttavia sono state lette come indicatori di un indebolimento della domanda, sufficienti a spingere il Wti in ribasso di oltre 3 dollari al barile, a quota 42,33.Pechino, in particolare, ha reso noto di avere importato in febbraio 11,73 milioni di tonnellate di greggio (pari a circa 3,1 milioni di barili al giorno), il 17,9% in meno di un anno prima. Nei primi due mesi dell'anno il calo dell'import è stato del 13%, il più forte dal 2005. La tendenza, azzardano alcuni analisti, si potrebbe anche spiegare con l'esaurimento della capacità di stoccaggio. Ma il timore che anche la locomotiva cinese possa finire in affanno è pressante.Di certo, l'economia Usa non è in buona salute. Anche in questo caso, tuttavia, non manca qualche interrogativo sui consumi di carburante.Dalle statistiche dell'Energy Information Administration (Eia) è emerso che la domanda di benzina nelle ultime 4 settimane è aumentata dell'1,6% annuo, superando di nuovo la fatidica soglia dei 9 mbg. Un dato che, abbinato al crollo delle scorte (-3 mb in una settimana) aveva fatto inizialmente impennare le quotazioni della benzina stessa al Nymex. Ma l'effetto si è esaurito in fretta, non appena ci si è accorti che nella singola settimana conclusasi il 6 marzo gli americani avevano in realtà riempito un po' meno i serbatoi delle auto: la domanda in quei giorni è scesa in media di 232mila bg. Nello stesso periodo, inoltre, gli stock di greggio sono saliti di 700mila barili, quelli di distillati di 2,1 milioni (e in questo caso c'è anche un inequivocabile crollo della domanda, legato alla diminuita attività di trasporto delle merci). Anche le raffinerie, infine, lavorano sempre più a rilento, come del resto molti altri impianti industriali, non solo negli Usa: sempre ieri si è saputo che in Germania gli ordinativi in gennaio sono crollati dell'8 per cento.Le ultime novità potrebbero non essere di per sè determinanti nell'orientare le decisioni dell'Opec, al vertice di domenica. Tuttavia, anche per i membri del Cartello la domanda è un rebus cruciale. «Se in febbraio la domanda è stata inferiore alla produzione –ha spiegato il ministro iracheno Hussain al Sharistani – considereremo se ridurre ancora l'output».A favore di un nuovo taglio – o meglio:a favore dell'immediata applicazione di un nuovo taglio – si sono schierati comunque in modo esplicito soltanto l'Algeria e il Venezuela. Gli altri non si sono pronunciati o hanno fatto sapere che preferirebbero spingere per un'adesione ancora più stretta alle quote produttive. «Ci sono ancora 800mila barili al giorno che possiamo ritirare dal mercato –ha ricordato il qatarino Abdullah al Attiyah – Si tratta di un volume di greggio notevole». (Dal Sole 24 Ore)

Snam Rg e Terna aumentano la cedola, ma il listino non festeggia

Seduta in controtendenza per due utility come Snam Rete Gas e Terna, controllate rispettivamente dall'Eni di Paolo Scaroni e dall'Enel, che ieri hanno chiuso le contrattazioni in discesa nonostante la decisione di entrambe di aumentare il dividendo. Il cda di Snam Rete Gas, il cui titolo ieri ha perso il 2,6% a quota 3,74 euro, ha approvato il bilancio consolidato 2008 con un utile netto di 530 milioni di euro (528 milioni per la sola spa). All'assemblea dei soci (16 e 17 aprile 2009 in prima e seconda convocazione) si proporrà la distribuzione di un dividendo di 0,23 euro per azione (rispetto a 0,21 dell'anno scorso), di cui 0,09 euro sono già stati distribuiti nell'ottobre 2008. Il dividendo a saldo di 0,14 euro per azione sarà messo in pagamento dal 21 maggio. Ma attenzione: proprio in maggio dovrebbe partire anche l'aumento di capitale da 3,5 miliardi che Snam Rete Gas dovrà lanciare per sostenere l'acquisto di Italgas e Stogit dalla controllante Eni.Quanto a Terna, che ha chiuso la seduta in calo del 4,4% a quota 2,23 euro, il gruppo ha registrato un utile netto 2008 di 327,5 milioni, in calo del 5,6% sul 2007, ma proporrà ai soci la distribuzione di un dividendo di 15,8 centesimi per azione, in crescita del 4,6%, di cui 5,92 già pagati a titolo di acconto e 9,88 quale saldo a giugno 2009. Dunque un dividendo più alto di fronte a una riduzione del risultato netto dovuta principalmente alla prevista crescita degli ammortamenti e degli oneri finanziari e alla dinamica dei ricavi per il trasporto di energia in Italia, che rimangono stabili nonostante l'effetto scalino dell'inizio del nuovo periodo regolatorio. Nel dettaglio, i ricavi sono aumentati del 3,5% a 1,39 miliardi, il margine operativo lordo è salito dell'1,7% a 994,7 milioni, il risultato operativo invece calato dell'1,2% a 714,3 milioni. Gli investimenti sono cresciuti del 25,6%, a 775,9 milioni, di cui 560,9 soggetti a incentivi. L'indebitamento netto si è attestato a 3,365 miliardi rispetto ai 2,649 di fine 2007. A livello di capogruppo l'utile netto è stato di 335,3 milioni (-2,9%). «Il 2008 si chiude al di sopra delle previsioni», ha dichiarato l'ad Flavio Cattaneo, precisando che il costo medio del debito di Terna nel 2008 è stato del 6% a livello consolidato (5% in Italia e 11% in Brasile, con un'ipotesi di riduzione al 4 e 10% nel 2009). «Il risultato ci consente di confermare un dividendo in crescita del 4,6%». Anche se un rendimento implicito del titolo del 7,1% non è bastato per far festeggiare il mercato. (Da MF)

mercoledì 11 marzo 2009

Total, l'utile record non evita gli esuberi

Uno scandalo». A dirlo non sono stati solo i sindacalisti più agguerriti. Ma anche Laurent Wauquiez, sottosegretario al Lavoro, vicino al presidente Sarkozy. Lo scandalo è che Total ha deciso di sopprimere 555 posti di lavoro nei suoi impianti francesi. Nessuno a Parigi ha dimenticato che il colosso energetico ha macinato nel 2008 utili per quasi 14 miliardi di euro, grazie al caro petrolio. I vertici dell'azienda hanno precisato che si troveranno alternative lavorative. E che Total farà altri investimenti produttivi. Non è bastato: almeno trecento dipendenti hanno manifestato dinanzi all'impianto di Gonfreville l'Orcher, dove si realizzerà il grosso dei tagli. E hanno protestato un pò tutti, i sindacalisti con gli amici di Sarkozy. Sì, uno scandalo. Che dire di più? (Dal Sole 24 Ore)

Kashagan procede secondo piani. Eni vola

Il titolo del Cane a sei zampe guadagna l’8,45% nel giorno in cui Scaroni parla agli investitori della City. Da Shell rassicurazioni sul giacimento kazako
Cosa abbia detto ieri Paolo Scaroni agli investitori della City non è dato sapere. Le parole dell’ad di Eni devono però essere state convincenti, almeno a giudicare dalla Borsa. I titoli del Cane a sei zampe hanno chiuso la seduta di contrattazioni con un rialzo dell’8,45%, superiore cioè alla già ottima performance del mercato (+6,49& l’S&P/Mib), a quota 13,61 euro.A dare una mano al titolo petrolifero italiano è intervenuta anche Shell. Secondo Campbell Keir, manager del gruppo petrolifero olandese, la crisi dell’economia globale non sarà un ostacolo allo sviluppo del giacimento di Kashagan, in Kazakhstan, da parte del consorzio incaricato dello sviluppo del campo petrolifero che comprende Eni. «Il piano è ancora quello di iniziare la produzione secondo quanto annunciato, nel quarto trimestre del 2012», ha detto il manager. Il progetto di sviluppo del giacimento da 136 miliardi di dollari è destinato a raddoppiare la produzione del Kazakhstan a 150 milioni di tonnellate l’anno.Intanto dalla Spagna si accende una polemica a distanza con Gas Natural. «Se Eni intraprenderà azioni legali contro Gas Natural in relazione alla vicenda di Union Fenosa Gas - ha detto l’ad del gruppo iberico, Rafael Villasecas - ci difenderemo». Il manager di Gas Natural si riferisce alla possibilità, paventata da Scaroni, che Eni ricorra contro la decisione dell’Antitrust spagnolo che a metà febbraio ha dato il via libera all’acquisizione di Union Fenosa da parte di Gas Natural, senza l’obbligo per quest’ultima di cedere il 50% della joint venture paritaria con Eni in Union Fenosa Gas. In una conferenza stampa tenuta a margine dell’assemblea straordinaria convocata a Barcellona per approvare l’aumento di capitale con il quale pagare in parte l’acquisizione di Union Fenosa, il presidente di Gas Natural, Salvador Gabarrò, ha specificato che, rispetto ad Eni, al momento l’azienda «non prenderà l’iniziativa, perché si sente comoda nell’attuale posizione». Quanto poi a Eufer, l’azienda di energie rinnovabili detenuta al 50% con Enel, Gabarrò ha sottolineato che «se i nostri soci la pensano come noi, continueremo così». «Eufer - ha aggiunto Villasecas - è una delle aziende importanti» e i futuri investimenti saranno fatti «stando attenti alla politica di sovvenzioni che oggi determina l’interesse per il settore». (da Finanza & Mercati)

martedì 10 marzo 2009

S&P avverte i grandi dell'energia, rating a rischio

I rating delle maggiori società energetiche europee, tra le quali Eni, Total, Shell e British Petroleum, potrebbero trovarsi sotto pressione, con un possibile revisione al ribasso, se gli investimenti e i dividendi non saranno ridotti nel 2010. È quanto sostiene Standard&Poor's in report. L'agenzia di rating, pur sostenendo che si tratta di società molto solide e in cui ogni tipo di rischio finanziario è minimo, ha spiegato che la probabile riduzione dei flussi di cassa a causa della crisi globale, se accompagnata da flussi sostenuti di investimenti e dal mantenimento di cedole elevate (sul livello del 2009), potrebbe ridurre lo spazio di manovra delle società, il cui rating sarebbe così a rischio. Eni, in particolare, è il gruppo che tra i grandi del settore potrebbe soffrire maggiormente, visto che la società italiana ha l'indebitamento più elevato tra i grandi gruppi a causa soprattutto delle acquisizioni dell'ultimo biennio. (Da Mf)

«I posti migliori dove lavorare? Banca Intesa Sanpaolo e con il petrolio dell'Eni»

La crisi non scalfisce la fiducia nelle banche come ottimi datori di lavoro.

E' quanto meno ciò che può dire di se stesso il gruppo Intesa Sanpaolo, insignito dell'alloro di «Best employer of choice 2008», la migliore azienda in cui lavorare, da un campione di 2.500 neolaureati italiani. Un anno fa, infatti, la stessa graduatoria delle aziende oggetto del desiderio dei più giovani, metteva ancora al primo posto Intesa Sanpaolo, un primato non scalfito dai primi segnali pesanti della crisi marcati nel 2008. Il risultato è sancito dall'indagine annuale «Recent graduate survey», commissionata da Cesop communication all'istituto di ricerca IpoStat, presentata ieri in un convegno organizzato da Trovolavoro.it del Corriere della Sera.

Dal quale è emersa un'altra conferma: come nel 2007 i neolaureati mettono al secondo posto delle loro preferenze il gruppo Eni di Paolo Scaroni. Per il resto si certificano diverse new entry nelle prime posizioni della classifica. La Bayer sale al terzo posto (era nona), seguita da Fiat Group e, a pari merito al quinto posto, da Apple, Ferrari e Microsoft. Dal sesto al decimo posto seguono poi Barilla, Bnl, Mondatori, Enel e L'Oréal. Le aziende sono state scelte in un panel di 119 imprese proposto durante interviste face-to-face con i neolaureati.

(dal Corriere della Sera)

lunedì 9 marzo 2009

Quanti debiti a Mosca. Nonosatante il petrolio e il gas

Il recente declassamento da parte di Fitch del debito pubblico russo (da BBB+ a BBB), che segue l'analoga operazione di S&P di dicembre, è stato motivato dalle agenzie di rating con due motivazioni principali. Innanzitutto si è verificata una consistente fuga di capitali, peggiorata negli ultimi mesi, ma che nel 2008 ha registrato una differenza tra esportazione e importazione di capitali pari a quasi 130 miliardi di dollari. In secondo luogo, nell'arco di sei mesi, le riserve valutarie e aurifere sono diminuite di 210 miliardi di dollari, attestandosi a fine gennaio a 386,5 miliardi. L'effetto della crisi internazionale si è fatta pesantemente sentire anche in Russia ed è significativo che contestualmente Fitch abbia declassato anche i rating di 14 banche del paese, in primo luogo il colosso statale Vtb (Vneshtorgbank) considerata la seconda banca russa, su cui il governo a inizio febbraio ha deciso di intervenire con 40 miliardi di ricapitalizzazione, dopo avere concesso un aiuto di 5,55 miliardi di dollari.L'economia del paese non poteva non risentire del calo delle quotazioni delle materie prime, in particolare del petrolio e del gas, la cui esportazione è da sempre stata determinante per la dinamica del pil. Nel 2008 la crescita ha registrato un incremento del 6% e secondo molti analisti potrebbe registrare un valore positivo anche nel 2009, mentre per altri sono di parere contrario. La chiusura del mercato dei capitali alle società e alle banche ha provocato seri problemi, in particolare per il rifinanziamento dei prestiti.Molto pesante è stato l'andamento valutario: la Banca centrale russa ha pilotato negli ultimi mesi la svalutazione del rublo, allargando la banda di oscillazione ed operando sulle vendite di dollari ed euro, per frenarne gradualmente la caduta, anche per evitare quanto accaduto in occasione del default del 1998. In quell'occasione, la divisa perse in un mese oltre il 70% del valore, con pesanti conseguenze sui risparmi dei cittadini. Nella crisi globale di oggi il rublo si è in realtà adeguato a quanto avvenuto per le altre divise di paesi legati all'esportazione di materie prime, come il dollaro australiano ed il rand sudafricano, ma per la Russia la difesa del cambio è costata una consistente erosione delle riserve valutarie, che rimangono al terzo posto nel mondo dopo quelle di Cina e Giappone. Il governo è conscio della realtà di una crisi, che porterà quest'anno un deficit di bilancio superiore al 6%, con un aumento dell'inflazione (a gennaio al 13,4%) e della disoccupazione: i senza lavoro sono aumentati in dicembre di mezzo milione, per un totale di oltre 6 milioni, con ripercussioni che possono arrivare anche a intaccare la leadership di Putin. Le misure anticrisi finora sono costate oltre 60 miliardi di dollari, a cui vanno aggiunti 50 miliardi di dollari destinati a riscattare il debiti delle grandi imprese verso le banche estere (il cosiddetto pacchetto di salvataggio degli oligarchi). È evidente come un contesto macroeconomico di questo tipo posa creare distorsioni sul mercato obbligazionario che fino a metà dello scorso anno aveva registrato un considerevole numero di emissioni da parte di aziende, con i maggiori importi collocati da corporate governative quali Gazprom e da istituti di credito. Un comparto che si era notevolmente sviluppato era stato quello dei prenditori sopranazionali e delle agenzie governative con emissioni in valuta domestica effettuate da IBRD, IADB, Kfw, Eib, EBRD, tutte organizzazioni con rating «tripla A» che avevano scommesso sulla forza del rublo e sulla continua crescita del pil, trainato dall'esportazione di greggio. L'andamento del cambio ha praticamente rarefatto queste attività di raccolta, provocando pesanti difficoltà alle aziende, alle prese la ristrutturazione del debito. Gazprom ha recentemente annunciato il ritorno alla raccolta, dal momento che occorre rifinanziare 10 miliardi di dollari in scadenza nel 2009. Con riguardo alle emissioni sovrane, le riserve in valuta hanno finora allontanato la emissione di eurobond. Sul mercato finanziario i titoli domestici hanno attualmente rendimenti trimestrali pari al 13% e decennali al 11,20%. (Milano Finanza)

L'Eni e l'asticella di quota 13

Il quadro grafico dell'Eni guidata da Paolo Scaroni nelle ultime settimane ha subìto in Borsa un peggioramento e ora il titolo risulta esposto al rischio di riattivazione del trend ribassista originato dal massimo storico dell’estate 2007. Se questo scenario venisse confermato dalla stabilizzazione dei prezzi al di sotto di area 13 euro, il titolo verrebbe proiettato verso i supporti a 11,50/00,dove si trovano i minimi del 2001 e del 2003. Se nemmeno questi sostegni riuscissero ad arrestare la flessione, i corsi avrebbero campo aperto verso 9, ultimo appiglio per scongiurare il ritorno sui minimi storici. Un concreto tentativo di recupero non sarà ipotizzabile almeno fino a quando le quotazioni non si riporteranno al di sopra di 15,50/16 euro, operazione in grado sulla carta di creare le premesse per un’estensione verso 17,70 almeno, con target successivo a 19,50, picco di inizio novembre. In ottica temporale più estesa possiamo osservare che un superamento di questo ultimo livello segnerebbe il completamento del potenziale doppio minimo in formazione da ottobre; un pattern rialzista che proietterebbe i corsi verso quota 22,50. (Da Borsa & Finanza)

venerdì 6 marzo 2009

Eni, una zampa in Russia fino al 2012

Eni si prepara a un’accelerazione secca del 10% della propria capacità produttiva. E a una prevedibile rimodulazione del piano strategico triennale presentato il 13 febbraio a Londra. Da Mosca è arrivata ieri la notizia, riportata dal quotidiano Vedomosti e non commentata dalle società coinvolte, che Gazprom punterebbe a rinviare al 2012 la call sul 20% di Gazpromneft in mano al Cane a sei zampe. Per Eni, aveva spiegato l’ad Paolo Scaroni due settimane fa, il non esercizio della call significherebbe «diventare immediatamente un’altra società, con tre miliardi di barili di riserve in più e, soprattutto, 200.000 barili al giorno di produzione a disposizione». Il che porterebbe già oggi l’output a 2 milioni di barili quotidiani, il target del 2012. Il fatto che non si parli di cancellazione della call, ma di rinvio (il che lascia aperte ipotesi di penali a favore di Eni), cambia poco, visto l’orizzonte temporale: il 2012 è quello di fine piano, e per di più è l’anno dell’atteso avvio della mega produzione a Kashagan. Inoltre, Scaroni aveva dichiarato che «in caso di mancato esercizio della call, ci siederemo al tavolo e ridisegneremo il piano, a partire dalla campagna acquisizioni. (Da Finanza & Mercati)

Acea, francesi di Suez-Gdf in campo

La risposta dei francesi di Suez-Gdf al ribaltone avvenuto alla romana Acea non si è fatta attendere. Il gruppo energetico transalpino, ha spiegato ieri il Ceo Gerard Mestrallet presentando i conti del 2008, ha confermato che l'Italia rimane un paese strategico, «con o senza» l'alleanza con la società capitolina. «Possediamo un numero di asset che ci consentono di costituire il terzo operatore nel-l'elettricità e nel gas dietro a Enel e Edison», ha sostenuto. Fatta questa premessa, Suez-Gdf rimane tuttavia in attesa di qualche spiegazione, ha aggiunto il numero due Jean-Francois Cirelli. Cioè di un chiarimento relativo alle dimissioni dell'amministratore delegato Andrea Mangoni, il manager che ha trattato per il possibile accordo, e alla sorte della bozza di intesa, messa in discussione dalla nuova amministrazione comunale di centrodestra e dal gruppo Caltagirone, socio di minoranza accreditato del 7% circa del capitale. L'occasione per esaminare il progetto potrebbe essere vicina se le voci sulla convocazione di un nuovo consiglio straordinario fissato per lunedì dovessero concretizzarsi. I rivolgimenti all'interno del consiglio di amministrazione di Acea potrebbero peraltro non esser terminati, visto che potrebbe dimettersi anche Piero Giarda, ex sottosegretario al Tesoro, una mossa che farebbe decadere l'intero board (Giarda avrebbe già lasciato il comitato di controllo interno).L'eventuale complicazione tuttavia sarebbe risolvibile, visto che al Comune, forte del suo 51%, non resterebbe che convocare un'assemblea per i necessari rinnovi.Tutte conseguenze della decisione di estromettere l'amministratore delegato che non hanno giocato a favore del titolo, che ieri in Borsa, dopo qualche giorno di forti ribassi ha chiuso in leggero rialzo (+0,76%).Per Acea la situazione diventerebbe un po' più difficile se l'asse strategico con i francesi venisse smantellato. Nel frattempo potrebbe essere messo in discussione il destino di Romana Gas, ceduta dall'Eni di Paolo Scaroni ai francesi nell'ambito dell'acquisto Distrigaz. Senza l'ok al cambio di proprietà del Comune di Roma (il concessionario) l'asset, valutato 1,1 miliardi di euro, potrebbe addirittura tornare in mano all'Eni-Snam rete gas, che dovrebbe trovare contropartite per ricompensare Suez-Gdf. (Dal Corriere della Sera)

giovedì 5 marzo 2009

Il petrolio accelera il recupero

Prezzi in accelerazione sui mercati petroliferi, che ieri hanno trovato numerosi e in parte inaspettati spunti rialzisti. Ad alcuni dati incoraggianti sulle possibilità di ripresa dell'economia cinese, che hanno favorito anche un generalizzato rimbalzo dei mercati azionari, si sono aggiunte la notizia di un incidente a un importante oleodotto russo e un calo a sorpresa delle scorte statunitensi di greggio. Il risultato è stato un balzo in avanti del 9% per il prezzo del Wti, che ha chiuso a 45,38 dollari al barile dopo aver toccato nel corso della seduta un picco di 45,76 $.Le quotazioni, già in ripresa martedì, sono state sostenute fin dall'inizio della giornata dagli spiragli di ottimismo in arrivo dalla Cina, dove l'indice dei responsabili acquisti è migliorato in febbraio per il terzo mese consecutivo e il Governo comincia a ventilare la possibilità di un ulteriore piano di stimolo per l'economia.Ad alimentare gli acquisti ha contribuito anche l'annuncio della temporanea riduzione di un quinto delle esportazioni di greggio dalla Russia (circa 840mila barili al giorno), a causa della rottura di una pipeline che rifornisce il porto di Novorossiisk, sul Mar Nero. Lo spegnimento dell'incendio e la successiva riparazione della conduttura richiederanno almeno 3- 4giorni.L'incidentesegue di poche ore l'ennesimo sabotaggio a un oleodotto in Nigeria, che ha costretto a ridurre la produzione locale di altri 70mila barili/giorno.In un mercato ormai da tem-po concentrato soprattutto sulla salute della domanda petrolifera – barometro della gravità della crisi mondiale – hanno tuttavia pesato molto di più le statistiche settimanali dell'Energy Information Agency statunitense.I dati diffusi ieri lasciano ben sperare. Non solo perché registrano un'inattesa riduzione degli stock di greggio (-0,7 mb, di cui 0,5 a Cushing, Oklahoma, punto di consegna del Wti), ma anche e soprattutto per i motivi che sembrano averla originata. Negli Usa la domanda di benzina nelle ultime quattro settimane è risalita a una media di 9,03 mbg (+2,2% rispetto a un anno prima), stimolando le raffinerie ad accelerare la produzione di carburanti. Il tasso di utilizzo degli impianti è salito dall'81,4 all' 83,1% della capacità. E gli stock di benzine e distillati sono saliti rispettivamente di 0,2 e 1,7 mb.Sorprendente anche l'aumento delle importazioni di greggio degli Usa: +259mila bg nella settimana, nonostante la sempre più rigida applicazione dei tagli di produzione da parte dell'Opec, che secondo un sondaggio Reuters ha raggiunto in febbraio l'81% (3,42 mbg rispetto a un obiettivo di 4,2).In vista del meeting del 15 marzo,intanto,l'Organizzazione non sembra più essere così determinata a deliberare ulteriori riduzioni dell'output, che in questo periodo rischierebbero di avere scarsa influenza sui prezzi. Secondo fonti dell'agenzia Reuters, dopo l'Iran, alla schiera degli scettici si è aggiunta ieri anche l'Angola, che detiene la presidenza di turno dell'Opec. (dal Sole 24 Ore)

I Comuni belgi cedono il 31% di Distrigaz a Eni

La holding Publigaz, che gestisce le partecipazioni dei Comuni belgi nel settore del gas, ha deciso di cedere il suo 31,25% nella società belga Distrigaz al gruppo italiano guidato da Paolo Scaroni per circa 1,5 miliardi di euro. Lo ha reso noto ieri il presidente della società belga. Con l'acquisizione della quota fino a ieri in mano a Publigaz, la partecipazione controllata da Eni, che già possiede il 57,24% di Distrigaz, sale all'88,5%, mentre è ancora in corso l'opa residuale sul capitale del gruppo belga. L'offerta pubblica di acquisto, avviata lo scorso 9 gennaio, scade il 19 marzo prossimo. La decisione di Publigaz è stata presa all'unanimità e, secondo quanto spiegato dagli stessi membri del cda, stato il prezzo dell'opa lanciata dall'Eni a convincere il consiglio ad aderire. Intanto Galp Energia, gruppo portoghese di cui Eni detiene il 33,34%, starebbe valutando un aumento di capitale fino a 1,5 miliardi di euro per finanziare i piani di investimento. L'indiscrezione, riportata ieri dal quotidiano finanziario Diaro Economico, non è stata commentata né dai vertici di Galp né da quelli di Eni. Secondo altre indiscrezioni, tra l'altro, proprio il gigante petrolifero italiano sarebbe contrario a un'eventuale operazione di ricapitalizzazione da parte della società portoghese. (Da Mf)

mercoledì 4 marzo 2009

Gazprom Neft resterà all'Eni fino al 2012

Gazprom Neft resterà all'Eni?Sì,almeno fino al 2012,secondo il quotidiano economico russo Vedomosti- pubblicato insieme da Wall Street Journal e da Financial Times. Citando due fonti « vicine a Gazprom », e analizzando il budget 2009 del monopolio russo del gas, Vedomosti nota che tra le spese e gli investimenti previsti per il 2010 e il 2011 non è segnalato il riacquisto dall'Eni del 20% di Gazprom Neft, quinta compagnia petrolifera integrata russa.Due anni fa, partecipando a una delle aste in cui venne liquidata Yukos - la compagnia di Mikhail Khodorkovskij - Eni acquistò per 5,83 miliardi di dollari un lotto che comprendeva il 100% di tre società con giacimenti nell'Artico, e il 20% delle azioni di Gazprom Neft. Le prime tre società vennero acquisite in cordata con Enel, nel consorzio EniNeftegaz; il 20% di Gazprom Neft è invece di totale proprietà Eni.L'accordo prevedeva un'opzione che scade in aprile, ma che ora potrebbe essere vittima della crisi economica: per Gazprom Neft, nell'aprile 2007, Eni aveva garantito al monopolio russo un'opzione di acquisto nei due anni successivi a un prezzo di 3,7 miliardi di dollari, il prezzo pagato in origine, oltre agli interessi. Un totale di 4,3 miliardi, secondo la cifra fatta il 13 febbraio scorso a Londra dall'amministratore delegato Paolo Scaroni: il tema delle acquisizioni, aveva detto alloraScaroni presentando la strategia del gruppo fino al 2012, sarebbe stato affrontato solo dopo aver chiarito le intenzioni di Gazprom riguardo alla call option. Ei russi non hanno mai negato l'intenzione di esercitarla, come ha ribadito il 23 dicembre scorso il responsabile di Gazprom per il commercio con l'estero, Stanislav Zigankov, e come ha ricordato Scaroni a Londra: «Anche 20 giorni fa (i russi, ndr) hanno ricordato che l'opzione dovrebbe essere esercitata entro aprile, e questo ci riconosce un valore di 4,3 miliardi di dollari. Se lo faranno, saremo una società diversa». Da parte sua, Gazprom ha rivelato ieri gli utili netti registrati nel terzo trimestre del 2008, ancora in quello che dovrebbe rivelarsi un anno record prima della caduta dei prezzi del gas: 132 miliardi di rubli ( 3,65 miliardi di dol-lari), un aumento del 16% sullo stesso periodo del 2007 e che, tuttavia, è inferiore alle previsioni degli analisti. (dal Sole 24 Ore)

I destini di Milano legati all'oro nero

La crisi ha cambiato anche i connotati di Piazza Affari: da un listino dominato dalle banche alla sorpresa di una Borsa dipendente dal petrolio. Può sembrare paradossale, ma se il greggio dovesse attestarsi a un gradino inferiore dell'attuale, al di sotto cioè dei 40 dollari al barile, per la Borsa di Milano sarebbero dolori. E non solo perchè significherebbe che nel frattempo la recessione si sarebbe avvitata. L'insidia alla tenuta del listino arriverebbe infatti dal lato più inatteso delle cedole dei gruppi legati all'oro nero. Il perchè è presto detto: da sole Eni ed Enel, entrambe chiaramente influenzate dall'andamento del petrolio, contano ormai per oltre un quarto della capitalizzazione della Borsa di Milano, ma, secondo le stime dell'ufficio studi di Intermonte, pagheranno quasi la metà dei dividendi distribuiti dalle 65 società a maggior capitalizzazione.Il problema non si pone per quest'anno,dato che ormai i giochi sono fatti. Eni conferma una cedola di 1,3 euro, che alle quotazioni attuali offre un rendimento del 9,2%. Enel dovrebbe pagare ancora un dividendo di 49 centesimi che, allo stato, si traduce in un dividend yield addirittura del 13,6%. Quel che importa al mercato è di poter contare su dividendi elevati, ma sostenibili, perchè la politica di distribuzione degli utili è indicativa delle prospettive societarie. Enel, che ha messo in cantiere un aumento di capitale dopo il completamento dell'operazione Endesa, per il futuro potrebbe forse mantenere lo stesso monte-dividendi spalmandolo su un numero superiore di azioni. Ma l'incognita per il gruppo elettrico è rappresentata dal prezzo del greggio, che impatta direttamente anche sulle prospettive del Cane a sei zampe. L'amministratore delegato dell'Eni, Paolo Scaroni, ha ripetuto più volte che una cedola di 1,3 euro è sostenibile con il petrolio a 40 dollari al barile. E il mercato, guardando ai future che ne collocano tra un anno il prezzo a 50-55 dollari, per il momento è tranquillo. Se però il greggio dovesse invertire nuovamente la rotta, e l'anno prossimo l'Eni dovesse decidere di abbassare la cedola, sarebbe da mettere in conto una aggiustamento delle quotazioni per tarare il rendimento dell'azione a quello dei bond, con riflessi automatici, dato il peso del gruppo, sull'indice generale.

martedì 3 marzo 2009

Petrolio, missione in Iraq per il ministro Scajola

Il ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola ha incontrato ieri a Baghdad il premier iracheno Nuri al-Maliki. Le imprese italiane sono interessate al processo di ricostruzione dell'Iraq, a sei anni dall'inizio del conflitto. Ai colloqui di ieri hanno partecipato, fra gli altri, i gruppi Eni, Finmeccanica, Technital e l'Ice.

Il petrolio perde il 10% e scende a 40 $

Il prezzo del petrolio ieri ha chiuso a New York in ribasso del 10,3% a 40,15 dollari al barile dopo aver toccato un minimo di giornata a 39,84. Si è trattato del più forte calo in due mesi. L'andamento negativo è dovuto all'incertezza sui listini e ai timori per l'aggravarsi della recessione, che potrebbe accelerare la corsa verso il basso dei consumi. In questa direzione, sono arrivati segnali negativi dai due maggiori utilizzatori di petrolio, Usa e Cina, che hanno registrato ribassi negli indici di fiducia dei consumatori. Sul lato dell'offerta, l'Opec ha continuato a non mostrare una linea unitaria. Secondo il ministro del petrolio algerino Chakib Khelil, il taglio della produzione è «probabile» nella prossima riunione del 15 marzo. Di parere opposto il collega iraniano, Gholam Hossein Nozari: «L'Opec ha implementato già l'80% delle riduzioni annunciate, evitando così una frenata ancora più netta dei prezzi», ha spiegato. Nelle borse mondiali sono scesi tutti i titoli petroliferi, tra cui l'Eni di Paolo Scaroni (-7,7% a 14,64 euro). La flessione del petrolio è dovuta anche al rafforzamento del dollaro, che penalizza il valore delle commodity scambiate nella valuta americana. L'oro ha resistito meglio, grazie al suo ruolo di bene rifugio. La quotazione ieri è rimasta stabile a 939 dollari all'oncia, dopo aver toccato quota 950. Tra gli investitori interessati a proteggersi dalle turbolenze dei mercati ci sono anche gli Stati, che stanno aumentando l'esposizione sul metallo giallo, facendo così salire i prezzi. Il governo cinese è il più attivo: «Su 2.000 miliardi di riserve, soltanto l'1% è investito in oro, mentre la parte restante è quasi tutta impiegata in dollari», ha spiegato a Reuters Marcus Grubb, presidente del World Gold Council. «Ma alla luce del possibile declino della moneta Usa, dovuto alla recessione e ai piani di salvataggio di Barack Obama, la Cina potrebbe ridefinire la politica d'investimento».

lunedì 2 marzo 2009

Bollette in forte calo ad aprile: risparmi per 104 euro a famiglia

In arrivo forti risparmi per le bollette di luce e gas: complice il forte calo del prezzo del petrolio, dal primo primo aprile prossimo le tariffe dovrebbero registrare un ribasso dell'8,1 per il metano e del 3,1% per l'elettricità. È quanto prevede Nomisma Energia stimando un risparmio complessivo di 104 euro l'anno a famiglia. Se le stime saranno confermate dall'aggiornamento trimestrale - atteso dall'Authority per l'energia entro marzo - per il gas la minor spesa sarà di circa 90 euro l'anno a famiglia mentre per la luce si attesterà a 14,6 euro. (dal Sole 24Ore.com)

Petrolio, l'Eni punta sull'Iraq

Eni si prepara a sbarcare in Iraq come prima compagnia internazionale per sfruttare le risorse petrolifere del Paese.Lo ha annunciato l'amministratore delegato della compagnia Paolo Scaroni in un'intervista televisiva rilasciata a " Domenica In", a proposito dell'annuncio della visita di oggi del ministro Scajola in Iraq per la firma di un accordo in campo energetico.Per Scaroni l'Iraq rappresenta «la nuova frontiera che vogliamo aprire, è un po' la nuova Mecca del petrolio, un Paese che è sempre stato ricchissimo di risorse petrolifere ma che per molti anni è uscito di scena dal mondo del petrolio. Ho l'ambizione – ha aggiunto Scaroni –che Eni sia la prima compagnia internazionaleche sbarchi in quel Paese e mi auguro che questo avvenga nei prossimi mesi».In gara per la gestione dei giacimenti di Nassirya, ci sono, oltre all'Eni, i due colossi del petrolio Nippon Oil e Repsol. In una intervista al quotidiano "Il Giornale" in edicola ieri il ministro Scajola aveva detto: «Oggi incontrerò in Iraq i sette ministri che si occupano delle materie del mio dicastero. E firmerò un accordo che ci permetterà di avere in Italia un'altissima percentuale del petrolio estratto in Iraq».Scaroni si è soffermato anche sul calo del prezzo del petrolio che, secondo l'a.d. dell'Eni, porterà a un risparmio per le famiglie italiane tra i 1.200 e i 1.500 euro. «Si tratta di un risparmio netto che rappresenta quasi una quattordicesima, fatto di meno spese per la benzina, meno spese per il gas e per tutte le energie che gli italiani comprano ». Scaroni ha dato due consigli agli italiani alle prese con la crisi economica: uno sul risparmio energetico, «la strada maestra – ha detto – che abbiamo davanti a noi» Un consiglio da cittadino è quello di avere fiducia: «Il nostro è un grande Paese che affronterà la crisi molto meglio degli altri, ne usciremo più forti di prima».