La «oil diplomacy» del presidente venezuelano è in difficoltà. Il barile costa troppo poco. Basta ideologia e viva i capitali esteri, dice Il Riformista
«Anche se il prezzo del petrolio arriverà a zero dollari, la rivoluzione venezuelana andrà avanti». Erano le dichiarazioni di Hugo Chávez alla vigilia di Natale 2008, con il prezzo del greggio che toccava i 27 dollari a barile. L'intenzione era di sembrare impermeabili alla crisi. Inutilmente. Le conseguenze del prezzo del petrolio così basso, base unica ed esclusiva dell'economia venezuelana, iniziano a farsi sentire. Anche sulla natura socialista della rivoluzione bolivariana. Molto meno temeraria e rivoluzionaria e ora più riformista. Di fronte a una spesa pubblica calcolata per il 2009, con il barile a 15 dollari meno del prezzo reale e i conti che non tornano, l'ideologia anti-nordamericana portata avanti dal presidente venezuelano fa un passo indietro e abbassa i toni. Cambia strategia riguardo all'apertura delle concessioni alle demonizzate multinazionali petrolifere, e alla gestione della diplomazia caratterizzata da una eccessiva generosità con gli alleati - petrolio scontato - e minacce agli avversari.Chávez torna a corteggiare le imprese transnazionali che fino a qualche mese fa aveva minacciato di espropriazione, inchieste e vessazioni fiscali. In un ampio articolo The New York Times racconta che essendo sotto pressione per il forte calo dei prezzi e della produzione nazionale, i funzionari del governo hanno aperto, in termini di licenze, alle maggiori compagnie occidentali come Chevron, Royal Dutch/Shell e Total francese, promettendo loro libero accesso alle riserve petrolifere. «La volontà di queste compagnie di investire in Venezuela riflette la scarsità di progetti aperti agli stranieri in Medio Oriente», scrive il Nyt. La volontà del governo chavista di riaprire alle compagnie straniere, si può aggiungere, riflette la miopia della politica nazionalista.In una conversazione con Il Riformista, l'economista venezuelano, esperto di energia e petrolio, Rafael Quiroz Serrano, ha spiegato che questo atteggiamento del governo non è una sorpresa. Era ipotizzabile dall'aprile del 2006, quando per far fronte a un calo di estrazione, produzione e raffinazione è stata creata la figura dell' "impresa mista". Un elemento giuridico e operativo ibrido, nel quale le multinazionali condividono le azioni della società petrolifera statale venezuelana, Pdvsa, - che detiene comunque la maggioranza - per poter operare nei giacimenti venezuelani.
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