Tratto da Panorama
Paradossi italiani Dipendiamo per l’85 per cento dalle importazioni di metano e petrolio. Mentre non sfruttiamo le nostre risorse. Anzi, la produzione nazionale sta diminuendo. Colpa di un groviglio di competenze che paralizza tutto.
L’Adriatico non è il Mare del Nord e la Basilicata non è il Texas, ma anche l’Italia nel suo piccolo custodisce un tesoro di gas e petrolio. A differenza del resto del mondo, dove la presenza di idrocarburi nel sottosuolo è considerata un dono della provvidenza, qui però quel bendidio spesso genera più polemiche che ricchezza.
Con un deficit energetico nazionale annuo di 50 miliardi di euro (3,7 per cento del pil nel 2008) e un sistema dipendente dalle importazioni in misura più che doppia rispetto agli altri paesi industrializzati europei (85 per cento contro il 40), la questione dell’insufficiente sfruttamento delle risorse tocca vette di insensatezza. E diventa addirittura irritante in momenti come questo, con i rifornimenti di gas provenienti via tubo dalla Siberia attraverso l’Ucraina a rischio di interruzione a causa del contenzioso ormai endemico sul pagamento delle forniture tra la Federazione Russa e Kiev.
In tema di sfruttamento delle risorse energetiche l’Italia va addirittura all’indietro come i gamberi e solo negli ultimi mesi sta tentando di riprendere un cammino lineare. Il ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola, e quello dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo, hanno firmato 23 tra concessioni e permessi di ricerca in mare più 14 autorizzazioni per stoccaggi di gas in prevalenza a favore della Stogit dell’Eni in Valle Padana. Ma il ritardo accumulato resta grave: l’estrazione annua di petrolio è ferma tra 5 e 6 milioni di tonnellate e l’accordo per sfruttare in pieno i giacimenti della Basilicata non è ancora del tutto operativo a 11 anni dalla firma.
In meno di un quindicennio la produzione di gas è scesa da 20 a 10 miliardi di metri cubi e 7 anni fa sono state bloccate per legge le estrazioni dai giacimenti nell’Alto Adriatico (34 miliardi di metri cubi sicuri) per paura che provocassero il fenomeno della subsidenza facendo abbassare, in pratica, Venezia e la laguna.
La scarsa utilizzazione di metano e petrolio non dipende dal graduale esaurimento dei giacimenti, dall’insufficienza di convenienze economiche nell’estrazione o da investimenti inadeguati da parte dei concessionari. La penuria e i soldi non c’entrano, anzi, le ricchezze residue restano ingenti e molto desiderate dalle società energetiche, mentre le ultime ricerche hanno consentito l’individuazione di altre aree produttive lungo una linea vasta del Paese, una specie di falce di luna che dalla Sicilia si estende verso Calabria e Basilicata fin sulla costa adriatica per inarcarsi infine in Valle Padana (cartina a fianco).
Secondo stime dell’Ufficio minerario, le riserve accertate di petrolio ammontano a 840 milioni di barili, a cui si aggiunge un potenziale addizionale tra i 400 e i 1.000 milioni per un valore in euro tra i 90 e i 130 miliardi. Per quanto riguarda il gas, le riserve equivalgono a 130 miliardi di metri cubi con un potenziale aggiuntivo fra 120 e 200 per un valore tra 75 e 100 miliardi di euro. Somme su cui lo Stato o le regioni potrebbero incassare almeno il 7 per cento di royalty e il 40 per cento di tasse. Senza contare l’effetto sull’occupazione diretta e l’indotto.
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