Massicci investimenti comuni per esplorazione, estrazione e opere logistiche, dice Il sole 24 Ore
di Federico Rendina M iracoli della diplomazia. Che ascolta senza troppo agitarsi le tipiche sirene che accompagnano i momenti più caldi che precedono i grandi patti. Si agitano un po', per la verità, gli analisti di Quotidiano Energia, sito specializzato nel settore energetico. Fanno notare che un editoriale apparso lunedì sul quotidiano Al Jamahiria, considerato portavoce di Muhammar Gheddafi, invita i Congressi popolari di base a «recuperare rapidamente il nostro petrolio dalle compagnie straniere ». E lo stesso – informa anche la Reuters da Tripoli – lo scrive a chiare lettere il quotidiano Al Chams, fondato direttamente da Gheddafi.Gioco delle parti, insistono i diplomatici. Chissà se hanno ragione. Di certo all'Eni non si agitano. Convinti che il grande patto ItaliaLibia che si va a siglare per chiudere definitivamente la partita coloniale possa dare proprio all'Eni la rampa di lancio per un rafforzamento della sua già poderosa collaborazione. L'eventuale "riappropriazione" delle risorse petrolifere? All'Eni si dicono perfino «estranei » alla minaccia.Il Cane a sei zampe è lì esattamente da 50 anni. Enrico Mattei, prima della tragica scomparsa nel '62,fece un gran lavoro politico per improntare l'attività industriale in Libia ( e non solo lì) al principio della collaborazione e del vantaggio reciproco. Tecnologie e cooperazione, e bando a qualunque segnale di sfruttamento neocoloniale. Paolo Scaroni si muove quasi ossessivamente su questa linea: «Mettiamoci in testa che petrolioe gas sono di loro proprietà», ripete emblematicamente guardando alla Libia, al Venezuela, all'Algeria e dovunque.La nazionalizzazione periodicamente ventilata dai seguaci di Gheddafi potrebbe eventualmente riguardare altri e non l'Eni?Forseè un azzardo. Ma chissà: potrebbe funzionare. Deve funzionare. E non solo per dare un senso di convenienza reciproca al piano libico, che la politica e l'industria italiana ha già detto di gradire, per acquisire progressivamente una quota Eni attorno al 10 per cento.La Libia rappresenta già oggi per l'Eni il bacino più consistente per le sue attività di esplorazione ed estrazione di olio e gas nel mondo, con oltre 500mila "boe" (barili di petrolio equivalenti) l'anno, di cui quasi 300mila di sua diretta competenza, il 20% della produzione totale Eni nel mondo. E sull'onda di un nuovo piano pluriennale d'investimenti da 15 miliardi di euro, un anno fa Scaroni ha messo a segno un accordo strategico con la società di Stato libica Noc per nuovi piani comuni di sviluppo delle attività, proiettando al 2042 la durata dei titoli Eni per l'estrazione di petrolio, e al 2047 quelli per l'estrazione di gas metano.Decisiva,laggiù,l'attività nel petrolio,cheè di qualità "top" (basso tenore di zolfo e quindi lavorabile con un ciclo di raffinazione più agevole ed economico). Ma ancor più quella nell'esplorazione e sfruttamento dei giacimenti di metano. Il tutto con un'attività produttiva che si estende nell'offshore mediterraneo di fronte a Tripoli e nel deserto libico, per una superficie complessiva di quasi 38mila chilometri quadrati.Giacimenti preziosi e redditizi. Grazie alla loro consistenza. Grazie alle tecnologie esibite dall'Eni, riconosciuto leader nelle esplorazioni "difficili" e nelle nuove tecniche di iniezione compensativa di acqua e di CO2 (una tecnologia che trova forti motivazioni di sviluppo nei progetti di cattura dell'anidride carbonica per combattere l'effetto serra). E grazie, soprattutto, alle strutture logistiche che consentono un agevole trasporto del metano libico nel quadrante Sud della Vecchia Europa.
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"La mancanza di un investitore strategico - ha detto Fabrizio Viola -
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