Interessante articolo tratto dal quotidiano il Manifesto
Prima ecoingiustizia. L'Africa è fra le aree più ricche del mondo quanto a dotazioni in risorse naturali, non solo minerarie, eppure è il continente più «ricco» di miseri e affamati. Seconda ecoingiustizia. L'Africa è fra le zone che più soffrono e soffriranno per i cambiamenti climatici (secondo il rapporto Fao «Climate Change Adaptation and Mitigation: Chellenges and Opportunities for Food Security», subirà un declino del 30 per cento nei raccolti cerealicoli); eppure salvo eccezioni sono gli abitanti dell'Africa ad avere in media l'impronta climatica pro capite più leggera, ovvero a contribuire in misura minore al caso climatico (lo confermano, seppur con alcunq inesattezze, i grafici riportati dal supplemento speciale del Financial Times intitolato «Climate Change. Part two: Policy»). Terza ecoingiustizia. L'Africa è titolare di un importante credito ecologico nei confronti del resto del mondo e in particolare dell'Occidente; eppure è considerata debitrice finanziaria e al tempo stesso destinataria di «aiuti» (virgolette d'obbligo) internazionali ... che coprono una parte irrisoria dell'ecodebito mondiale verso l'Africa. Convenzionalmente si definisce «debito ecologico» il debito accumulato verso le nazioni impoverite durante lo sfruttamento delle risorse naturali il quale provoca spesso problemi di inquinamento idrico e atmosferico, distruzione di terre, spostamenti di popolazioni, malattie, concentrazione di ricchezza. Sul rapporto fra aiuti e danneggiamenti all'Africa si è soffermato un articolo dell'agenzia stampa Inter Pressa Cervice riferendo di un Forum tenutosi ad Accra, capitale del Ghana, agli inizi di settembre. L'Africana Forum rand Network on Debito and Development (Afrodad), coalizione basata in Zimbabwe che lavora sul problema del debito finanziario dei paesi africani, ha sottolineato che l'impatto ecologico (e dunque sociale: sulle vite dei poveri) legato allo sfruttamento delle risorse naturali non viene tenuto sufficientemente in conto nelle discussioni, appunto, sull'efficacia degli aiuto per lo «sviluppo». Senza negare le responsabilità dei governi africani, Afrodad ritiene che sia proprio il prelievo internazionale di quelle abbondanti risorse naturali a tenere il continente con la testa sott'acqua impedendogli di uscire dal ciclo della povertà, e far sì che chieda sempre più aiuti. Attivisti dello Zambia hanno compiuto uno studio sull'impatto delle miniere di rame nel loro paese; uscirà fra poche settimane. Lo Zambia è il settimo produttore mondiale di questo metallo. Nel 2007 ne ha prodotte 521.984 tonnellate e il governo prevede di salire a 600.000 tonnellate. E però secondo il rapporto, sia il governo che - soprattutto - la popolazione zambiana vedono molto poco della ricchezza prodotta: le miniere sono nelle mani del settore privato, comprese molte compagnie straniere. Il governo riceve solo lo 90,006 per cento del profitto annuale, e intanto i privati si arricchiscono e i problemi ecologici si moltiplicano. La "cintura del rame" (la fascia mineraria), che non rispetta gli standard internazionali, è inquinata dalla polvere delle miniere e dai rifiuti dell'estrazione. Che fare? Per gli attivisti antidebito africani, la risposta è semplice - ma difficilissima da ottenere: i paesi coinvolti nello sfruttamento minerario in Africa devono pagare il debito accumulato. «Se vogliamo che gli africani escano dalla miseria». Insomma: quella che è pomposamente chiamata «cooperazione internazionale», cominci a restituire il maltolto ...
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